Firenze, Teatro Comunale:”Aida”

Firenze, Teatro Comunale, 74° Festival del Maggio Musicale Fiorentino
“AIDA”

Opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re ROBERTO TAGLIAVINI
Amneris MARIANA PENTCHEVA
Aida MARIA JOSE’ SIRI
Radames WALTER FRACCARO
Amonasro ANOOSHAH GOLESORKH
Ramfis GIACOMO PRESTIA
Messaggero SAVERIO FIORE
Sacerdotessa CATERINA DI TONNO
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
MaggioDanza
Direttore Zubin Mehta
Maestro del Coro Piero Monti
Regia Ferzan Ozpetek
Scene Dante Ferretti
Costumi Alessandro Lai
Coreografia Francesco Ventriglia
Luci Maurizio Calvesi
Nuovo allestimento
Firenze, 12 maggio 2011
Si è conclusa con il  pubblico  delle grandi prime la produzione di Aida che ha inaugurato il 74° Festival del Maggio Musicale Fiorentino, segnando il debutto alla regia operistica di Ferzan Ozpetek (fra i cui successi cinematografici ricordiamo Hamam e Le fate ignoranti).In un teatro gremito, alla presenza di autorità quali il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Rosy Bindy, il presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo, Carla Fracci, il sindaco di Firenze Matteo Renzi e l’arcivescovo Giuseppe Betori, la serata si è aperta con L’Inno di Mameli eseguito dal coro del Maggio schierato in palcoscenico in abiti egizi e diretto con esuberanza da Zubin MehtaPer la sua prima esperienza operistica, il regista italo-turco sceglie di rimanere nel rassicurante solco della tradizione affidando la creazione delle scene ad un premio oscar quale Dante Ferretti. Nel preludio la scena è celata da una tela dipinta raffigurante un volto di donna di sapore klimtiano per la decorazione aurea dell’ampia chioma, al tempo stesso vagamente inquietante come una Madonna di Munch. L’allestimento gioca su grandi statue sedute, che si ripresentano in diversi momenti dell’opera secondo varie angolature. Sullo sfondo un ampio, caldo cielo si staglia sopra lontani profili montani dai quali spuntano – in omaggio alla Turchia di Ozpetek – le teste del monte Nemrot (che ritroviamo in primo piano nel finale). Dominano tinte neutre che ben si prestano ad accogliere le morbide ed eleganti luci di Maurizio Calvesi.  Il tutto è racchiuso da una massiccia cornice di pietra calcarea istoriata in proscenio. Il tema del deserto come luogo di morte e mistero domina l’opera, anche nel suggestivo notturno del terzo atto sulle sponde del Nilo azzurro e luccicante che rimanda riflessi tremolanti sulle pareti del Tempio di Iside. E sarà proprio il deserto con le sue sabbie roventi a soffocare Aida e Radamès nella claustrofobica tomba del quarto atto, sulle note finali di O terra addio.
In una regia che tende in genere alla staticità, non mancano comunque momenti di forte impatto emotivo, come la danza delle sacerdotesse, biancovestite con tuniche simili a carta assorbente, che sfilano in processione radunandosi intorno ad un altare fumante sul quale giace la carcassa di animale scannato ed offerto in sacrificio a Fthà. Sulle delicate note del flauto le donne armate di pugnali dissezionano il cadavere intingendo mani e braccia nel sangue rosso vivo per poi ostentarle al pubblico inorridito.
Quella di Ozpetek è un’Aida intimistica che non vuole stupire con grandi movimenti di masse ma tende piuttosto a suscitare compartecipazione alle vicende umane dei personaggi. Lo vediamo in particolare nel Trionfo, reso monumentale solo dalla presenza di un’enorme testa muliebre scolpita nella roccia che rotando su se stessa funge da accesso alla scena per i protagonisti. L’abituale sfilata di eroi, cavalieri ed elefanti è sostituta da una bella coreografia di Francesco Ventriglia, direttore di Maggiodanza che nel ballabile contrappone in una lotta, simile ad un match sportivo, la “squadra” egizia in rosso e l’etiope in blu. È un trionfo in negativo che anziché celebrare la vittoria egizia ci mostra la miseranda condizione dei vinti, incarnata da una bambina terrorizzata e sporca di sangue che si aggira sperduta per la scena (forse anche troppo a lungo) e poi sviene tra le braccia di Aida che pare rivedere in lei se stessa all’inizio della propria cattività.
Il vero trionfatore della serata è uno Zubin Mehta con energia ed entusiasmo contagiosi che canta assieme agli artisti in palcoscenico, e che con gesto cristallino ed eloquente – più asciutto del Mehta sinfonico –  assicura un perfetto controllo di buca e palcoscenico. La tensione drammatica non viene mai meno all’interno dei quattro atti, la lettura è dinamica, coesa, sempre elegante e ricca di suggestioni sonore nel valorizzare anche le frasi meno appariscenti della partitura.  Ancora una volta Mehta, accolto dal pubblico con ovazioni, ci conferma la sua totale affinità per la musica di Verdi della quale sa cogliere e dipingere in maniera unica tutte le sfumature. In splendida forma l’Orchestra del Maggio, reduce dall’avventurosa tournée in oriente. Precise e senza incidenti di percorso le trombe del trionfo.
Nel secondo cast l’Aida  più caucasica che etiope di Maria Josè Siri non si impone da subito ma prende piede a poco a poco. La voce è piena, capace di dominare nel concertato del trionfo, ma anche di sfumare nel rispetto delle dinamiche e del fraseggio. Il timbro tuttavia non risulta dotato di particolare fascino.  Pur con un paio di attacchi sfalsati, Walter Fraccaro delinea un Radamès eroico che indulge al lirismo solo nel finale dell’opera e supera indenne i due scogli di Celeste Aida e del finale del terzo atto. Mariana Pentcheva, non eccede nell’uso del petto mantenendo sempre un ottimo sostegno ed uniformità di registri centrale e grave, sebbene gli acuti non siano sfolgoranti. La sua Amneris è ricca di sfaccettature, sa essere rassicurante e perfino smancerosa –assecondando la visione del regista – nel duetto con Aida e in un attimo divenire terribile e minacciosa. Unico membro del primo cast in quest’ultima recita, Giacomo Prestia è un Ramfis autorevole e sonoro anche se con leggera oscillazione ed una certa tendenza a sbiancare in acuto. L’Amonasro di Anooshah Golesorski è molto credibile scenicamente ma dovrebbe migliorare la pronuncia dell’italiano. Buono il Re di Roberto Tagliavini. Molto precisa Caterina di Tonno che emette con sacrale distacco i seducenti cromatismi della Sacerdotessa. Corretto il messaggero di Saverio Fiore. Sempre efficace l’apporto del Coro del Maggio, preparato da Piero Monti, con sonorità ricche e ben bilanciate in tutte le sezioni.
Foto Archivio Maggio Musicale Fiorentino