E’ un caldissimo pomeriggio di maggio. Arrivo all’ingresso di Palazzetto Bru Zane, Centre de Musique Romantique Française di Venezia e qui incontro Jennifer Larmore. Saliamo in una stanza attigua al ballatoio del Palazzo, mentre la cantante esclama ridendo:”Teniamo spalancate le finestre? Sapete sono americana e mi piace l’aria condizionata, la coca cola con ghiaccio…”
Nel suo libro Ritratto di Signora, Henry James, narra la storia di Isabel Archer che compie il passaggio dal Nuovo Mondo ai cui valori è stata educata, alla Vecchia Europa, che sarà per lei terreno di nuove esperienze, per scegliere definitivamente quest’ultima. Sembra, in questo aspetto, la storia di Jennifer Larmore, grande mezzosoprano, che cresciuta e formatasi in America, nella natale Atlanta, esordirà muovendo i primi passi della sua fiorente carriera artistica in Europa, ovvero in Francia, in cui attualmente vive. E’ il 1986 e la giovanissima cantante viene ascoltata da una giuria e notata dal Direttore dell’Opera di Nizza che ne è estremamente entusiasta e la scrittura per una serie di contratti, impegnandola per due anni. Questo episodio come altri disegnano un fulgido destino artistico, fatto di eccellenti ruoli di coloratura, con memorabili interpretazioni barocche e belcantiste. Chiamata nelle sale di tutta Europa a Parigi, Vienna, London, Edinburgh, fino a Roma, Berlin, Madrid, Barcelona, Lisbon, Milano ecc. fa un ritorno trionfale negli Stati Uniti con Romeo di Capuleti e Montecchi di Bellini, al Canergie Hall, che le valse il prestigiosissimo Richard Tucker Award. Da qui al Met il passo fu immediato. Il 1992 è un anno da ricordare con Grammophon Award for Best Baroque Opera of the year, per il suo geniale Giulio Cesare. D’ora in poi la Larmore, forte della grande esperienza e della maturità artistica, inizia ad ampliare progressivamente il proprio repertorio fino agli obiettivi prestigiosi e importanti dei ruoli verdiani.
Parliamo di ‘eredità’ musicale. Quando hai scoperto il tuo talento per il canto?
Ho cantato tutta la vita, ancora prima di parlare. Mia mamma racconta che un giorno tornai a casa con un messaggio da parte delle maestre d’asilo con su scritto “Jennifer ha una voce molto bella”. Il mio interesse per la musica si accese prestissimo. Provai a fare la pianista, ma le mie dita erano troppo piccole; provai con il flauto , fino a che fui indirizzata dal Dott. Michel, mio primo mentore. Se devo ricordare un episodio da cui decisi di diventare una cantante fu una recita di Traviata a cui assistetti quando avevo 10 anni. Le luci, l’orchestra, la magia del teatro: qui avvenne la decisione di essere una cantante.
Cantare a Venezia aggiunge una cifra emotiva alle tue performance?
Ogni cosa con cui interagisci influenza la tua persona e il tuo canto. Il sentimento che ti trasmette il mondo circostante è un elemento che sento molto intensamente. Il pubblico del luogo, specialmente, per me gioca un ruolo indispensabile. Credo molto nell’aspetto energetico che infonde la vita e il mio lavoro. Non dimentico mai di fare un mestiere bellissimo. Non dimentico neanche per un minuto questa grande fortuna. Talvolta ho incontrato cantanti che lo scordano, ma dovrebbero tenerlo bene a mente.
Il canto è seduzione. Come esprime una donna i sentimenti di un ruolo en travesti?
Quando canto en travesti non penso naturalmente di essere un uomo. Mi concentro fortemente sul personaggio. Giulio Cesare di Haendel ne è un esempio: per me significa autorità e potenza e l’operazione che faccio è quella di trasporre la sua personalità nel canto e tutto viene di natura. Ogni intenzione musicale e drammaturgica si trasferisce alla mimica in modo naturale e non come pensano magari dei cantanti alle prime armi. Spesso i giovani hanno problemi con l’efficacia del gesto : questo perché tutto deve scaturire dall’idea drammaturgica e non viceversa.
Hai cantato con Dario Fo nel Barbiere di Siviglia. Che ricordo hai di Dario e della produzione?
Fu un’esperienza davvero incredibile. Lavorammo intensamente per 5 giorni, durante i quali fummo tutti investiti dal suo vulcano di idee, ironia inarrestabile. Con lui ho davvero ampliato le mie possibilità personali di attrice e cantante. La cosa buffa era che usava un microfono con il massimo del volume anche da vicino fino a farti diventare sordo.
Esiste secondo te una qualche differenza tra il repertorio italiano e quello francese? Quali sono le doti di un buon interprete di repertorio francese?
Quando affronto il repertorio francese penso in primis alla cultura di quel paese. Ho esordito con ruoli belcantistici italiani e nel passare a quelli francesi mi sono resa conto dell’enorme differenza linguistica e stilistica. Faccio sempre appello allo studio del dramma e non penso in realtà allo stile. Trovo diverso cantare in quella lingua che a differenza dell’italiano rende il canto più laborioso, in quanto riserva una sillaba per ogni nota. Ma la parola ha una priorità sulla voce.
Le interpretazione di un cantante sono sempre diverse e irripetibili, cambiano anche gli obiettivi dell’artista?
Sì certo gli obbiettivi cambiano. Per me è stata un’evoluzione continua. Ho cominciato da Rossini, Mozart poi con il tempo e con il mio essere donna ho vissuto molti cambiamenti anche a livello fisico. La voce stessa ne è stata interessata. Ho continuato a considerarmi prima di ogni cosa un’artista e così ho cominciato ad affrontare via via ruoli anche drammatici, che un tempo mi credevo preclusi.
Altre notizie su Jennifer Larmore le trovate nel suo sito personale