Venezia, Teatro La Fenice:”Lucia di Lammermoor”

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Lirica 2o11
“LUCIA DI LAMMERMOOR”

Dramma Tragico in tre atti su libretto di Salvatore Cammarano, dal romanzo The Bride of Lammermoor di Walter Scott.
Musica di Gaetano Donizetti
Lucia Ashton JESSICA PRATT
Edgardo di Ravenswood SHALVA MUKERIA
Enrico Asthon CLAUDIO SGURA
Raimondo Bidebent MIRCO PALAZZI
Lord Arturo Bucklaw LEONARDO CORTELLAZZI
Alisa JULIE MELLOR
Normano LUCA CASALIN
Coro e  Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia.
Direttore Antonino Fogliani
Regia John Doyle
Scene e costumi Liz Ascroft
Luci Jane Cox
Produzione Fondazione Teatro la Fenice con Houston Grand Opera e Opera Australia.
Venezia,  26 maggio 2011
Nel ricco programma di sala dell’opera non c’è nessuna spiegazione a cosa abbia spinto il regista John Doyle a far si che la scenografa e costumista Liz Ascofrot concepisse una Lucia di Lammermoor cosi insipida. E’ nota l’ambientazione scozzese, una regione nella quale non brilla certo il sole 365 giorni all’anno, ma che tutta l’opera sia concepita in contenitore “metereologico” fatto di nubi plumbee che si ripetono costantemente nelle quinte e in un sipario che sale e scende a divedere la scena (da cosa?) è decisamente troppo.  Trascorsi i primi 10′ lo spettatore potrebbe anche fare a meno di guardare, tanto non succede praticamente nulla. Oltre alla monotonia scenica, possiamo aggingere dei costumi stilisitcamente confusi. In che epoca siamo?…’700? ‘800? Cambia poco, sono brutti e basta.  La concezione registica dei personaggi è pressochè inesistente: non vi è un’idea che sia una, se non quella di fare muovere il coro come degli automi. Uno spettacolo visivamente inutile. Tanto valeva proporre l’opera di Donizetti in forma di concerto e non il Rheingold!…
Sul piano musicale le cose vanno decisamente meglio anche se la concertazione di  Antonino Fogliani è alquanto svogliata e senza una visione unitaria e approfondita della partitura, benchè l’esecuzione sia pressochè integrale. Non mancano poi gli squilibri ritmici. Non a caso la resa dell’orchestra della Fenice appare decisamente aldisotto del normale standard. E veniamo agli interpreti. Normale partire dalla protagonista, il soprano Jessica Pratt. Possiamo subito avanzare l’ipotesi che il soprano non fosse in serata. Lo si può supporre da una resa vocale piuttosto alterna e possiamo sicuramente dire senza momenti memorabili. L’emissione della Pratt è dolce e tonda, ma allo stesso tempo i suoni gravi sono tendenzialmente sfocati. Il meglio dovrebbe venire dal registro medio acuto, ma anche qui, il controllo tecnico è alterno: belle le note emesse con dolcezza, meno negli acuti emessi a voce piena. Tant’è che al tanto atteso momento della scena della pazzia, si notano subito tensioni e i due mi bemolle, al termine della cadenza e della cabaletta sono alquanto avventurosi. A ciò aggiungiamo che, benchè non aiutata dalla regia, la Pratt è una Lucia piuttosto generica: non la si può collocare né in un ambito tragico (alla Callas) né tantomeno in quello metafisico-virtuosistico (alla Sutherland). In conclusione, fosse o meno “in serata”, è consigliabile alla Pratt una “pausa” di riflessione su come e dove intende orientare la sua carriera.
Una bella sorpresa invece l’Edgardo di Shalva Mukeria. Il tenore georgiano non vanto certo un timbro sopraffino e nemmeno si può dire scenicamente bello, ma ci fa sentire come si dovrebbe cantare Donizetti: con una voce omogenea e timbratissima, delle mezzevoci suggestive e sempre “sul fiato”, fraseggio vario ed elegante, sempre nobilissimo senza scivolare mai in effettacci fuori luogo. E’ veramente un evento sentire un Edgardo non imparantato con Turiddu!… Claudio Sgura non è certo un baritono donizettiano, tende a cantare sempre forte e con pochi colori e quei pochi sono sempre orientati al concetto di baritono “truculento”. Fortunatamente evita di cadere nel “verismo”, ed è già qualcosa. Mirco Palazzi non ha certo una vocalità per una concezione “solenne”, magniloquente di Raimondo, ma  canta con gusto e proprietà di stile ed essendo un personaggio “buono” mostra quelle che dovrebbero essere anche le sue caratteristiche, ossia essere consolatore e saper mostrare commossa pietà e vibrazioni di dolore. Leonardo Cortellazzi (Arturo) canta lodevolmente la sua aria di sortita, il che è raro, mentre Julie Mellor (Alisa) e Luca Casalin sono semplicemente decorosi. Teatro gremito, successo cordiale con  qualche isolata contestazione  verso  il direttore d’orchestra.