Vittorio Grigolo nel “Roméo et Juliette” alla Scala di Milano

Nessuno potrebbe mai riuscire a disegnarlo. Il volto di Romeo, ovviamente. Sta nella fantasia di chiunque. Noi lo abbiamo incontrato in occasione del Rigoletto diretto da Nello Santi a Zurigo: una città che nella sua vita è anche una tappa fatta di tanti amici e importanti successi. Procede così la maratona di Vittorio Grigolo verso il podio, dove siedono con irrequietezza i più grandi cantanti del momento. Fortunatamente non si tratta di una corsa perchè il giovane tenore, non avendo fretta di raggiungere qualcosa o di arrivare in qualche luogo, possiede l’acume e il talento per poter scegliere il “suo” repertorio, per seguirlo, perfezionarlo fino a dominarlo con il vigore sensuale dell’interpretazione scenica e l’immacolato controllo della voce. E’ più facile rimanere sul podio se si arriva senza spaccarsi la voce, la testa e il cuore. Beni preziosi per Vittorio, dei quali sa prendersi cura con costanza e tenacia. Sono trascorsi alcuni anni dal suo primo debutto alla Scala nel 2000 per il concerto inaugurale verdiano, per quello di Riccardo Muti e dal suo ritorno ancora nel 2008 per Gianni Schicchi. Anni che hanno dato il tempo all’Italia di cambiare e, purtroppo, non sempre in meglio. Soprattutto la cultura e ancor di più la lirica hanno risentito di un voluto e veloce andamento verso il basso non solo del senso morale, ma anche civico del nostro vivere e delle nostre vite.
A giugno Vittorio Grigolo canterà nel Roméo et Juliette di Gounod, diretto da Yannick Nezet-Seguin alla Scala di Milano, in quel tempio dell’Opera che ha visto per tre secoli scrosci di applausi del pubblico mischiarsi agli scrosci di lacrime dei cantanti: stesse ragioni, stesse emozioni. Per riuscire ad immaginare il risultato di questo nuovo allestimento di Bartlett Sher, la cui prima è prevista per il 6 giugno, proviamo a mettere insieme alcuni elementi caratterizzati dall’attitudine alla perfezione: una delle opere simbolo del drame-lyrique, uno dei teatri più famosi, uno dei registi più premiati, uno dei direttori più internazionali, una delle orchestre più impeccabili, uno dei tenori più amati e uno dei soprani più ammirati.
Abbiamo chiesto a Vittorio cosa succede tra il prima e il dopo…
Come ti stai preparando al ruolo? C’è qualcosa che stai facendo o non facendo rispetto agli altri debutti?
Ci metto tutto me stesso corpo ed anima, come al solito. Le difficoltà tecniche non sono poche ma quando queste vengono superate attraverso la maturazione dell’intero ruolo, ci si libera nel corpo e si da spazio alla vera arte, alla trasmigrazione dell’anima musicale, al passaggio tra reale e soprannaturale…quello che trasforma lo studio in arte. Di solito preparo tutti i miei ruoli allo stesso modo. Se posso cerco di studiarli per circa un mese 3-4 mesi prima del debutto. Poi li lascio andare… per riprenderli nuovamente il mese precedente le prove. Questo modo di procedere mi da il tempo di far maturare l’opera da sola. Perfino quando non si canta essa continua a progredire, nel sonno, durante il giorno… anche se non me ne accorgo. Così funziona per me. E’ incredibile: quando la riprendo dopo due mesi, invece di averla dimenticata sembra essere contrariamente maturata! Guardo anche film, ovviamente mi documento sui personaggi e su ciò che caratterizza un ruolo, la provenienza, la famiglia… tutti colori e sfumature di esperienze di vita che andranno ad arricchire la voce in primis e l’esecuzione finale dopo.
La tua Juliette sarà Nino Machaidze, con la quale hai già cantato proprio alla Scala in occasione del  Gianni Schicchi diretto da Riccardo Chailly. Due belli, fortunatamente anche bravi. Cosa ti aspetti dalla tua partner?
Dalla mia partner mi aspetto tutto…voglio tutto…mi piace scambiare le energie totalmente e sentire che queste fluiscono da corpo a corpo tornando indietro come un’onda. Abbiamo avuto già un passato lavorativo insieme, ma mai così coinvolgente come nell’interpretazione di questi due ruoli. Ci sarà molta carne al fuoco e diversi stati d’animo da sviluppare insieme. Speriamo maturino e si cucinino al punto giusto. Essere ed avere le physique du role aiuta non solo noi stessi in termini di credibilità, ma anche coloro che avranno il piacere di vivere questa meravigliosa favola d’amore mai tramontata e sempre attualissima. Poi ovviamente quando si debutta un ruolo è inevitabile cercare il supporto energetico in palcoscenico… bisogna aiutarsi…sempre, affinché tutto sia vero, reale, anche se nella finzione scenica. 
Tra i mostri sacri che, in epoca moderna, hanno meglio interpretato Romeo chi prediligi o a chi ti ispiri? Bjoerling, Corelli o Alfredo Kraus ?
Tutti grandi nomi di una storia senza pari. Spero di poter scrivere almeno un pezzetto della mia, che di sicuro già sto scrivendo perchè il ruolo mi piace moltissimo e mi regala emozioni meravigliose. Non saprei chi scegliere, sono tutti interpreti grandiosi.
Gounod compose il suo Roméo et Juliette sotto l’effetto di un furore creativo che spesso lo divorava. Si dice fosse schizofrenico. Senza arrivare alla schizofrenia, anche tu canti meglio sotto l’effetto di certo furore creativo?
Credo proprio che ora non divori solo lui ma anche noi nell’eseguire un tale capolavoro. Magari tutti gli schizofrenici potessero fraseggiare con tanta semplicità! Ovviamente, il furore creativo è utile, l’ispirazione deve arrivare da ogni cosa che serve per poterci esaltare e spingerci a fare cose mai fatte prima, a rischiare e a metterci in gioco con tutto: furore, passione… ebbrezza! 
Roméo si innamora di Juliette con un “coup de foudre”? Quanto conta il colpo di fulmine nella tua vita? In amore, nel lavoro, negli acquisti, ecc…
Devo ammettere che vivo tutto di getto… qualunque cosa per me è un coup de foudre. Non ragiono mai più di tanto su acquisti, su decisioni. Solo sulla musica mi soffermo… strano no?
Considerato il tema della fugacità proposta nell’Opera, secondo te la gioia ha il tempo contato?
Tempus fugit! Non solo la felicità corre via, ma va rincorsa sempre. E quando si raggiunge, la si deve lasciare andare per poi essere di nuovo felici quando la si riafferra. Mai dare tutto per scontato e quanto è bello essere sempre in gioco…
Con quale “vestito” ti trovi più a tuo agio: in quello della drammaturgia pura di Verdi o in quello più lirico di Gounod?
Entrambi mi danno il pane quotidiano e ad entrambi dovrei fare un monumento o accendere un cero ogni giorno della mia vita. Mi sento a mio agio con tutti e due anche se la facilità che trovo nel repertorio francese, e specialmente in questa opera, mi rende ancor più fan di Gounod di quanto non lo fossi stato prima con Faust, altro grande ruolo che amo.
Rispetto al dramma di Shakespeare uno dei cambiamenti più forti è alla fine dell’opera: Gounod preferisce tagliare la scena di riconciliazione tra i Capuleti e i Montecchi, lasciando da soli i protagonisti, quasi già proiettati in un mondo dell’aldilà dove si ritroveranno. Secondo te è possibile una vita ultraterrena?
Certo… la fede è un mistero. Si dice che si possiede dalla nascita. Io credo nell’aldilà perché penso che sia troppo effimero sapere che tutto intorno è già finito. Viviamo circondati d’infinito, essendo pur finiti… che depressione se fosse davvero così. Il fatto di lasciare Romeo e Juliette da soli rafforza il dramma e la tragedia, in questo caso melodrammatica. Shakespeare al contrario include il dramma familiare più sulla società, pur sempre incantevole, che sull’individuo.
Come si sarebbe potuto salvare Romeo? Rischiando meno nel suo amore per Giulietta o nella sua amicizia per Mercuzio? Cosa lo ha portato alla morte?
L’estremo, tutto ciò che va oltre, ci può portare a gesti dai quali non si può tornare indietro. In questo caso si tratta di estremo amore, estrema amicizia, estrema sensibilità, che in un mondo dove non sono riconosciuti vuol dire Morte. 
Quale parte vocale e scenica di Romeo ritieni irrinunciabile per la riuscita dell’Opera?
Non taglierei nulla. Tutte le parti, ogni nota è al suo posto… al posto giusto! Forse alcune ripetizioni con il coro, ma nessuna parte solistica scoperta.
Quale messaggio al nuovo Ministro della Cultura della nostra Italia da un tenore che della musica ne ha fatta passione e ragione di vita?
Chiederei di sostenere di più questa cultura tutta Italiana, ma anche ogni arte correlata all’Opera: la musica in generale, i corpi di ballo e tutti gli artisti e musicisti che con gioia si dedicano anima e corpo all’arte, che difficilmente paga. Basta con la fuga dei talenti.