Torino, Teatro Regio:”La Traviata”

Torino, Teatro Regio, Stagione Lirica 2010 / 2011
“LA TRAVIATA”

Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry ALEKSANDRA KURZAK
Alfredo Germont STEFANO SECCO
Giorgio Germont FABIO MARIA CAPITANUCCI
Flora Bervoix CHIARA FRACASSO
Annina BERNARDETTE LUCARINI
Gastone ENRICO IVIGLIA
Il barone Douphol PAOLO MARIA ORECCHIA
Il marchese D’Obigny SETH MEASE CARICO
Il dottor Grenvil DARIO RUSSO
Giuseppe SABINO GAITA
Un domestico di Flora FRANCO RIZZO
Un commissionario ENRICO BAVA
Ballerini SIMONA TOSCO, LUCA ALBERTI
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Patrick Fournillier
Maestro del Coro Claudio Fenoglio
Regia e costumi Laurent Pelly
Regia ripresa da Laurie Feldman
Scene Chantal Thomas
Luci Gary Marder
Allestimento del Teatro Regio di Torino in coproduzione con Santa Fe Opera Festival
Torino, 26 aprile 2011

La ripresa, in questa stagione, della Traviata che inaugurò il 2009-2010, rientra nel progetto del Regio di costruire, all’interno delle proprie stagioni, una “via italiana al repertorio” che permetta frequenti riprese dei propri allestimenti di maggiore successo dei titoli più popolari, preservando l’alto livello qualitativo di ogni singola rappresentazione. L’idea non è certamente sbagliata; peccato che questa Traviata non abbia risposto alle intenzioni del teatro, e sia stata un esempio di come il repertorio possa facilmente scadere in routine.
L’allestimento, anzitutto, non si può certamente dire che sia dei più riusciti del Regio. L’ambientazione a flashback che si apre col funerale di Violetta nel preludio non è affatto una novità. Dare lo spettacolo con un solo intervallo, spezzando a metà il II atto, sarà pure normale all’estero, ma sconvolge in maniera arbitraria la drammaturgia dell’opera. Far morire Violetta da sola, dopo che gli altri personaggi si sono allontanati dalla scena, capovolge la prospettiva del finale. Non identificare con precisione l’epoca d’ambientazione può andar bene, ma trasformare un’elegante escort d’alto bordo in una puttanella da cabaret che lancia risate isteriche e scopre le mutandine non mi pare rispettoso né del personaggio-Violetta né di Verdi; e l’anno e mezzo di riposo non è servito ad emendare i punti più critici di una regia che, anzi, è forse diventata ancor più volgare.
In secondo luogo, la prassi esecutiva. Se nell’ottobre 2009, sotto la guida di Gianandrea Noseda, la partitura, eccezion fatta per il da capo della cabaletta di Alfredo, era stata eseguita per intero, questa volta Patrick Fournillier – che anche nel Rigoletto ha eliminato la ripetizione della cabaletta del Duca – l’ha falcidiata secondo le peggiori tradizioni, sopprimendo ogni ripetizione e doppia strofa; non è giunto, per fortuna, a cancellare le cabalette dei Germont, ma al giorno d’oggi queste economie san tanto di produzione di serie B. Senza contare che la direzione non è parsa brillante nemmeno in ciò che è stato eseguito, poco studiata nei tempi e poco attenta all’equilibrio tra buca e palcoscenico (la porzione conclusiva del duetto tra Violetta e Giorgio, ad esempio, è stata coperta dall’orchestra).
Infine, la compagnia di canto. Un anno e mezzo fa la regia passò in secondo piano a fronte di un’interpretazione memorabile, ora si è assistito a un’esecuzione discreta ma che pochi ricorderanno a lungo. Aleksandra Kurzak è nota e si presenta come soprano di coloratura, ma la coloratura è parsa il lato più debole della sua Violetta. In particolare, l’aria del I atto è suonata assolutamente piatta, e non vi si è potuta percepire alcuna trasformazione spirituale tra il cantabile e la cabaletta, i cui acuti, cantati con un fil di voce e non appoggiati, erano al limite dell’udibile. Più convincente è stata la sua interpretazione del II e III atto, dove è emersa una spiccata caratterizzazione del personaggio nei momenti in cui Violetta è più insicura e indifesa; ne esce, in particolare nel duetto con Germont, una figura sofferente, simile, in certo senso, all’Alfredo proposto dal tenore Stefano Secco. Secco, infatti, ha dato per tutta la serata l’idea di compiere uno sforzo sovrumano per spremere le proprie corde vocali, e soltanto quando era al proscenio la sua voce correva limpida per la sala. Può essere una lettura interessante dello sforzo di vivere che spesso caratterizza il personaggio di Alfredo, più tormentato nelle proprie azioni di quanto si sia abituati a pensare (lo sforzo della dichiarazione d’amore, la presa di coscienza d’essere mantenuto da una donna, la lacerazione tra amore ed ira nella festa del II atto), ed alcuni passi riescono particolarmente espressivi, come la cabaletta “Oh mio rimorso! o infamia!”, purtroppo rovinata in chiusura da un acuto sgraziato; si tratta indubbiamente, tuttavia, di un Alfredo meno suadente di quello che ci si aspetta di ascoltare. Il baritono Fabio Maria Capitanucci, nel ruolo di Giorgio Germont, presenta certamente margini di approfondimento interpretativo e deve dare una ripassatina al libretto (la prima strofa di «Di Provenza» è stata totalmente sconvolta nel testo), ma risulta essere il professionista più convincente quanto a stabilità della voce e solidità tecnica. Non male la schiera dei personaggi secondari, ma non si può dire che qualcuno di loro sia rimasto impresso nella memoria.
Una decina d’anni fa, al Regio, si era già avuto un simile effetto-Traviata: la produzione proposta nel 1999 con Patrizia Ciofi, Giuseppe Sabbatini e la direzione di Bruno Campanella (molto criticato per i tempi lenti e l’approccio donizettiano, ma assai apprezzato da chi ora scrive) era stata riproposta nel 2001 con diverso direttore, tagli vari, ed una compagnia di canto che a tratti lasciava a desiderare. Ci si augura che il teatro, nel percorrere la “via italiana al repertorio” (che nella stagione 2011-2012 si concretizzerà, su dieci titoli d’opera, in ben sette riprese di passati allestimenti, quattro dei quali visti nel corso delle ultime due stagioni), sia fedele al proposito di dare ad ogni serata un tocco qualificante che la faccia diventare unica.
Foto Ramella & Giannese