Maria nei ricordi di Walter Legge (prima parte)

Non c’è dubbio che Walter Legge sia stato al centro della “renaissance” musicale europea dopo il 1945. Non solo creò la London Philharmonic Orchestra, che divenne poi il migliore complesso orchestrale degli anni Cinquanta, ma fu anche colui che scoprì, e portò poi alla fama mondiale, tre delle personalità musicali più dotate del dopoguerra: Herbert von Karajan, Elisabeth Schwarzkopf e Maria Callas.
Sarebbe in realtà difficile sottovalutare il ruolo fondamentale di Legge nella carriera discografica della Callas. Come artista e direttore di repertorio per l’etichetta Columbia della EMI, fu un tramite decisivo per portare la Callas alla EMI, e in seguito i suoi suggerimenti e le sue decisioni furono cruciali nel determinare la scelta di repertorio da registrare. Soprattutto partecipò attivamente a tutte le sessioni di registrazione, aiutando così la cantante a dare un impronta personalissima ai suoi principali ruoli operistici. La testimonianza di Legge è quindi estremamente interessante, poiché fornisce un ritratto della Callas vista da chi raggiunse con lei un livello incomparabile di intimità artistica; e benché alcuni di questi commenti possano forse essere stati sentiti altrove, potete essere sicuri che ciò che leggerete proviene da una fonte autorevole, e non da una qualsiasi cameriera o da un autista, desiderosi soltanto di fare qualche soldo rilevando qualche particolare sulla loro famosa datrice di lavoro.
Ma Legge non ha mai scritto delle vere e proprio memorie, Ha scelto invece di mettere su nastro ricordi della sua collaborazione con i molti artisti che seguì e di cui fu il produttore nel lungo periodo in cui lavorò alla EMI. Questi nastri sono ora di proprietà di Nikos Velissiotis, e cogliamo l’occasione per ringraziarlo per averci dato l’opportunità di pubblicare una parte di questi nastri. Ecco cosa racconta Legge:
“L’ho ascoltata per la prima volta abbastanza tardi. Ne avevo sentito parlare molto. Chiesi ad un amico. Boris Christoff, che cosa ne pensasse e lui mi disse: “E’ molto brava ma non penso che sia il tuo tipo di cantante. Ora, so per esperienza che se un collega dice così vuol dire che c’è sotto qualche qualità straordinaria. Quindi quando Christoff mi disse che non era il mio tipo io capii subito che lo era. E così un giorno in cui io e mia moglie eravamo ospiti dei Christoff, a Roma, e io vidi che la Callas cantava la Norma dissi a mia moglie che sarei andato e di non dire niente. Penso che quella fosse la prima volta che cantava la Norma. Dopo il primo atto ero talmente sconvolto che saltai in un taxi, mi precipitai nell’appartamento dei Chritoff e dissi mia moglie “ devi assolutamente venire a teatro con me. Ho appena sentito la Callas”. Lei mi disse: “ No, non vengo, l’ho ascoltata alla radio nella trasmissione della Martini e Rossi. Non ho mai sentito una coloratura così bella, in vita mia” Doveva essere il ’48 o il ’49.
Aveva come cantante l’elemento essenziale per arrivare ad essere una star: una voce personalissima, inconfondibile. Basta ascoltare anche solo mezzo solco di un vecchio LP, se è la Callas che canta, la si riconosce subito. La sua musicalità era enorme. In parte le veniva dall’istinto, in parte l’aveva coltivata…Un giorno ho fatto una lunga chiaccherata con quella che era la segretaria di Mitropoulos al tempo in cui la Callas frequentava il Conservatorio in Grecia. Lei mi disse che la Callas era sempre la prima ad arrivare: una ragazzotta grassa con le tasche rimpinzate di panini. Assisteva a tutte le lezioni; a tutte le lezioni di armonia, ad ogni lezione di contrappunto. Era la prima persona ad arrivare la mattina e l’ultima ad andarsene la sera. Si applicava con quella incredibile energia che l’ha accompagnata per tutta la vita, anche quando era una studentessa.
Della sua voce si può dire che non era materiale stupendo. Voglio dire, non era certo il materiale che avevano Rasa Ponselle o Rethberg, per parlare di cantanti relativamente recenti. E non era neache una voce divina come quella di Gigli. Ma ha saputo trasformare il materiale che aveva in uno strumento straordinario, e questo l’ha imparato da sola, grazie alla sua intelligenza, sebbene lei attribuisca enorme merito alla De Hidalgo, sua maestra…Con Rosa Ponselle non  ha studiato mai. Penso che non l’abbia mai sentita dal vivo. Ne conosceva i dischi ma penso che non le abbia mai   parlato. Credo soprattutto, che fu la Callas stessa, con la forza di volontà, a costruire e modellare la sua voce. Vede, io non credo che esistano buoni insegnati di canto o cattivi insegnanti di canto; penso che ci siano buoni studenti o cattivi studenti. Non ho mai sentito di un insegnante di canto che abbia creato molti bravi cantanti. Ma talvolta, per una specie di miracolo, capita che un cantante trovi proprio l’insegnante giusto da cui imparare.
Una cosa che pochissime persone hanno capito della Callas è che pur essendosi preoccupata durante tutta la carriera del bel canto, cioè del cantare bene, è stata una delle poche artiste che deliberatamente potesse produrre dei suoni di grande intensità drammatica da una sola sillaba, o addirittura da una singola consonante, per trasmettere il significato drammatico. Lei stessa ha spesso ripetuto: “ Non sempre i testi che cantiamo sono alta poesia, ma questo mi lascia indifferente. Io so che per evocare un effetto drammatico per il pubblico e per me stessa devo produrre suoni che non siano belli. Quindi non mi importa se sono brutti finchè sono veri”. ( Fine prima parte)