Stefano Aresi ha ottenuto il proprio diploma di dottorato in musicologia presso l’università di Pavia, con una tesi attinente le cantate da camera di Nicola Antonio Porpora. Autore di monografie, articoli ed edizioni legate alla nascita della musica galante e alla prassi esecutiva, ha pubblicato per ETS, SIdM, Pavia University Press, Baerenreiter (MGG), Laaber-Verlag, Gran Tonante. Dalla primavera del 2010 è a capo del comitato scientifico di Accademia Bizantina. Allievo di G. Antonini, M.C. Vela e F. Bettini, ha lavorato come consulente musicologico, assistente e/o direttore di registrazione per alcuni tra i maggiori gruppi di musica antica, quali Accademia Bizantina, Il Giardino Armonico, Ensemble 415, La Venexiana, L’Arpeggiata, ecc. Nel 2010 ha fondato Stile Galante. Ma aldilà di queste note artistiche, Stefano Aresi è quello che possiamo definire “un personaggio”, una personalità vivace, battagliare, sempre in prima linea non solo in campo musicale. Lo potete scoprire in Facebook o nel sito ufficiale di Stile Galante.
Stile Galante?
“Stile Galante” nasce come risposta alla necessità di un approccio autonomo nei modi e nei metodi al repertorio italiano vocale cosiddetto ‘galante’ (soprattutto in ambito napoletano, e in specie per le cantate da camera). Questa produzione artistica o tende a sfuggire all’esecuzione da parte dei gruppi specializzati nostrani, o è, a mio modestissimo parere, spesso fraintesa. Forse perché, come diceva il compianto Francesco Degrada, è il frutto di una realtà produttiva ed estetica che “la coscienza moderna rifiuta, e, di fatto, ignora”.
Di certo la poca frequentazione esecutiva con lo stile galante fa sì che non di rado non si considerino importanti, nel riproporla al pubblico, i dettagli specifici della sua prassi e, soprattutto, il suo inquadramento stilistico ed estetico. Personalmente, nascendo come studioso di questo repertorio poi “prestato” alla musica pratica, sentivo come fondamentale un lavoro di valorizzazione che portasse in modo coerente al cuore del pubblico quanto da anni sta emergendo nei convegni musicologici (dove la conoscenza di questo enorme lascito culturale è già parecchio avanzata, con grandi eccellenze italiane, spesso giovani): la voglia comune con artisti con cui già collaboravo in altri contesti di sperimentare, di capire, di approfondire, smontare e rimontare queste composizioni, di fare proposte pratiche a prescindere dalle mode esecutive del momento, ha fatto il resto.
Come è composto il gruppo?
Il gruppo è composto, oltre che dal sottoscritto, da un nucleo di base di quattro cantanti (i soprani Emanuela Galli e Francesca Cassinari, il mezzosoprano Marina De Liso ed il baritono Fulvio Bettini) e da tre continuisti (Andrea Friggi, cembalista e organista, Gabriele Palomba, tiorbista, Ludovico Minasi, violoncellista). Ovviamente, a seconda delle esigenze, l’organico muta e si amplia, si trasforma, comprendendo anche archi e fiati. Il principio con cui ci muoviamo non è tanto quello di “fare” della bella musica vocale, ma di comprendere, servire e rendere merito alla bellezza e ai contenuti di certa musica vocale.
Il testo musicale e la sua piena comprensione vengono infatti prima di tutto, se si vuole avere rispetto del pubblico. Spesso si crede che per affrontare queste composizioni basti un cantante in grado di valorizzare le difficoltà tecniche di un’aria di bravura: questo è però solo un aspetto (uno solo, e solo in una minoranza dei casi esso è primario) in un contesto assai più eterogeneo e vario di quanto si pensi…
Quali sono, quindi, i punti-chiave per proporre oggi questa musica?
I punti di maggiore importanza nell’esecuzione della musica in stile galante sono l’eleganza, il senso del fraseggio, la coerenza stilistica, la precisione, la raffinatezza dell’approccio, il rapporto tra la voce e l’accompagnamento, e la rosa dei dettagli che tale accompagnamento deve avere. Per far funzionare la musica galante, quindi, avere una tecnica di ferro è solo il primo passo: l’esibizione dell’aspetto ginnico, l’intonazione precisissima, l’omogeneità o meno dei registri sono elementi che servono come strumento per cesellare una esecuzione che si muove in funzione dell’aspetto affettivo-emotivo, per comunicare dei contenuti intellettualmente importanti. L’ossessiva sottolineatura, a livello divulgativo, della presenza di alcuni tipi di virtuosismo molto appariscente in questa musica (colorature ecc.) non può essere affatto la chiave di lettura di autori quali Hasse, Porpora, Leo, Vinci: ne uscirebbero totalmente distorti, come difatti, purtroppo, anche di recente è accaduto, a livello discografico.
Si deve quindi puntare più al cervello che alla “pancia” dell’ascoltatore?
Io preferisco seguire tutte e due le cose insieme, da un certo punto di vista. Stiamo parlando di musica con una carica edonistica, quasi erotica, costante e fortissima. E mi piace sottolinearlo tanto. Ma non posso non tenere per care le regole che animano questo edonismo. Gravina, maestro di Metastasio e Rolli (autori che lavoravano letteralmente al medesimo tavolino con i compositori di cui ci occupiamo) sistematizza in modo esemplare nei propri scritti il principio classico per cui la musica debba sedurre i sensi (fatto fondamentale) per toccare il cuore; una volta mossi gli affetti del cuore, la musica fa sì che l’animo (il cervello) colga il messaggio che la poesia del testo porta con sé. Per un musicista del Settecento arcadico questo era un punto di partenza sentitissimo e imprescindibile: per riuscire a far brillare questa musica, per far amare al pubblico il mondo un po’ stereotipato e intellettualoide, ma vivissimo e ricco di sfumature espressive, dei pastori e degli eroi, è necessario partire proprio da qui. La poesia non è un accessorio di questa musica, ne è l’anima.
Per farti un esempio di come lavoro in merito, per il prossimo progetto legato a Vinci ho inviato ai cantanti il testo poetico delle cantate autonomamente, ben prima di mostrare loro una sola nota scritta dal compositore, perché lo leggessero e lo studiassero; in prova lo abbiamo recitato insieme, in prosa, per confrontarci sul taglio espressivo; per prendere le mie scelte interpretative io stesso preferisco in genere fare prima una esegesi approfondita della poesia, e poi metterla in relazione con ciò che ha fatto il compositore: in questo modo, ad esempio, si può aprire lo scrigno degli splendidi tesori spesso nascosto tra le pieghe dei recitativi secchi. Questa attenzione è secondo me fondamentale per fare nostro in modo profondo e comunitario questo linguaggio musicale, per meglio comprenderlo, apprezzarlo, sottolinearne la qualità, viverne per primi l’eccezionale vivacità, e, quindi, arrecare piacere al pubblico.
Una cosa che colpisce chi conosce questo repertorio è l’assenza di voci di controtenore nei vostri programmi. Si tratta di una scelta precisa?
Sì: la voce dei controtenori (e simili) in questo repertorio non esisteva e non era affatto ricercata allora. Chi pensa che l’impiego di questa tipologia di cantanti possa essere una soluzione storicamente o esteticamente credibile al problema dell’assenza moderna delle voci di castrato, sostiene solo una moda. Nel Settecento avevano un animo artistico e un approccio assai meno genderista del nostro, sulla questione: le cantanti en travesti erano una norma laddove i castrati non erano disponibili. Di certo non si ricorreva al ripiego delle voci in falsetto e simili: se c’è una certezza in merito è che ciò che determinò il successo dei castrati con l’aprirsi del Rinascimento, due secoli prima, fu proprio la loro netta differenza in meglio (in termini di omogeneità timbrica, forza e naturalezza di emissione, colore) rispetto ai “falsettisti spagnoli” romani o ai bambini allora presenti nelle Cappelle Musicali. Ribadisco: una soluzione storicamente credibile l’abbiamo da sempre, in quanto attestata storicamente e ritenuta valida, all’epoca: la voce di una cantante donna. Il resto è frutto di una tendenza postmoderna che non riesce ad affascinarmi, anche se ovviamente mi godo volentieri l’esibizione di un buon cantante a prescindere dal repertorio e dalla tipologia specifica di voce.
Per il mio lavoro ho però scelto la credibilità storica come base di una acquisizione fondamentale di elementi estetici e di linguaggio, come lente attraverso cui guardare e comprendere questa musica, per poi essere creativo ed emotivamente forte davanti al pubblico; ed essendo questa una musica in cui la voce regna sovrana, ne consegue che trovi importantissime le qualità specifiche del timbro dei miei cantanti, la loro limpidezza emissiva, la loro flessibilità nel mutare di continuo colori, l’ottimizzazione delle micro e macrodinamiche, il controllo totale del mezzo vocale, ecc.
Quali sono i vostri progetti futuri?
In Italia il nostro desiderio primario è quello di proseguire il rapporto con il Centro di Musica Antica della Pietà dei Turchini di Napoli e la Fondazione Pergolesi-Spontini di Jesi nel recupero del patrimonio napoletano. Stiamo inoltre valutando l’ipotesi di progetti di valorizzazione delle Cantate da camera galanti conservate in alcune biblioteche lombarde: vedremo le evoluzioni dell’idea nei prossimi mesi. Il progetto che però sta occupando di più il nostro tempo è il prossimo disco, che registreremo per Pan Classics ad Agosto e che sarà dedicato, come accennavo, alla figura di Leonardo Vinci. Alcune delle sue più belle cantate per soprano (tra cui due chicche dedicate a Faustina Bordoni Hasse e Vittoria Tesi) verranno proposte in prima mondiale insieme a lavori di Leo, Porpora e Alessandro Scarlatti. Nella creazione del programma ci siamo avvalsi della consulenza della massima esperta del repertorio vocale da camera di Vinci, Giulia Anna Romano Veneziano, uno dei tanti cervelli in fuga dalle nostre università.
Sarà un disco molto diverso da Passio: se in questo primo CD il nostro desiderio era di coinvolgere l’ascoltatore in un mondo spirituale denso e fortissimo nelle proprie tinte cupe e dolenti, quasi senza tempo, con il prossimo vogliamo divertirci insieme lui identificandoci negli atteggiamenti quasi adolescenziali che caratterizzano gli amori pastorali delle Cantate arcadiche. Sono realtà che hanno modelli di riferimento culturali ben diversi, ma che convivevano nella quotidianità di queste persone: sono convinto che la qualità eccellente dei recitativi (che sono importantissimi e desideriamo vengano finalmente ascoltati con l’attenzione che meritano) così come quella delle arie (alcune di una densità musicale sfacciata,altre di una semplicità bucolica deliziosa) ci aiuterà ad aprire una breccia nel muro cronologico che ci divide da autori così raffinati e profondi, capaci di apparire coinvolgenti e vivi nei propri lavori ancora a secoli di distanza.
Dunque, per il momento puntate principalmente alla musica vocale e, a tale proposito guardi anche al melodramma vero e proprio?…
L’idea è che il gruppo punti al repertorio della Cantata da camera… il che vuol dire in un mare magnum di possibilità, a volte con organici davvero importanti. E’ lì che mi trovo più a mio agio, che i compositori lavoravano sodo, in quanto era il luogo dove nascevano e si provavano le idee che poi finivano nei drammi.
Credo che il mondo della Cantata da camera offra degli esempi, anche di modernità di linguaggio, quasi superiori a quelli del melodramma, non pensi?
Dipende molto da quando, da chi, e dal contesto esecutivo e dal momento storico. E’ un mondo che è caratterizzato da diversi tipi di consumo: le cantate ad uso di intrattenimento, spesso montate in copisteria e scritte in 5 minuti, alcune brevissime; le Cantate celebrative; quelle intese come “musica riservata”… dipende davvero tanto. La Cantata di Porpora non è quella di Zingarelli, così come non è più quella di Pasquini… Quindi dipende sempre da caso a caso.
Sicuramente…in ogni caso c’è una casistica quanto mai vasta, anche nella scelta del soggetto… Al momento quali le più originali, se si può usare questo termine, nella quali ti sei “imbattuto”?
Una fa parte del prossimo cd che abbiamo registrato lo scorso agosto: Mesta oh Dio tra queste selve di Vinci. Ma direi che anche Il Ritiro e Calcante e Achille di Porpora sono davvero particolari. Poi Scarlatti padre, Leo, Hasse… credo che ogni autore di qualità ne abbia prodotte di eccellenti… non saprei farti una cernita.
Indubbiamente, anche perché se ne producevano veramente molte…di molte hai trovato anche l’occasione di esecuzione? La dedica alle grandi cantanti era legato al fatto che queste poi le eseguivano quando erano invitate da qualche nobile? O semplicemente per accattivarsele?…
Allora… bisogna dire che può non sembrar vero ma con la Cantata, nonostante sia studiata dai primi del ‘900, siamo ancora in alto mare. Fortunatamente è iniziato un progetto sistematico (si chiama Clori) per la catalogaziona almeno nazionale italiana. Nei casi in cui mi sono imbattuto io il nome di un grande virtuoso è legato ai manoscritti per differenti motivi: 1) è stata scritta per lui, perché la eseguisse in uno specifico contesto 2) è un suo pezzo “di baule” 3) gli è dedicata a prescindere (fatto rarissimo) 4) l’ha scritta il cantante stesso. Nel caso delle Cantate di Vinci che registreremo, quella di Faustina è stata scritta per lei perché la cantasse in una Accademia (ovviamente privata) in occasione della sua dipartita da Napoli. Quella per la tesi, invece, mostra un organico più ampio ed è stata scritta per lei quasi sicuramente per un concerto di ordinaria amministrazione presso qualche sede appropriata: grosse Accademie semiprivate, o altro.
Fino ad oggi, tra i compositori che stai studiando qual è il più prolifico in questo genere?… Si arriva a un massimo di 3 o 4 voci? Prevalgono quelle per le voci femminili, rispetto a quelle per tenore o basso?
Allora: la Cantata da camera è, tolti rari casi, per voce sola. Il maggior corpus voce e basso continuo, seguito a ruota da voce e archi e bc. Per tenore e basso sono rarissime, la stragrande maggioranza sono per soprano. Talbot è convinto che quelle diciamo di uso comune, con una vocalità molto limitata fossero in chiave di soprano ma si eseguivano “a piacere”, a seconda della voce che c’era a disposizione quella sera in salotto, ma tendenzialmente le attestazioni sono per soprano e contralto. L’autore più prolifico? Bella sfida! Vallo a sapere!!! Mancini, Porpora, Scarlatti padre… l’elenco è infinito, ne producevano in quantità smodata, e spesso gliene venivano attribuite anche non loro ( pensa a Pergolesi, un corpus di 110 e passa cantate, di cui probabilmente una decina soltanto davvero sue…).
Ringraziamo, Stefano, per questa questa ampia intervista. Non ci resta che attendere il prossimo cd di “Stile Galante” che sicuramente ci farà scoprire altre belle pagine musicali…