Metter su casa a Cleveland, adattarsi alle figlie di Peter, incontrare la loro madre, aiutare il New York City Opera a rimanere in piedi, il cambio di agente – i primi tre mesi del 1957 furono un gioco da ragazzi per Beverly Sills al confronto di ciò che l’aspettava.
Tanto per cominciare, non sarebbe andata a New York per cantare nella stagione primaverile del NYCO. Morton Baum, l’amministratore finanziario della compagnia, pochi giorni prima delle dimissioni Rosenstock dal ruolo di direttore generale, aveva annunciato la cancellazione della stagione primaverile del 1957.
Julius Rudel rassicurò Beverly che la cancellazione era stata decisa per dare ai contabili della compagnia tutto il tempo necessario per riorganizzare la struttura finanziaria della compagnia. Rudel le disse di non preoccuparsi perché la stagione autunnale non era in discussione. In fondo, la cosa non era poi un gran guaio per Beverly poiché le dava la possibilità di familiarizzare con Cleveland e di prendere realmente possesso della casa di famiglia.
In realtà, la signora Greenough non faceva chissà che in termini di lavori domestici, anche perché non le era permesso. Peter Greenough era ormai abituato ad avere tre collaboratrici domestiche e un’addetta alla lavanderia e quest’ultime si erano ormai abituate ad avere un posto in cui vivere. Durante il giorno, queste signore vestivano uniformi rosa o verde, mentre a sera indossavano le classiche uniformi bianche e nere. Il suo compito più arduo come padrona di casa era trovar cose da far fare loro. La casa era enorme e non ancora del tutto arredata e per la velocità alla quale la stavano arredando, ogni signora aveva una camera a testa di cui occuparsi. Due di loro avevano apertamente fatto capire che speravano in un ritorno della ex moglie di Peter e non si erano preoccupate di non far intendere a Beverly che non si sarebbero dispiaciute se lei si fosse tolta dai piedi una volta per sempre. Beverly non le tenne a servizio per molto tempo.
La reazione che si ha ad un nuovo ambiente in cui ci si trova a vivere e che comunemente si definisce shock culturale descrive solo in parte la sensazione che Beverly provò nel lasciare un bilocale di Manhattan per una magione da venticinque camere nella periferia di Cleveland. Per non parlare della solitudine: si sentiva davvero sola! Dopo che le bimbe erano andate a scuola al mattino, Beverly si chiudeva nella sua sala da musica a suonare il piano per ore e ore.
Anche la vita sociale non era esattamente esaltante: a parte le cene per pochi intimi, le partite di baseball e i concerti, la vita sociale dei coniugi Greenough era ristretta nel vero senso della parola. Vedevano i parenti di Peter solo nelle feste di famiglia. In più, durante questo periodo molti amici di Peter divennero ex amici. Beverli pensava che fosse incredibilmente crudele punirlo in questo modo per averla sposata. Prese tutte queste defezioni sul personale, ma non avrebbe dovuto. Queste persone non ce l’avevano con Peter aveva sposato lei; ce l’avevano con Peter perché aveva sposato un’ebrea.
Beverly era ingenua e certo non avrebbe mai pensato ad un concetto odioso come antisemitismo. Era certa che sarebbe stata vista con sospetto per il suo essere ebrea, ma era altrettanto certa che una volta che l’avessero conosciuta sarebbero divenuti amici. Non le era mai balenata in mente l’idea che non si sarebbero concessi di approfondire la sua conoscenza. Il problema non era lei, Beverly: era il suo essere ebrea. Niente di personale, quindi.
Ben presto, Beverly cominciò a rimpiangere New York e la cosa la faceva sentire anche peggio. Il lavoro di suo marito era a Cleveland e Beverly non se la sentiva di fargli pressione per trasferirsi solo perché lei non si divertiva. Non le restava che abituarsi a Cleveland.
Intanto aveva cominciato a rivalutare l’idea se voleva davvero o meno una carriera di cantante d’opera. Decise che non la voleva. Ci aveva provato per molto tempo e sapeva che non c’erano molti posti in cui cantare e che non era approdata a nulla. Era quasi decisa a limitare la sua attività di cantante alle brevi stagioni del NYCO e alle apparizioni estive al Musicarnival di Cleveland. Dopotutto, aveva ormai ventotto anni e desiderava diventare madre. Se e quando fosse diventata madre, non avrebbe voluto affidare l’educazione dei suoi figli ad una serie di tate quando si fosse allontanata per qualche mese ogni tanto – e forse non si sarebbe mai nemmeno trovata di fronte ad un simile dilemma. Non aveva ancora rivoluzionato il mondo dell’opera e questo obiettivo non le sembrava più molto importante. Si guardò nel cuore e non ci vide più ambizione.
Quell’estate, Jean Morel, un simpatico francese che l’aveva diretta in Mignon, sarebbe apparso come direttore d’orchestra per il Metropolitan Opera durante la consueta mini tournée di una settimana a Cleveland. Beverly era entusiasta all’idea di rivederlo e decise di organizzare un ricevimento in suo onore. Svolse il suo compito di padrona di casa e organizzatrice come si conviene – spedì inviti formali, ingaggiò un servizio catering, fioristi e musicisti: solo il meglio per il suo amico Jean. Nonostante molti avessero accettato l’invito, solo dei cugini si presentarono e più nessun altro. Nessuno.
Beverly aveva dovuto affrontare momenti duri da quando era arrivata a Cleveland, ma questo era il peggiore. Non era una questione di emozioni come rabbia, furia o ira. Dopo quella sera, e per tutte le sere in cui visse a Cleveland, Beverly divenne una donna amareggiata. Si sentiva letteralmente in trappola. Non c’è bisogno di dire che non vedeva l’ora di passare il mese di aprile del 1958 lontano da Cleveland, grazie agli impegni col NYCO.
La compagnia era ancora nei guai dal punto di vista finanziario e Morton Baum dovette farsi un giro di diverse fondazioni per trovare dei sovvenzionamenti. Baum fece una buona impressione alla Ford Foundation che decise di elargire dei fondi alla compagnia, ma ad una condizione: la compagnia doveva sottoporre un progetto che la fondazione doveva approvare prima di stanziare i fondi. Baum propose l’idea di di due stagioni dedicate interamente ad opere americane. Julius Rudel era preoccupato della risposta del pubblico al botteghino, ma Baum e la Ford Foundation ebbero la meglio. La fondazione elargì centomila dollari da spendere nella stagione primaverile tutta americana del 1958.
Uno dei titoli di maggior richiamo di quella stagione sarebbe stato The Ballad of Baby Doe, un lavoro meraviglioso di Douglas Moore, al suo debutto newyorchese. Chi l’aveva vista ne parlava in termini di un capolavoro moderno.
The Ballad of Baby Doe debuttò il 3 aprile 1958, a meno di due mesi dal ventinovesimo compleanno della Sills. Beverly Sills aveva ritrovato fiducia in sé stessa e nel suo sogno di diventare una star della lirica.