Giovanni Bottesini (1821-1889): “Ero e Leandro”

Tragedia Lirica in tre Atti, libretto di Arrigo Boito.  Orchestra Filarmonica del Piemonte, Coro Claudio Monteverdi, Aldo Salvagno (direttore), Bruno Gini (Maestro del Coro), Laura Borello e Gregorio Zurla (regia), Véronique Mercier (Ero), Gian Luca Pasolini (Leandro), Roberto Scandiuzzi (Ariofarne). Registrazione: Teatro San Domenico, Crema 2009. 1 DVD Dynamic 33670 – 102′.
È uno strano destino quello che accompagna Ero e Leandro: l’essere dimenticati. Affidato soprattutto ai racconti di Museo e Ovidio, il mito degli sfortunati amanti traci non ha trovato una realizzazione pienamente convincente nel campo del teatro d’opera. Ci provò anche Giovanni Bottesini: Ero e Leandro, su libretto di Arrigo Boito -che avrebbe dovuto musicarla per sé-, andò  in scena per la prima volta nel 1879 al Teatro Regio di Torino. Salutata con caloroso successo al suo apparire cadde repentinamente in oblio, fino alla riscoperta del 2009 presso il Teatro San Domenico di Crema. Con uno sguardo all’ultimo Verdi ma inevitabilmente proiettata alla produzione di Boito e Ponchielli (come ad esempio il coro marinaresco in apertura all’ultimo atto), questa partitura conosce momenti felici e musicalmente accattivanti come le arie di Ero, il bel lirismo dell’idillio tra gli innamorati e il finale secondo, mentre frettoloso e drammaturgicamente fiacco è l’epilogo. Sicuramente una riscoperta che, dal punto di vista musicologico e non, può trovare le sue ragioni, soprattutto se l’iniziativa prende piede da una città intenzionata a rendere omaggio ad un compositore poco ricordato cui diede i natali. È però da subito lampante la scarsità dei mezzi di questa produzione: i registi Laura Borello e Gregorio Zurla riescono a creare momenti suggestivi come nella scena orgiastica ma, a nostro avviso, avrebbe dovuto essere meglio sfruttata la “cornice naturale” offerta dal Teatro San Domenico: una chiesa divenuta teatro in tempi recenti. Considerato che l’azione per i primi due atti si svolge in un tempio dedicato a Venere, perché non giocare maggiormente sulla religiosità offerta dall’ambiente? Magari attraverso un uso meno minimale dei costumi (invero molto modesti quelli destinati al Coro così come quello di Leandro, mentre i ministri del culto e Ariofarne sono connotati dal colore rosso). L’ “erma facella” -la fiaccola che brandisce Ero imprigionata nel tentativo di illuminare la traversata di Leandro attraverso il mare- diventa qui un dimesso abat-jour. L’impegno musicale è senz’altro evidente: Aldo Salvagno, a capo dell’ Orchestra Filarmonica del Piemonte, si sforza di imprimere bei fraseggi e teatralmente d’impatto ma raramente l’orchestra riesce a raggiungere corposità e pienezza di suono (non avranno sicuramente giovato i problemi di acustica imposti dal teatro…). Ero è Véronique Mercier: garbata e disinvolta sulla scena, si destreggia discretamente dal punto di vista interpretativo ma il timbro è ordinario e la zona acuta costantemente fissa e sbiancata. Gian Luca Pasolini non è certamente il “giovinetto amante” che ci viene presentato dal libretto ma la voce risulta più sonora e corposa. Roberto Scandiuzzi tratteggia un convincente Ariofarne, cattivo di stampo prettamente boitiano, in forza della comprovata esperienza, del fraseggio duttile e del mezzo ancora importante.