Palermo, Teatro Massimo, Stagione concertistica 2011
CONCERTO DI VALERY GERGIEV E DELL’ORCHESTRA DEL TEATRO MARIINSKY
Orchestra del Teatro Mariinsky di San Pietroburgo
Direttore Valery Gergiev
Tenore Sergei Semishkur
Mezzosoprano Ekaterina Sergeeva
Michail Ivanovic Glinka:Ouverture da Russlan e Ludmilla
Aleksandr Porfir’evic Borodin: dall’opera Il principe Igor – Cavatina di Koncakovna, Duetto d’amore di Koncakovna e Vladimir Igorevic, Arioso di Vladimir Igorevic, Danze Polovesiane.
Modest Petrovic Musorgskij: Quadri da un’esposizione, trascrizione per orchestra di Maurice Ravel
Palermo, 13 novembre 2011
L’arrivo a Palermo dell’orchestra del Teatro Mariinsky di San Pietroburgo ha portato con sé, dalla città di origine, un timido accenno di freddo invernale che però, nell’ampia sala del Teatro Massimo, non è stato avvertito, complice un’esecuzione a dir poco infuocata che ha letteralmente trascinato il pubblico presente, accorso copioso ad assistere all’evento. Artefice ne è stato Valery Gergiev, da molti anni direttore generale del Mariinsky e fra i più stimati ed apprezzati maestri dei nostri tempi. Gergiev mancava da Palermo da quasi vent’anni e per celebrare degnamente il suo ritorno nella città siciliana ci ha regalato un programma tutto incentrato sull’Ottocento e sulla tradizione musicale del proprio paese. Ecco dunque sfilare, in ordine cronologico, tre fra i massimi rappresentanti di quella tradizione: Mikhail Glinka con Russlan e Ludmilla (rappresentata nel 1842), Aleksandr Borodin con Il principe Igor (abbozzato già a partire dagli anni ’70 del XIX secolo) e Modest Musorgskij con i Quadri da un’esposizione (pubblicati postumi nel 1886 e qui proposti nella celebre orchestrazione del 1922 di Maurice Ravel). Occasione ideale per godere di un repertorio plasmato e ridisegnato dalle mani di chi, più di ogni altro, dovrebbe farsene autentico portavoce. E della musica russa Gergiev ha colto l’anima più originaria, su cui tuttavia sembra incombere, in alcuni passaggi, il rischio di un’apparente superficialità, di un’interpretazione che spesso è andata a sacrificare la singola sfumatura a favore di una visione d’insieme, energica ed impetuosa.
Una simile lettura si è rivelata maggiormente efficace per determinati brani, come ad esempio per l’Ouverture di Glinka, che è stata affrontata in modo sbrigliato e vivacissimo, adottando tempi a dir poco frenetici. A partire dal pezzo di apertura sono subito emersi i punti di forza dell’orchestra, in particolare la sezione degli archi: compatti e travolgenti i violini, morbidi e vellutati i violoncelli, che Gergiev traeva a sé con gesti misuratissimi, assai naturali e di notevole magnetismo. Con grande attenzione il direttore è riuscito ad isolare i temi principali, a scolpirli e a farli emergere in modo fluido, nonostante il turbinio dell’esecuzione.
Maggiore spazio alla sezione dei fiati è stato riservato nelle parti tratte dall’opera di Borodin: nel dolente arioso di Vladimir, qui affidato al canto sicuro e nitido del tenore Sergei Semishkur, il discorso musicale si è dipanato in modo elegante, nel delicato impasto dei legni e nell’intimo dialogo fra corno e solista. Sulla stessa linea la cavatina di Končakovna, interpretata dal mezzosoprano Ekaterina Sergeeva.
Dotata di timbro affascinante e ricco di colore – anche questo amalgamato in un tessuto orchestrale di sostegno deciso, ma allo stesso tempo discreto – la Sergeeva ha arricchito la propria interpretazione di dettagli cangianti, dando risalto al profilo orientaleggiante e quasi ipnotico della scrittura di Končakovna. Di struggente dolcezza la parte finale, che Gergiev ha sciolto in un vero e proprio incanto timbrico, attentamente regolato da una mano sinistra in perpetua vibrazione. L’incontro tra voci nel duetto d’amore ha poi consolidato le precedenti impressioni, culminando nel tenero accostamento dei volti dei due innamorati. Di sicuro impatto le Danze Polovesiane, i cui temi Gergiev incastonava in merletti di cristallo, in aperto contrasto con il brutale slancio della parte conclusiva, vero e proprio rito orgiastico di dionisiaca vitalità.
Il cangiante caleidoscopio di timbri è ancor più emerso nella seconda parte del concerto, tutta dedicata a Musorgskij. In particolare del tema di Promenade il direttore russo ha enfatizzato il carattere solenne e insieme grottesco, entrambe facce della medesima medaglia, pronte a sovrapporsi e mutare repentinamente l’una nell’altra. Seguendo con attenzione le suggestioni pittoriche (che non di rado certe esecuzioni tendono a obliterare), di volta in volta l’orchestra ha messo in risalto le nuances più importanti dei singoli “quadri”: dall’atmosfera struggente de Il vecchio castello, allo stridente contrasto di Samuel Goldenberg und Schmuyle – efficacissimo qui l’effetto “lamentoso” della tromba – fino alla girandola di Limoges o all’inquietudine gravosa di Catacombae. A tratti vi è l’impressione che Gergiev abbia difficoltà a trattare la trasparenza, come in Tuileries, dove permane quasi impercettibile un’ombra di pesantezza, a disturbare inevitabilmente la condotta musicale. Ma in molti casi le sue pennellate vanno precise e a colpo sicuro, come accade nella sfrenata corsa di Baba Yaga, barbaricamente “fauve”, o ancora nell’imponenza corale de La grande porta di Kiev, suggellata dai trionfali colpi di campana che chiudono solennemente la composizione.
Grandi ovazioni da parte del pubblico, al quale Gergiev e la sua orchestra hanno offerto due bis: Baba Yaga di Anatolij Ljadov (opera composta fra il 1891 e il 1904) e la brillante Polonaise dall’Evgenij Onegin di Čajkovskij, da poco eseguito in forma di concerto per l’Accademia di Santa Cecilia di Roma.
Foto Franco Lannino – Teatro Massimo di Palermo
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