Zubin Mehta e Francesco Piemontesi al Maggio Musicale Fiorentino

Firenze, Teatro Comunale, Stagione Lirica 2011
Zubin Mehta e Francesco Piemontesi al Maggio Musicale Fiorentino

Orchestra e coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Zubin Mehta
Pianoforte Francesco Piemontesi
Maestro del Coro Piero Monti
Soprano Chen Reiss
Mezzosoprano Stella Grigorian
Tenore Jörg Schneider
Basso Samuel Youn
Ludwig van Beethoven: “Egmont”, Ouverture op. 84
Wolfgang Amadeus Mozart: Concerto per pianoforte e orchestra n. 25 in Do maggiore K 503
Franz Schubert: Messa in La bemolle maggiore D. 678 per soli, coro e orchestra
Firenze, 29 ottobre 2011

Alla direzione del terz’ultimo concerto della Stagione 2011 del Maggio Musicale Fiorentino è ancora il direttore principale Zubin Mehta con questa volta incentra il programma su tre pilastri della scuola viennese classico-romantica: van Beethoven, Mozart e Schubert. Appetitoso antipasto musicale è la energica ouverture da “Egmont” op. 84 di Ludwig van Beethoven nel quale Mehta dilatata la profondo carattere stürmisch con tempi dilatati, tutti suoi: i gruppi strumentali paiono dialogare di argomenti gravosi in un generale ampollosità sonora all’interno di momenti duraturi, quasi riflessivi.
Segue il Concerto per pianoforte e orchestra K 503 di Wolfgang Amadeus Mozart con Francesco Piemontesi (classe 1983) alla tastiera, “New Generation Artist” nel 2009 secondo la BBC. Qui il climax è caratterizzato, invece, da una pacatezza che pervade esecutori e uditorio. L’orchestra vive il concerto non nel senso letterale di “battaglia”, ma in un comportamento di rispetto nei confronti del pianoforte all’interno del quale Piemontesi sa inserire una nobile grazia: il risultato è quello di una scorrevolissima freschezza che pervade una lettura puntellata qua e là da bellissimi “pianissimo” resi da sospensioni ben tenute fino a sfociare nella cadenza finale dell’“Allegro maestoso” in cui mani destra e sinistra paiono quasi dialogare. Nell’“Andante” l’orchestra da vita a un momento di pastorale spensieratezza derivante da carattere d’esecuzione e colore timbrico; il pianoforte entra come un personaggio, come un mite uomo incantato di fronte alla bellezza dell’amonia naturale. Orchestra e pianoforte esprimono l’intimità di cotanta meraviglia, quasi sotto voce, quasi in punta di piedi. Nell’“Allegretto” conclusivo, infine, gli interpreti offrono agli ascoltatori un’interpretazione vivace, ma sempre tenuta in equilibrio evitando eccessi d’espressività: la naturae felix da spazio vitale all’alma gaudiosa di un paese in festa. Il dialogo strumentale sfiora lo scherzo sia all’interno della compagine fiorentina che tra pianoforte e orchestra.
Meritatissimi applausi a questo giovane pianista che ha ampliamente dimostrato bravura tecnica e ottima capacità d’interpretazione. Molto gradito il doppio bis che ha offerto costituito da un estratto da “L’uccello di fuoco” in versione pianista e da una toccante pagina schubertina che fa da trait d’union con la seconda parte del concerto che prevede l’esecuzione della Messa in La bemolle maggiore D. 678 di Schubert.
L’esecuzione del direttore indiano , ora, si fa più asciutta, più “musealizzata”: viene a mancare quella componente di “recondita armonia” che invece ha caratterizzato i due brani precedenti per quanto sia il coro (diretto da Piero Monti) che l’orchestra abbiano comunque dato prova di indiscussa professionalità tecnica: a sostegno di questa tesi vorrei anche azzardarmi di avanzare l’ipotesi che qui Mehta dirige con l’ausilio dello spartito, che invece si è rivelato assolutamente superfluo nella prima parte del concerto.  Per un vero e proprio affiatamento collettivo bisogna comunque aspettare la sezione finale del “Gloria”, precisamente dal momento in cui vengono intonate le parole “Cun Sancto Spiritu” con i bellissimi legati del coro. In questa esecuzione la pacatezza e il sentimentalismo dei pezzi precedenti lasciano spazio al suono grosso, alla resa dell’impotenza caratteriale. Da segnalare anche l’“Agnus Dei” che emerge per un carattere contemplativo di fronte all’indicibile del divino. I solisti contattati per questa esecuzioni sono il soprano Chen Reiss, il mezzosoprano Stella Grigorian, il tenore Jörg Schneider e il basso Samuel Youn. I ruoli a loro affidati dalla partitura sono piuttosto marginali quindi non è possibile fornire una critica globalmente esaustiva: a mio avviso, del tutto sindacabile, la prima si caratterizza per un timbro piuttosto acuto e tendente a uno sforzo d’emissione; la seconda mostra un registro di buon colore, ma dalla potenza alquanto limitata; il terzo vanta una buona voce che riesce ad evitare il falsetto in modo piuttosto intelligente; infine  il quarto, il basso, che ci è parso come il  migliore dei solisti, capace di  offrire oltre  a una bella linea di canto, uno strumento vigoroso e potente.
PressPhoto Firenze