Verona, Teatro Filarmonico:”Falstaff”

Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Lirica 2011 / 2012
“FALSTAFF”
Commedia lirica in tre atti di Arrigo Boito, dalla commedia The merry Wives of Windsor e dal dramma The History of Henry the Fourth di William Shakespeare.
Musica di Giuseppe Verdi
Sir John Falstaff ALBERTO MASTROMARINO
Ford VITTORIO VITELLI
Fenton FRANCESCO DEMURO
Dott. Cajus SAVERIO FIORE
Bardolfo NICOLA PAMIO
Pistola ZIYAN AFTEH
Mrs. Alice Ford  VIRGINIA TOLA
Nannetta  SERENA GAMBERONI
Mrs. Quickly ELISABETTA FIORILLO
Mrs. Meg Page MANUELA CUSTER
Robin GEREMIA SCHIAVINO
Orchestra, Coro e corpo di ballo dell’Arena di Verona
Direttore Daniele Rustioni
Maestro del Coro Armando Tasso
Regia Luca Guadagnino
Scene Francesca di Mottola
Costum
i Antonella Cannarozzi
Luci  Paolo Mazzon
Movimenti coreografici Maria Grazia Garofoli
Nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona
Verona, 13 dicembre 2011
Santa Lucia porta i doni ai bambini e ai “grandi” non porta di certo il piacere di andare a teatro, visto che, per la serata inaugurale della stagione lirica invernale della Fondazione Arena di Verona al Teatro Filarmonico, non si può certo parlare di “tutto  esaurito”.  Ed è un peccato che i veronesi siano alquanto discontinui nella frequentazione del locale teatro d’opera. Va comunque detto che il titolo scelto, il Falstaff  verdiano, non è certo una partitura di portata popolare. Una partitura che, nella sua straordinaria forza sonoro-teatrale, concede ben poco alla “pausa” dell’aria. Questo è certamente un aspetto che rende ai più poco attraente il Falstaff. Un elemento di richiamo per il pubblico, doveva essere la presenza del regista cinematografico Luca Guadagnino, autore di una pellicola di un certo successo, Io sono l’amore un lavoro pregevole, ma comunque di nicchia.
Assistendo a questo suo debutto nell’opera lirica si ha la netta sensazione che il giovane regista si sia trovato ad imboccare varie strade fermandosi però a metà. Ossia non si percepisce una reale chiave di lettura del capolavoro verdiano. Guadagnino ha iniziato questo viaggio abbandonando Windsor, per una non precisata località medio-orientale nella quale una community di inglesi agghindati da Antonella Cannarozzi in piuttosto brutti, improbabili e stilisticamente confusi abiti a cavallo  tra gli anni ’60 e ’70, trascorrono il tempo a burlare Mr.Falstaff che, se non avesse la fisicità autentica di Alberto Mastromarino, non si capisce bene chi possa essere. Una vicenda che si svolge tra scenografie  spudoratamente finte (il secondo quadro dell’atto primo sembra un incrocio tra una Italiana in Algeri e un Don Carlo di repertorio), male illuminate, con delle atmosfere che richiamano Querelle de Brest o Corto Maltese (atto secondo, quadro I) e il kubrickiano Eyes wide shut (gli smoking della mascherata dell’ atto terzo, quadro 2). In questo scorrere di scene, al cambio delle quali contribuivano dei figuranti con della assurde divise bianche e nere, agivano dei pirandelliani personaggi in cerca di una identità. I cantanti, con solida professionalità, hanno cercato di creare un gioco di squadra e quasi tutti vi riescono con una certa ammirevole disinvoltura. In parole povere, ognuno ha messo del suo per tenere a galla una barca altrimenti destinata a un sicuro naufragio.
Un senso di abbandono registico che nemmeno la direzione d’orchestra ha saputo compensare. La talentuosa bacchetta del giovane Daniele Rustioni è rimasta schiacciata dal peso di Falstaff. Una mole troppo pesante per le sue giovani e anche alquanto esili spalle. Rustioni, come un domatore, ha cercato di lottare contro le intemperanze sonore dell’orchestra areniana, perdendo il contatto con il palco, dove succedono vari pasticci. Si è arrabattato come meglio ha potuto, ma il risultato complessivo è piuttosto disarmante: una concertazione scolastica e decisamente incolore. Sulla scena Alberto Mastromarino non fa altro che enfatizzare una sua natura di interprete istrionico che, in questo ruolo, può mascherare i limiti di una vocalità non gradevolissima. Vittorio Vitelli è stato il migliore in campo maschile. Dotato di una voce di bel timbro, piena ed estesa, di un suono morbido e pastoso, Vitelli fraseggia con cura e riesce a essere  un Ford convincente e senza inutili isterismi. Francesco Demuro non sembra pienamente a proprio agio. La voce è bella, la tecnica molto meno e lo dimostra chiaramente nel suo unico momento solistico, quel “Dal labbro il canto” dove il cantante non è in grado di sfoggiare delle vere mezzevoci rifugiandosi in pallidi “falsetti”. Il settore maschile è stato poi ben completato dai validi apporti vocali e scenici di Saverio Fiore (Cajus), Nicola Pamio (Bardolfo) e Zyian Afteh (Pistola).
Il versante femminile è parso invece lievemente inferiore. Virgina Tola è stata una Alice Ford gradevole, ma  è parsa povera di pepe e sale. Apprezzabili Elisabetta Fiorillo (Quickly) che ha avuto il pregio di non cadere nel grottesco (anche se abbigliata in modo a dir poco paradossale) e Manuela Custer (Meg), mentre Serena Gamberoni è stata una Nannetta aggraziata e stilisticamente appropriata. Coro complessivamente corretto, orchestra allo sbando, movimenti coreografici del tutto inutili. Alla fine di tutto ciò, lo scarso pubblico rimasto in teatro, si è  lasciato andare a un applauso liberatorio ( i supporter si sono impegnati a fondo)… Santa Lucia è passata… pensiamo al Natale! Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona