Marianna Pizzolato per la stagione concertistica del Conservatorio di Palermo

Palermo, Conservatorio “V. Bellini”, Stagione Concertistica 2012
MARIANNA PIZZOLATO IN CONCERTO
Direttore Ignazio Maria Schifani
Fagotto Giuseppe Davì
Ensemble di strumenti antichi “Alessandro Scarlatti”
Violini Alfia Bakieva, Patrizio Germone
Viola Emmanuel Resche
Violoncello Ludovico Minasi
Contrabbasso Luca Ghidini
Claudio Monteverdi: “Ohimè, ch’io cado!”
Georg Friedrich Händel: Scherza infida” da Ariodante
Giovanni Battista Pergolesi: “Questo è il piano, questo è il rio” Cantata per contralto, archi e continuo
Georg Friedrich Händel: Ouverture da Rinaldo ; “Fammi combattere” da Orlando
Christoph Willibald Gluck: “Che farò senza Euridice?” da Orfeo ed Euridice
Luigi Cherubini: “Ah, nos peines seront communes!” da Médée
Gioachino Rossini: “Di tanti palpiti” da Tancredi; “Cruda sorte!” da L’italiana in Algeri
Palermo, 28 marzo 2012
Veramente straordinaria la performance che il 28 marzo ci è stata offerta da Marianna Pizzolato, per la stagione 2012 del Conservatorio di Palermo. La cantante siciliana è tornata nell’istituzione che l’ha vista crescere nelle vesti di allieva e presso la quale, esattamente dieci anni fa, si diplomava con il massimo dei voti, per poi spiccare il volo verso una carriera di successo internazionale. E al Conservatorio di Palermo il mezzosoprano deve molto, come ha avuto modo di rivelare a inizio concerto, rivolgendosi al folto pubblico presente in sala ed esprimendo un’emozione che ci è apparsa autenticamente palpitante. Al 2002, anno del diploma, risale anche il debutto operistico nel Tancredi di Rossini, a Piacenza; da allora la Pizzolato non ha più abbandonato il ruolo, confermandosi quale interprete di eccellenza delle opere del pesarese, ma specializzandosi pure nel repertorio di Sei e Settecento. Il programma di questo concerto offre infatti un affascinante excursus lungo il XVII e XVIII secolo, partendo da Monteverdi, attraverso compositori come Händel, Pergolesi e Gluck, per poi arrivare alla fine del secolo, alla Médée di Cherubini, fino all’Ottocento e a due capolavori di Rossini, L’italiana in Algeri e appunto Tancredi. Un universo musicale che il mezzosoprano dimostra di amare allo stesso modo e senza preferenze, affrontando ogni cosa con eguale sicurezza e passione. E accanto a lei la fortuna di ascoltare interpreti di qualità, i musicisti dell’Ensemble di strumenti antichi “Alessandro Scarlatti”, guidati da Ignazio Maria Schifani, alle prese con il doppio ruolo di direttore e clavicembalista.
Stupisce la facilità di emissione della Pizzolato a partire già dal primo brano, “Ohimè, ch’io cado!”, dove rimaniamo pressoché avvinti dalla vis interpretativa della cantante, le cui note sono in grado di scintillare, al pari dei potenti sguardi che dirigeva ora al pubblico, ora ai musicisti. Un’atmosfera di sorprendente sintonia, rinsaldata dalla trascinante direzione di Schifani, all’occasione risoluta, ma quasi sempre improntata alla morbidezza dei gesti. Il carattere del brano è insieme malinconico e ameno, e viene amplificato nel secondo pezzo, “Scherza infida”, da Ariodante di Händel. È questa la corda di “affetti” che risulta più congeniale alla Pizzolato, a metà fra acceso sdegno e dolente struggimento. Le variazioni di sentimento sono continue, ma la cantante non ne perde una, profondendo cura certosina nell’esaltare ogni minimo dettaglio, persino nell’immediato cambiamento della singola parola (e nel recitativo “E vivo ancora?…” ciò emerge con straordinaria evidenza). Nel corso dell’aria, il fagotto di Giuseppe Davì ha costituito un efficace controcanto, elaborando profili melodici di ripiegata delicatezza. Grande intesa di suono fra i due violini, Alfia Bakieva e Patrizio Germone, che abbiamo colto in ogni brano e soprattutto nella cantata per contralto, archi e continuo di Pergolesi, “Questo è il piano, questo è il rio”. Anche qui la Pizzolato raggiunge livelli altissimi, sottolineando con ridente espressione le caratteristiche del testo. Precisa nelle fioriture, ma mai fredda, con intensità riesce ad emergere dal tessuto strumentale – a tratti dominato dalla viola di Emmanuel Resche – per poi immergersi e distaccarsene di nuovo. Pure nei momenti di maggiore sdegno, la dizione è chiarissima e ogni sillaba viene adeguatamente scolpita e valorizzata.
Cesura ideale fra prima e seconda parte, l’Ouverture dal Rinaldo è stata affidata all’esecuzione dei soli strumentisti. Il contrappunto fra i violini è suadente e controllato, e nelle progressioni incanta il suono della Bakieva, ripercuotendosi con veemente energia nel resto dell’ensemble. In “Fammi combattere”, brano tratto da Orlando, il mezzosoprano dà prova di una tecnica sicura e di un registro estremamente corposo e ricco di colore. Eppure, nello stile concitato della “battaglia sonora”, è il violoncello a prevalere, uno straordinario Ludovico Minasi che riesce a strappare suoni taglienti e di avvincente intensità. Dopo un recitativo di grande pathos, nell’aria “Che farò senza Euridice?” viene offerta l’opportunità di sviluppare con più partecipazione il dialogo fra cantante e violinisti (in particolare con l’eccellente Germone), grazie anche all’accorta complicità del direttore. In Cherubini invece (“Ah, nos peines seront communes!”) è il fagotto di Davì, insieme a Minasi e al contrabbassista Luca Ghidini, a contribuire alla buona riuscita del pezzo, sostenendo con abilità la voce della Pizzolato. Quest’ultima atterrisce per bravura, modulando con finezza ogni cambiamento di stato d’animo e muovendosi con disinvoltura anche nell’uso della lingua francese. A conclusione di programma, due gioielli di interpretazione, “Di tanti palpiti” da Tancredi e “Cruda sorte!” da L’italiana in Algeri, cavallo di battaglia del mezzosoprano siciliano, accompagnato da un divertente contributo “corale” degli strumentisti. Ironia, femminilità e padronanza della tecnica belcantistica: tutte doti che la cantante ha dimostrato di possedere e che sono tornate nel bis, l’aria “Pensa alla patria”, sempre da L’italiana in Algeri, applauditissima dal pubblico presente in sala.