Firenze, Teatro Comunale, Stagione sinfonica 2012
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Kazushi Ono
Maestro del coro Piero Monti
Toshio Hosokawa: “Woven dreams” per grande orchestra
Robert Schumann: Sinfonia n. 1 in si bemolle maggiore op. 38 “Frühlingssymphonie”
Maurice Ravel: “Daphnies et Chloé”, Suite n. 1 e n. 2
Firenze, 31 marzo 2012
“Una volta ho sognato di essere nel ventre di mia madre. Nel sogno ho provato alcune sensazioni: la gioia di essere nel grembo caldo, la tensione e l’ossessione di dover nascere di lì a poco, la gioia di venire al mondo attraverso la sofferenza e il dolore del processo della nascita. Sono esperienze profonde che ricorderò per molto tempo e che ho cercato di ricreare nella musica. In questo lavoro ci sono molte influenze del linguaggio musicale del Gagaku, l’antica musica di corte giapponese, che è il grembo della mia musica”. Le parole dello stesso Toshio Hosokawa sono il miglior manifesto del suo bellissimo “Woven dreams” per grande orchestra, eseguito in prima mondiale al Lucerne Festival il 28 agosto 2010 e che apre il terzo concerto della stagione sinfonica 2012 del Maggio Musicale Fiorentino per il ritorno sul podio del Comunale dell’apprezzato maestro Kazushi Ono, Direttore principale dell’Opéra di Lyon, Conductor Laureate della Tokyo Philarmonic Orchestra dal settembre 2012 nonchè Principale direttore ospite della Filarmonica “Arturo Toscanini”.
L’avvio di un lungo pedale in sordina degli archi all’unisono in Mi bemolle è l’accordo generatore invocante i primordiali battiti di vita del grande affresco della natura (palese il rimando ad almeno tre capolavori: il primo movimento della Sinfonia n. 1 “Il titano” di Mahler e l’introduzione di “Also sprach Zarathustra” op. 30 di Richard Stauss). Dopo tale ancestrale incipit la melodia spazia in un fantasia di variazioni e sfumature timbriche che non tralasciano l’uso di canoni e sonorità della cultura musicale nipponica come quelli del principio dell’Oibuki e quelle del rin fino al ritorno del “pianissimo” che chiude il brano così come si era aperto.
Al centro del concerto germoglia la romantica “Frühlingssymphonie”, la prima delle sinfonie di Schumann, in Si bemolle maggiore, e che vide il suo battesimo al Gewandhaus di Leipzig il 31 marzo 1841. In questo frangente di concerto, dopo l’enigmatico “Woven dreams” di Hosokawa, Ono fa fiorire l’enciclopedico linguaggio della letteratura musicale tedesca con una eleganza tale da riuscire a far percepire sulle membra dello spettatore quella frizzante freschezza che si percepisce in una soleggiata giornata di marzo in cui il caldo alito di Zefiro bacia le gote degli uomini giocando con i loro capelli: l’accuratezza e l’amore che il direttore infonde nell’esecuzione di questa sinfonia è tale da farne un grande capolavoro in questo che tuttavia un capolavoro ancora non lo è, per lo meno nel senso più pieno del termine. Bellissime le sfumature, le modulazioni del primo movimento in primis, l’andamento dei trii e le alterazioni armoniche nel terzo movimento nonché le giocose peripezie del quarto movimento che conducono la sinfonia a un felice compimento di generale festosità in cui soprattutto gli archi volano librandosi sulle ali di una spensierata “joie de vivre”.
Concludono il concerto le due Suites dal “Daphnis et Chloé” ricavate da Ravel nel 1912 dalla partitura dell’omonimo balletto per i Ballets russes di Diaghilev coreografato Michel Fokine. A pendant con “Woves dreams” ritornano, dopo il romanticismo di Schumann, le enigmatiche sonorità, ma questa volta di una nuova Arcadia fatta rivivere per mano di Ravel. Qui sono ora messe da parte le morbidezze melodiche romantiche per far spazio ad un discorso musicale impervio che Kazushi Ono riesce ad estrapolare dalla partitura con raffinata maestria e con un linguaggio sicuro nei suoi passi plasmando le compagini orchestrale e corale in sonorità che spaziano da sfumature flou che ricordano un lontano Debussy fino a colorature accese e vigorose che arrivano a sfiorare la violenza del fauvismo stravinskijano. Molto belli tutti gli interventi di ogni singolo strumento chiamato nei momenti di assolo quali voci emergenti di un plurale io interiore dal generale brusio della folla orchestrale. Il coro muto fa sentire nei suoi interventi la sua presenza con ondate sonore sfumate a volte timide, altre decise: una presenza enigmatica che si inserisce nel discorso musicale come se entrasse sul grande palco della vita a punta di piedi, ma condizionandone grandemente il suo scorrere ed è così che i vibrati soffi e le metalliche cascate corali creano con l’orchestra un grande affresco musicale che culmina nel tumultuoso crescendo del festoso disordine della Danse générale. Convinti gli applausi finali e ripetute chiamate sul palco per Ono e per il maestro del coro Piero Monti.