Intervista con il tenore Piotr Beczala

Il tenore Piotr Beczala dopo aver recentente cantato Rigoletto all’Opera Bastille nel ruolo del Duca di Mantova, dopo due anni di successi fenomenali…Vaudemont in Iolanta al Festival di Salisburgo del 2011, Romeo al Metropolitan Opera, Faust a Barcelona, Alfredo al Covent Garden, un lungo elenco che lo vede attualmente impegnato nuovamente al Metropolitan di New York, dove interpreta Des Grieux nella Manon di Massenet.  Martedì 10 aprile alle ore 19, l’opera andrà in diretta HD in numerosi cinemaBeczala, al vertice di una  carriera che ha pazientemente progettato e visto svilupparsi per vent’anni,  ci racconta della sua vita, del successo, della musica, dei colleghi e dei direttori d’orchestra, di rubato e legato, di golf  kayak… Signor Beczala, grazie mille per aver accettato di fare quest’intervista. I suoi inizi sembrano un’incredibile storia: lei credeva che probabilmente sarebbe diventato un ingegnere, ma all’imporvviso si trova a cantare in un coro, in cui credo abbia incontrato sua moglie, e dopo si dedica alla musica. Quando ha sentito con certezza che la musica sarebbe diventata la sua vita?
Ci pensavo a questa cosa… quando è successo?  Ma non riesco a fissare un momento. Un momento davvero importante è stato l’incontro con Sena Jurinac in quel primo master-class… mi ha aperto gli occhi sul mondo reale, voglio dire, vivevamo in Polonia allora come se fosse stata una specie di villaggio speciale, chiuso a tutto il resto. Non era permesso viaggiare. Non vi era accesso alla conoscenza, allo scmbio di informazioni come oggi grazie a internet. Ora possiamo rimanere in contatto con qualsiasi collega, ma a quei tempi era davvero complicato. E la Jurinac mi ha aperto gli occhi. Lei ha salvato la mia vita di cantante. Perché fu la prima a dirmi di dimenticarmi di Puccini alla mia età e di dedicarmi a Mozart…
Quindi, mentre studiava al Conservatorio di Kartovice, cantava Puccini?
Quella era la mia idea, ero sufficientemente stupido da pensare che fosse adatto a me.
È vero che ogni giovante cantante vuole cantare la parte dell’eroe?
Verissimo, cantare Tamino è noioso per i giovani e lo stesso valeva per me e, come dico sempre, un cantante giovane ha il diritto di essere stupido! È così, nessuno è grande e scaltro all’età di 19, 20 o 22 anni. Alla fine si scoprono tanti nuovi ambiti. È più complicato ora che venti o trent’anni fa. Ho visto delle grandiose produzioni con Pavarotti, Domingo, Corelli, Carreras e compagnia, produzioni di Zeffirelli, belle e tanto affascinanti… I cantanti oggi devono assistere a nuove produzioni moderne che non possono nemmeno competere. Probabilmente queste produzioni saranno artisticamente parlando molto profonde, ma mai come quelle del passato. Il mio sogno era di apparire simile a Domingo con la spada sguainata mentre canta “Esultate!”. Quello era il mio sogno!
Il suo incontro con Sena Jurinac è avvenuto all’inizio dei suoi studi musicali?
È stato durante il mio secondo anno al Conservatorio.
E quindi le disse “Mozart, Mozart, Mozart” dandole la giusta dritta ma sapeva che lei sarebbe diventato un bravo tenore belcantista?...
Non credo…
Allora si stava assicurando che lei si prendesse cura della sua voce?
Ai suoi occhi, stava cercando di mettermi sulla strada giusta. A 22 anni, se non hai la voce di  Del Monaco non hai niente a che spartire con Puccini.
Del Monaco aveva già quella voce a 22 anni?
Credo di si, era una forza della natura… Non so, credo.
Sa che esiste un paragone che la riguarda che trovo incredibile a pensarci, stessa opera, ma sesso diverso, con Joan Sutherland… nel 1959…
Si, so di cosa parla…
Lei rivoluzionò il bel canto con Lucia di Lammermoor e 50 anni dopo, nel 2009, lei ha ridefinito lo stile belcantistico maschile, sempre in Lucia di Lammermoor, nel ruolo di Edgardo…
In un certo senso, lei ha cambiato l’intera epoca, a suo modo. Fu la prima a cantare il belcanto con voce piena e fu qualcosa di speciale, di rivoluzionario, rispetto al canto a fil di voce
Questo è ciò che lei sta facendo.
Direi che ci sto provando…
Joan Sutherland diede, in un famoso video, la sua definizione di canto in termini di tecnica di canto in termini di “respirazione, supporto, proiezione”…
Certo, certo… ma io aggiungerei una cosa a questa importantissima definizione: immaginazione. Il canto è come un tavolo… due gambe non sono abbastanza, per mantenere stabile il tavolo c’è bisogno almeno di tre gambe. Se ce n’è una quarta, è anche meglio. Anche troppe non vanno bene. Essenzialmente, il canto è proiezione, supporto, respirazione e… immaginazione. Prima devi immaginare per poi averne l’idea: che cos’è la mia voce? Come posso costruirla e poi iniziare a ad utilizzarla senza l’immaginazione? È un compito davvero durissimo perché devi creare lospazione con la tua voce ed è davvero dura.
Può spiegare meglio questa sua idea?
Ciò che studio col mio insegnante Dale Foundling è che l’idea della mia tecnica sia molto “immaginabile”. Come posso spiegarlo? In primo luogo bisogna immaginare ciò che si sta facendo…  visualizzare la propria voce, il proprio tono, e poi cantare. È il miracolo del cantante naturale: niente tecnica, voce divina. Perché? Perché viene naturale, i cantanti naturali sanno esattamente come cantare. Col passar del tempo perdono questa voce naturale, perché la verità è che i diversi ruoli rendono complicato seguire questo approccio, questa freschezza di sentimento e di immaginazione. Ma agli inizi è davvero qualcosa di speciale. L’idea di tecnica è effettivamente quella di partire da questo punto in cui la voce ha un suono naturale ed essere capaci di usare la voce naturale in ruoli diversi e con stili diversi… ed è davvero una cosa speciale. Cantare senza una strutturazione è impossibile… Voglio dire: se sei un cantante, non devi cercare di cambiare qualcosa che non si può comunque cambiare. Bisogna innanzitutto trovare questo punto naturale. Alcuni cercano di tirar fuori la voce, ma non succede nulla perché la voce non esiste in quel momento… ed è un problema!

Per la proiezione?

Certo, deve riguardare quanto posso spingermi in là col mio canto, fino a dove riesco a proiettare la mia voce… dipende dal repertorio. Quando canto Mozart, non ho bisogno della stessa notevole proiezione che serve per Puccini o per il belcanto o per Verdi perché la musica è eccellente, più pura. Ci vuole un insieme di molte, molte cose. Quando si inizia con la proiezione e il supporto si ha una spazio che si sente nella voce. Senza questo compromesso, il canto sarebbe come stare immobili o rincorrere qualcosa che… scompare continuamente. Capisce cosa intendo? Come un coniglio, ora lo vedi, ora non lo vedi più… come un’illusione! Il problema dei giovani artisti è che non vogliono spendere molto tempo nel creare la loro carriera. So di cosa parlo perché sono uno di quei cantanti, non l’unico naturalmente, che hanno percorso tutto il cammino dal fondo fino alla cima, dove mi trovo ora… Fare questo genere di gavetta, partendo dal basso e passando per tutti i livelli, prende davvero del tempo. Certi grandi colleghi hanno cantato per 20/25 anni in grandi teatri. Quando tengo dei master-classes dico ai giovani: “hai una gran voce, ma prenditi il tuo tempo, il ruolo dei tuoi sogni sarà anche Tristano, ma fra qunidici anni. Hai la voce adatta, ma se non fai così, impiegando circa dieci anni per sviluppare la tua voce, la tua personalità e tutto il resto, non arrriverai mai a cantarlo… e forse il mondo dell’opera perderà uno dei migliori Tristano che abbia mai avuto!” L’equilibrio fra tempo e tecnica è tutto.
Figure del passato? Può nominarmi alcuni dei suoi cantanti di riferimento?
Ce ne sono tantissimi, alcuni rinomati… Tito Schipa, Georges Thill per il repertorio francese, Fritz Wunderlich, Jussi Bjorling… andando ancora più indietro nel tempo, Jean de Reske. Tutti quei cantanti hanno impiegato del tempo per studiare. Il problema oggi è che la gente pensa che essere famoso sia più importante dell’essere un buon cantante. Le due cose possono anche coesistere, se però prima di tutto sei un cantante lirico e poi una celebrità. Ciò che la gente si aspetta oggi dalle celebrità è del tutto incompatibile con l’essere un cantante d’opera… Un buon cantante è come un atleta. Devi essere fresco, concentrato, attento al tuo lavoro, rilassato ed equilibrato… che è realmente difficile.
Come si tiene in forma?
Non vado pazzo per il jogging e cose simili. Gioco un po’ a golf d’estate. Cammino un po’. a volte vado in palestra, a volte in piscina anuotare, ma non sono un fanatico dello sport. essere equilibrati è tutto. Anche nella dieta. Ho perso 13 chili due anni fa, in particolare per il ruolo di Romeo, e mantenermi in forma è importante per me ora. È importante avere un certo controllo sulla propria vita. Ma senza impazzirci. Fare quel tanto che si può, seguire un progetto. Non necessariamente giorno per giorno, ma più anno per anno.
Ci sono dei ruoli in cui si identifica più che in altri?
L’Eroe Romantico, forse… Lensky, Werther, Romeo… ma naturalmente, in questo tipo di repertorio, il compositore già ti dice, in maniera specifica e precisa, come cantare il ruolo e come recitare il personaggio. Faust è una sfida molto grande: riuscire a creare l’illusione del vecchio e del giovane Faust, due età differenti per uno stesso personaggio. Il mio vocal coach mi ha insegnato di non preoccuparmi della bellezza della voce nel prologo. Pensare al colore in quel punto è completamente sbagliato… è dopo che bisogna preoccuparsene. In un paio di anni le mie scelte cambieranno, col cantare nuovi ruoli. In questo preciso momento, mi godo il fantastico privilegio di cantare i ruoli che vanno bene per la mia voce, per il mio personaggio. Beh, forse Rigoletto non si addice esattamente al mio personaggio…
Si, mi stavo chiedendo proprio di Rigoletto, dato che è un po’ un bastardo, no?
Si, è un bastardo. Ma, paradossalmente, lo devi apprezzare per questo…
Lei è riuscito ad imparare così tanti ruoli…
Non poi così tanti!
Quanti ne potrebbe interpretare se fosse chiamato domani a sostituire qualcuno?
Ok, diciamo… quindici.
Non è certo poco!
Niente a confronto con Placido Domingo… un nulla. Sa, in passato, quando ho iniziato, era molto più difficile in un certo senso perché a Linz ero in otto nuove produzioni a stagione. Quello era davvero difficile, imparare sei o sette ruoli in un anno. Oggi è più complicato. Quand’ero a Linz, ho cantato molti ruoli, piccoli, medi, grandi, ma non c’era molta pressione.Se stasera debuttassi in una nuova produzione a Parigi, Londra o al Metropolitan, dietro ci sarebbe un tipo di dedizione al ruolo totalmente diverso… è complicato in maniera diversa. Non voglio dire che non fossi preparato a dovere quand’ero a Linz. Lo ero. Ma ora tutti si aspettano che io approfondisca molto il ruolo. Mi ci vuole del tempo per la preparazione. Ho cominciato con Des Grieux 17/18 mesi prima, leggendo la letteratura a riguardo, ascoltando diverse registrazioni di specialisti di questo repertorio, di questo stile. Specie perché oggi, se sbagli a cantare una nota, sai che stanno registrando un HD e un DVD, e un anno dopo sarà sul mercato… e non puoi tornare indietro. Ormai il danno è fatto.
Ho visto che il suo album di arie slave per Orfeo ha raggiunto la cima dei dodici migliori recital su cd nell’edizione di gennaio di Opera News… congratulazioni!
Si, è stata una bella soddisfazione, assolutamente, perché è stato tutto così inaspettato… specie perché l’ho registrato per un’etichetta minore che non ha le strategie di marketing di una major…
Forse, grazie a lei, presto diventerà anch’essa una major…
Mi piacerebbe. La ragione per cui lavoro con loro è perché mi danno molta libertà nella scelta del repertorio, dell’orchestra, location della registrazione… L’esperienza in sé è stata diversa, molto speciale. È il nostro bebé. Abbiamo davvero pensato alla drammaturgia della registrazione, a come le persone l’avrebbero ascoltata, agevolando loro l’approfondimento di questo particolare repertorio, la scoperta di nuove cose…
Forse finirià anche per incoraggiare i teatri a mettere in cartellone il repertorio slavo…
Infatti, è anche un mio fine questo: far sì che questo disco apra nuove strade per questo repertorio.
Che cosa mi racconta delle sue partner? Il DVD di Lucia di Lammermoor con Anna Netrebko haavuto un grande successo.  Siete fantastici insieme… aiuta sentirsi a proprio agio con una partner?
Non ho nessun problema con nessuna partner. Penso che tutti i miei colleghi possano dire che in questo senso sono una persona con cui è facile lavorare, forse una volta o due ci sono stati dei problemi, ma normalmente non ce ne sono mai. Naturalmente, se si ha una partner come… lei ti mette completamente a tuo agio, è molto concentrata su quel che fa, molto professionale e d una brava persona. Ci conosciamo dal 2004 o dal 2005, quando cantammo Rigoletto a Londra. Quella è stata la nostra prima volta insieme e sa… funziona perché lei è molto credibile quando recita il suo personaggio, non recita “la Netrebko” o altro, è concentrata sull’interpretazione del personaggio ed è davvero piacevole, lei ama cantare. Per me, è la cosa più importante.
Due cantanti che davvero si ascoltano l’un l’altro?
Certo che si! Guardi, un feeling positivo è molto importante. Perché il partner ti deve piacere sul palco… davvero. È qualcosa di molto speciale. Cerco di creare una connessione con ogni partner sul palco… tutti quelli con cui canto. Cerco davvero di dar vita al personaggio. Il mio Alfredo ama Violetta.  Il mio Rodolfo ama Mimì… sa com’è, ed è davvero qualcosa di molto speciale. Direi anche che i sentimenti personali sono del tutto inaccettabili sul palco…
Quando si cala in un personaggio, fa ricorso ai suoi sentimenti personali per identificarsi con esso, come si fa nella recitazione… qual è il suo metodo? Pensa alle sue esperienze personali e cerca di metterle in gioco?
Non così tanto… bisogna tenere la vita privata lontana dal palco… Mi concentro sui movimenti… per esempio, quando studiavo Faust (si alza in piedi e imita un uomo anziano con la spalla curva), analizzavo i movimenti degli anziani… mi concentro di più sui dettagli visivi. Cerco di trovare dei modi per restare nel personaggio. Per i sentimenti è molto più facile perché sono già nella musica. Se si fa dell’altro, si commette un errore… penso. Non c’è niente di peggio nell’opera quando l’isteria si sostituisce all’eccitazione… non va affatto bene perché finisce con l’influenzare il canto, non c’è niente di peggio di un cantante isterico…. orribile, orribile!
Lei si è espresso molto francamente sui registi che si vedono come il “modus vivendi” dell’intera operazione e lasciano i cantanti ed anche il pubblico fuori da ogni considerazione. Chi sono i registi con cui è stato interessante lavorare?
Prima di tutto, devo essere più preciso: non ho alcun problema con le rappresentazioni moderne. Il mio unico problema è con quei registi che non amano l’opera eppure continuano a farla. Il mio problema è sapere che queste persone odiano l’opera pur costruendosi la loro carriera grazie ad essa. La odiano, non amano il canto, non amano l’opera, eppure la fanno… è davvero orribile! ma ribadisco di non avere problemi con le rappresentazioni moderne. Per esempio, ho lavorato a New York in Romeo et Juliette con Guy Joosten. È stato meraviglioso! Era una ripresa  di una produzione del 2005, ma lui ha aggiuntodei  dettagli moderni. Quando si lavora con Guy si vede sin dall’inizio che lui ama l’opera e non crea problemi. Posso discutere con lui. Non lo puoi fare con uno che arriva con una tabella di marcia, con un  “modus operandi” come dice lei, per salvare quell’opera “orribile”! Non conosco il regista che ha diretto l’ultima Traviata a Vienna. Ho solo letto le recensioni e un paio di interviste in cui questa persona sembra che stia salvando la Wiener Staatsoper creando un nuovo, meraviglioso e altamente artistico modo di fare opera. Se fosse così, andrebbe anche bene, ma nella maggior parte delle volte sono solo disastri. Quando creano delle nuove produzioni che mal si adattano alle opere di repertorio, noi cantanti non possiamo farci nulla. Capisce cosa voglio dire? Prenda opere come Traviata, Bohème, Ballo in Maschera o Il Flauto Magico, ce n’è una in ogni teatro per ogni stagione. È un repertorio imprescindibile. E se i teatri non ne mettono in scena una versione realmente buona, è un problema. Non è divertente cantarle o semplicemente replicare sul palco le indicazioni della regia. Io voglio creare il mio personaggio. Lavoro per il  pubblico. E questi registi d’opera spesso lavorano solo per loro stessi… non per il pubblico.
Perché ci dev’essere sempre qualcosa di nuovo? Perché le produzioni di successo non vengono riproposte per più tempo?
Non so… Capisco i manager dei teatri. Cercano di mettere in scena nuove produzioni. Li capisco: è una ventata di aria fresca… ma si parliamo di equilibrio. È semplice farlo a Zurigo dove hai tredici nuove produzioni all’anno. Se fai cinque cose iper-moderne, ne hai comunque otto classiche. Ma se lo fai ad Amburgo o a Berlino, su cinque produzioni, quattro sono moderne. Iper-moderne. Non c’è equilibrio in quel caso ed è il modo migliore per allontanare il pubblico dall’opera. Spesso parlo con la gente dopo le esibizioni, mi prendo il mio tempo, a volte resto per mezz’ora  a parlare. Ci sono molte persone che amano veramente l’opera e non solo fanatici appassionati dell’opera tradizionale. Se assistono ad una produzione realmente entusiasmante, pur con una messa in scena moderna, l’apprezzano. Ma ciò non accade abbastanza spesso.
Il pubblico tradizionale sta cambiando grazie a internet ormai. Cosa si puà fare in concreto per attirare le nuove generazioni?
Penso che si possano abbassare i pressi dei biglietti di certi ordini di posti, tipo la galleria. Secondo me, è possibile riservare 200 biglietti e destinarli agli studenti e ai giovani, come 20 o 30 anni fa, cosicché possano andare all’opera.
Lei riusciva andare a vedere l’opera con quel sistema quand’era studente?
Ho iniziato attorno ai 19 anni, fu allora che andai per la prima volta all’opera.
Che opera era?
Era l’Elisir d’amore… e non ricordo chi fosse il tenore, il che significa che o era pessimo oppure aveva una voce modestissima e non riuscivo a sentirlo. Non so perché ricordo benissimo il soprano, ma non ricordo il tenore…
Sentiva già l’attrazione del palcoscenico?
Mi affascinava la voce. Ricordo di essere stato affascinato dalla voce sin da bambino. Che suoni può produrre la voce! I cantanti sono dotati di questo talento estetico! La bellezza della voce è sempre stata affascinante. Naturalmente, quando ho cominciato a cantare nel coro, il suono era differente… Non sapevo cantare, mi limitavo ad emettere suoni (ride). Ma era comunque divertente ed è stato parte del mio sviluppo…
Lei ha parlato piuttosto spesso del suo lavoro con Dale Foundling, il suo vocal coach…
È un insegnante, in effetti. Coach non è l’espressione più giusta. Ogni teatro dell’opera ha due o tre vocal coach, ma c’è un solo Dale Foundling…
Mi piacerebbe sentirle parlarne… del modo in cui si fida e accetta il consiglio di qualcuno con cui lei ha una relazione lavorativa...
Sa, sono stato molto fortunato, ho conosciuto Dale durante la mia prima stagione a Linz. A queltempo, lavorava come pianista al Mozarteum e allo stesso tempo dava lezioni private. Avevo capito che la tecnica che avevo in quel momento non andava bene. Avevo bisogno di qualcosa, di qualcuno… Ero un tenore corto, senza alti, e dovevo far qualcosa. L’ho conosciuto e all’inizio è stata davvero difficile… la mia prima lezione, ricordo, si è basata su una sola frase (canta l’apertura di Don Ottavio, “Il mio tesoro intanto”), solo questa, per un’ora… se lo immagina?
Questo tipo di tecnica, questa filosofia di canto, dato che non è solo tecnica o canto, è universale.
E la gran cosa, una delle cose più grandi riguardanti Dale, è che lui non è un cantante. Ciò significa che lui ti ascolta come un insegnante, non come un cantante, senza esitazione, senza dirti: “Beh, io lo faccio in questo modo, qual’è il problema?”. Ogni cantante, o meglio non tutti i cantanti, ma la maggior parte dei cantanti che insegnano cercano nella loro voce la soluzione ad un eventuale problema… quando insegno (ogni tanto mi chiedono di dare dei master-class), non insegno com’è che canto, insegno come mi piacerebbe cantare… il modo ideale. Dato che nessuno è perfetto, come ben sa. Sono anche umano. nessuno è perfetto. Naturalmente, i cantanti sul palco devono dimostrarsi sicuri, sapere cosa stanno facendo. E per essere davvero sicuri, necessitano di una buona tecnica per poter cantare. È la responsabilità che si ha in quanto cantanti. Ma se si alvora con altri, creando con loro, aiutandoli, non puoi insegnar loro cosa fai tu, perché non sei perfetto. Potresti insegnare delle cose sbagliate, passare i tuoi problemi, i tuoi complessi. È una responsabilità enorme… Ho lavorato con Dale per 19 anni già, o 18 anni e mezzo, e i primi quattro sono stati davvero, davvero durissimi. Ci vedevamo ogni fine settimana e ho speso metà dei miei soldi in lezioni di canto. Dopo, abbiamo incominciato a vederci forse una volta ogni due mesi e poi c’è stata una pausa per i due anni che sono stato a Zurigo. Ma spesso abbiamo studiato ogni mio nuovo ruolo insieme…
Il suo approccio è molto intelligente e non molti ne parlano con tanta franchezza…
A volte mi meraviglio che i miei colleghi, i miei partner lavorativi non la pensino così perché tutti hanno problemi nella voce. Sa, può essere modesta o proprio piccola, come una qualsiasi parte del corpo, ma se non si fa nulla a riguardo, può annientarti…
La natura del “canto  legato”. Potrebbe parlarne?
Mi piacerebbe paragonarlo a qualcosa al di fuori del canto, benché sappiamo essere essenziale alla tecnica di canto… è come quando si pagaia in canoa o quando si va in kayak. Se si ha una buona tecnica, è facile e si va avanti tranquillamente. Quando non lo si sa fare, ci si agita, perché (si muove da sinistra a destra) è come trovarsi in una secca… cantare è la stessa cosa. Non si tratta solo di allungare le vocali e accorciare le consonanti… secondo me, si tratta… come posso descriverlo… non perdere la “corrente principale” della propria voce. Se si vuole avere il legato nella propria voce, bisogna ridurre le spinte da sinistra e da destra che arrivano dal testo. Naturalmente, per far ciò uno non deve per forza essere un cantante d’opera. Perché fra i cantanti di legato possiamo nominare anche persone come… Frank Sinatra o Tom Jones, o altri, chiunque capisca veramente il canto. Canto significa legato, non sono due cose separate. Se non si sa usare il legato, non si sa cantare, perché cantare significa mettere insieme due piccoli toni in un fraseggio…
Quando ascolto il suo legato, penso che ogni nota sia al posto giusto nel fraseggio…
È la corrente principale di cui dicevo prima!
Quando si esibisce, lei pensa al culmine di ogni fraseggio?
Non proprio… Lo conosco, l’ho studiato, mi ci sono esercitato, ma quando canto sul palco è troppo tardi per pensarci… è già accaduto… posso esercitarmici, ma sul palco non pensi all’appoggio e al posto della tua voce, è già successo nella preparazione, nel riscaldamento prima dell’esibizione. Ed è una cosa che raccomando vivamente ai giovani, cantano troppo mentre cantano. Invece di pensare prima di cantare, provano a pensare mentre cantano, è troppo tardi… è semplicemente troppo tardi! È come quando si gioca a golf… se vuoi colpire la pallina, devi pensarci prima… e nel momento in cui fai partire la mazza, lascia semplicemente che accada… e poi finisci! Finire il fraseggio ti dà la possibilità di iniziare il fraseggio successivo allo stesso livello. Ciò ti da un senso ancora maggiore del legato, legato nei grandi fraseggi. Non perdere la “corrente principale”. Nel caso del legato, è un tono insieme all’altro, in caso di grandi distanze, un fraseggio finisce dove un altro inizia. Ciò ti dà una direzione. Naturalmente, a volte, il compositore scrive qualcosa di diverso perché una storia è finita. Ma questà è la regola basilare. A volte complichiamo le cose più semplici se non seguiamo queste regole.
Si può anche paragonare alla guida… la scioltezza nel cambiare le marce: questo è il legato. Bisogna impararlo. Vale tanto per il canto quanto per la guida. Certo, la gente si crede più furba: inventa il cambio automatico. Ma anche il sistema del cambio automatico è stato costruito. Sa a cosa mi riferisco… guido una vecchia auto, davvero d’annata, ed è davvero difficle cambiare le marce.. non è facile! È una macchina sportiva, bisogna essere molto precisi… respiro-appoggio-proiezione-immaginazione, sono tutti componenti del sistema di cambio del canto… è facile se si comprendono innanzitutto le parti del canto. Dopodiché, è facile anche mettere in pratica questo sapere. Naturalmente, non si finisce mai, perché se fai bene qualcosa, nuovi problemi arrivano in continuazione. Questo tipo di tecnica lo chiamo multi-dimensionale. Quando non ci pensi, le cose accadono solo ad un livello. Non va affatto bene e può annientare anche una voce meravigliosa. Bisogna trasformare il pensiero univoco, piatto e rinforzare gli aspetti positivi del proprio canto. Questo è il processo di apprendimento del canto.
Lei pensa molto al “rubato” quando canta?
Si, fa parte dello stile. E litigo con qualsiasi direttore d’orchestra che cerca di adeguare tutto al metronomo perché la musica è vita. Non se ne parla nemmeno… Maestro, se vuole che io mi limiti a cantare a tempo, non ho bisogno di lei. C’è musica in cui si usa pochissimo rubato, come Mozart, del periodo classico, e musica piena di rubato come Verdi, Puccini o il repertorio belcantistico. Questa musica è scritta per la voce umana e la voce umana non è una scienza esatta. La voce umana non è uno strumento in sé, è il rubato che le dà vita. Lo amo, Lo amo. Un esempio estremo è il Maestro Santi. cantare con lui è davvero significativo. A volte è molto preciso, molto concreto ed è in quel momento che puoi produrre qualcosa di meraviglioso.
In Wagner, non c’è molto spazio per il rubato perché è tutto scritto. Ma quando Verdi scrive um-pah-pah, um-pah-pah, include il rubato nel fraseggio. Pensi al sestetto di Rigoletto (canta): “Bella figlia dell’amore…plom, plom, plom.” Ora, limitarmi a cantarlo così è noioso per me. Ci è voluta la genialità del compositore per metterlo su carta. I grandi compositori italiani e francesi davvero si preoccupavano di come la gente avrebbe cantato. Verdi pensava ai suoi cantanti e a come far sì che non commettessero errori. Lui sapeva che il tenore ha problemi a scendere con la voce. Quindi per evitare un eccessivo ricorso al portamento, inserisce dei tenuti nel verso, non tanto per i tenuti in sé, ma più per evitare i portamenti… è davvero geniale. Nel rubato, tutto è presente nella scrittura ed è anche connesso con la tecnica. Per ogni portamento che scende, devi far salire un pò il tuo appoggio. Devi pensarci bene per preparare questo effetto. Altrimenti muore, muore… nel golf significa che la tua palla se ne va sempre a destra… e non raggiungi mai il green.
Può essere difficile per un insegnante aiutare un cantante a trovare la sua voce autentica?
I giovani spesso hanno solo cinque toni in tutto, il resto è robaccia e devi quindi selezionare e costruire su quel che hai. È un lavoro immenso. Riconoscere la voce prima di tutto. Che cosa accade quando un tenore canta da baritono? Forse non faticherà molto. Forse all’inizio la qualità sarà anche buona. Per lui Sol Bemolle o Sol non è un problema. Ma dopo 10 o 15 anni di canto, quando la struttura naturale della sua voce cambia necessariamente, che è normale, tutto ciò che ha imparato scomparirà e non ci sono vie di scampo. È tragico! È importante comprendere e riconoscere la vera voce. Sono certo che se fossi nato in Germania, sarei stato un baritono. Ne sono certo al 100%, perché non avevo le note alte e quelle basse erano ottime. Posso ancora cantare da baritono, ma non con la stessa qualità. L’essenza del canto lirico e dell’insegnamento è il trarre le migliori qualità possibili dalla voce. Ed ecco che torniamo a Joan Sutherland che iniziò come soprano drammatico senza sfumature di coloratura, ma aveva qualcuno al fianco che la spingeva a provare cose nuove. Se si ha il coraggio di farlo e ci si concede il tempo necessario, si può essere dei vincenti.
Foto Ken Howard/Metropolitan Opera