“Le nozze di Figaro” al Teatro Comunale di Bologna

Bologna, Teatro Comunale, Stagione Lirica 2012
“LE NOZZE DI FIGARO”
Commedia per musica in quattro atti di Lorenzo Da Ponte
dalla commedia La folle journée ou le mariage de Figaro
di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Il conte d’Almaviva SIMONE ALBERGHINI
La contessa Rosina CARMELA REMIGIO
Figaro NICOLA ULIVIERI
Susanna CINZIA FORTE
Cherubino MARINA COMPARATO
Bartolo BRUNO PRATICO’
Marcellina TIZIANA TRAMONTI
Don Basilio MERT SUNGU
Antonio NICOLO’ CERIANI
Don Curzio SAVERIO BAMBI
Barbarina CRISTIANA ARCARI
Due contadine SILVIA CALZAVARA, ROBERTA SASSI
Orchestra, coro e tecnici del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Michele Mariotti
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Regista Mario Martone
Scene Sergio Tramonti
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Coreografia Anna Redi
Allestimento del Teatro San Carlo di Napoli
Bologna, 17 giugno 2012

Perché spendere soldi per cercare di ascoltare in improbabili spazi aperti cantanti che sono costretti a strillare e/o sono amplificati (nonché ad affrontare il rischio pioggia) quando i nostri bellissimi teatri storici, i luoghi acusticamente e visivamente appropriati per l’opera lirica, sono dotati oggi di aria condizionata? L’altra sera, mentre la signora Remigio e la signora Forte intonavano angelicamente “Che soave zeffiretto” non si poteva che convenire con loro: per sfuggire alla calura estiva il Comunale di Bologna è meglio della Coop! Bisognerebbe anzi augurarsi che i teatri climatizzati delle nostre città d’arte non cessassero le loro attività nei mesi luglio e agosto, quando l’Italia è appunto piena di turisti, ma anzi dessero vita a festival sul modello di quello di Monaco di Baviera.
Oltre alle seduzioni del clima, la serata di domenica 17 giugno ha riservato molti altri motivi di godimento. Purtroppo si è trattato di un godimento solo musicale e non teatrale. E qui sono costretto all’ennesima parafrasi del solito concetto: in Italia non è poi così raro ascoltare della buona musica operistica, almeno per autori come Mozart o Rossini, ma è quasi impossibile assistere ad un vero dramma musicale, perché la regia è affidata il più delle volte a persone non competenti, senza molta fantasia e che spesso non sono neanche in grado di leggere la musica. Curare la regia di uno spettacolo basato sulla musica senza conoscere la musica equivale un po’ alla pretesa di tradurre Omero senza sapere il greco. L’operazione riuscì meravigliosamente a Vincenzo Monti, ma tuttavia non è seria né affidabile.
In questo caso, in luogo di una regia c’era il nome sulla locandina di un regista teatrale e cinematografico famoso, Mario Martone, che ha creato questo allestimento per il San Carlo di Napoli nel lontano 2006. Non c’è un’idea che sia una, tuttavia lo spettacolo è di impostazione assolutamente tradizionale e il cast, con l’eccezione del giovane Don Basilio turco, un pesce fuor d’acqua, è composto da cantanti italiani che hanno maturato i loro personaggi in innumerevoli allestimenti, quindi in realtà va tutto abbastanza bene, le gag previste dal libretto sono tutte al loro posto e si può star sicuri che questo spettacolo piacerà a moltissimi melomani. Però è singolare: un cantante (soprattutto se giovane) sbaglia un mezzo acuto e giù botte, sono tutti lì a ricordare di come lo faceva bene la Callas, la Ponselle, la Patti (o, ancora in qualche blog, anche come lo faceva bene la Pasta o Caffariello). Un regista si confronta con un’opera immensa affrontata dai maggiori registi della storia senza neanche accennare un’interpretazione, storica, sociologica, psicologica, psicanalitica (le chiavi di lettura sono infinite) e tutti sono indulgenti con lui, perché almeno i personaggi non erano vestiti da insetti giganti o cose del genere…
Nel nulla registico generale due sono però i gravi errori compiuti da Martone. Il primo consiste nella scenografia, uno scalone monumentale praticabile che non viene mai utilizzato in un modo creativo (se non per irritanti passaggi di figuranti che non hanno nessuna relazione con il dramma) e che soprattutto si trova per tutti i primi tre atti in fondo al palcoscenico, lasciando dietro al proscenio (in cui si svolge sempre l’azione) un larghissimo spazio vuoto che disperde il suono e soprattutto le parole dei cantanti. Sarebbe bastato farlo avanzare di 5 o 6 metri e si sarebbe ottenuto un effetto migliore per le luci e, ciò che più importa, per l’acustica. (Il crimine oltre tutto è recidivo, essendo già stato compiuto nel Così fan tutte). Il secondo errore invece consiste nell’infrazione clamorosa del primo comandamento non scritto del regista d’opera: “Non farai mimare ai tuoi personaggi le parole che stanno cantando (se non per effetti volutamente ridicoli)”. Con la scusa che “Voi che sapete” è presentata come una canzone, quindi metateatro (teatro nel teatro), e che Cherubino in fin dei conti è una travestita, Martone ha imposto all’incomparabile Marina Comparato di fare uno spettacolino gestuale ad uso degli spettatori non udenti, nel quale la parola “amore” era rappresentata dal gesto di tendere un arco e cose del genere, come una drag queen di un film di Almodóvar (ad esempio Miguel Bosé in Tacones lejanos), ma senza nessun senso dell’umorismo. Imperdonabile. Quello che si può invece lodare in questo allestimento è il Finale del Terzo Atto, impreziosito dai bei movimenti coreografici di Anna Redi, che coinvolgono anche i cantanti, e che si giova moltissimo della passerella praticabile posta intorno all’orchestra su cui sono posizionati il Conte e la Contessa, permettendo di staccare in primo piano le azioni del Conte nella festa.
Da un punto di vista musicale invece, nessuna esitazione ad indicare questa esecuzione come esemplare. Al suo ennesimo incontro con la Contessa, Carmela Remigio ha saputo rendere con la voce e con il corpo tutti i languori e i turbamenti ma anche gli entusiasmi fanciulleschi di questo personaggio multiforme. Simone Alberghini non ha la voce più bella del mondo, ma canta molto bene e sa incarnare la protervia e il fascino del Conte come pochi altri (conquistando tra l’altro molti cuori nel pubblico). Elegantissima la coppia dei servitori. Cinzia Forte (Susanna) è sembrata un po’ “vuota” nei centri ad inizio serata ma ha cesellato un “Deh, vieni non tardar” da sogno. La sua imitazione della voce di Carmela Remigio nella scena del giardino è stata sinceramente divertente. Nicola Ulivieri (Figaro) ha dato vita ad un personaggio meno antipatico del solito e, salvo qualche Fa acuto in “Se vuol ballare” non sicurissimo, molto ben cantato, specialmente “Aprite un po’ quegli occhi”. Incantevole Marina Comparato, che, coniugando un colore schiettamente mezzosopranile alla pulizia e facilità del registro acuto e incarnando sia il lato Gian Burrasca che il lato Diavolo in corpo del personaggio, si conferma il miglior Cherubino del momento. Così come è insuperabile Tiziana Tramonti, che sa penetrare nella psicologia complessa di Marcellina (non solo vecchia ridicola, ma anche madre pentita e donna indifesa in un mondo maschilista) e anche rendere giustizia all’impervia “Il capro e la capretta”. Molto meno da manuale Bruno Praticò, che, assai più avvezzo a praticare il Bartolo di Rossini, in quello mozartiano si guadagna applausi con le consuete “caccolosità” buffe che ci si possono aspettare da lui ma anche con un canto solido e un registro grave inaspettatamente sonoro. Cristiana Arcari (Barbarina) possiede una voce piccola ma sbalorditivamente ben proiettata (si sarebbe detto quasi che fosse amplificata, cosa che ovviamente non è) ed è assolutamente perfetta per la parte. Lo stesso non si può dire per il giovane tenore turco Mert Süngü, che è sembrato piuttosto un Don Ottavio in castigo che non un Don Basilio, ma che almeno canta (generalmente) bene (non come taluni “caratteristi” che si ascoltano sovente in questo ruolo). Michele Mariotti ha diretto un’Orchestra del Comunale di Bologna in ottima forma con rigore ed eleganza, ma concedendosi anche talune sensibili sottolineature liriche (come ad esempio gli illanguidimenti in “Non so più cosa son, cosa faccio”) ed è stato giustamente festeggiato dal pubblico entusiasta. P.V.Montanari