Torino, Teatro Regio:”Norma”

Torino, Teatro Regio, Stagione Lirica 2011/2012
“NORMA”
Tragedia lirica in due atti su libretto di Felice Romani dalla tragedia Norma ou L’Infanticide di Louis Alexandre Soumet
Musica di Vincenzo Bellini
Norma DIMITRA THEODOSSIOU
Pollione MARCO BERTI
Oroveso GIACOMO PRESTIA
Adalgisa KATE ALDRICH
Flavio GIANLUCA FLORIS
Clotilde RACHEL HAUGE
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Michele Mariotti
Maestro del Coro Claudio Fenoglio
Regia Alberto Fassini
ripresa da Vittorio Borrelli
Scene e costumi William Orlandi
Luci Andrea Anfossi
Allestimento Teatro Regio in coproduzione con Opera Scene di Roma
Torino, 23 maggio 2012 
Da dieci anni al Regio mancava la Norma; anzi, a dire il vero, da dieci anni mancava affatto Bellini. Un’assenza di questa dimensione, se non può certo essere giustificata, può essere perdonata per l’impegno che il teatro ha profuso nell’organizzare in questa occasione uno spettacolo che potesse essere all’altezza delle aspettative che il pubblico ha di fronte a un titolo come questo.
Per ciò che riguarda il lato visivo, si è scelta la strada più semplice ed economica di riproporre l’ultimo allestimento del Teatro Regio, con scene e costumi di William Orlandi, la cui regia, di Alberto Fassini, è stata ora ripresa da Vittorio Borrelli. Uno spettacolo funzionale, senza pretese intellettualistiche, con qualche ingenuità che ne farebbe una bella opera da stadio (come i druidi che si presentano sempre in scena in perfetto assetto di guerra); uno spettacolo che si distingue per i fascinosi fondali d’antan che ben raffigurano i notturni gallici (e che forse sarebbero ancor più belli senza le rocce semoventi che spesso li nascondono agli spettatori) e per la libertà interpretativa lasciata ai solisti, veri artefici, con le loro voci e i loro movimenti, della lettura dell’azione proposta in palcoscenico: non è un caso se alcuni dettagli registici mutano nelle recite delle due compagnie.
Dopo il forfait dato da Norma Fantini, il ruolo eponimo è stato interpretato dal soprano Dimitra Theodossiou. Chi fosse andato in teatro solo per ascoltare «Casta diva» – scelta un po’ miope, ma non manca mai qualcuno che su un solo brano fonda l’intera propria opinione – potrebbe essere rimasto un po’ deluso, perché, pur nell’interessante scelta di dare al passo una lettura tutta interiore, giocata su pianissimi e mezze voci, ed espressiva nei colori scuri, il soprano greco ha lasciato trapelare qua e là qualche segno di logoramento del proprio strumento, che è emerso in particolare nella fragilità di alcuni filati. Il meglio del personaggio è stato dato nel seguito, nei duetti con Adalgisa dominati dalla figura della protagonista; nel finale I, concluso con puntatura e vibrante di rabbia e di sdegno, come ben si sentiva fin negli acuti avvedutamente acidi; nell’interpretazione del II atto, dall’altissima temperatura drammatica di marca callasiana del monologo iniziale, alla delicata arrendevolezza nel confronto con la rivale, alle coinvolgenti scene finali. Il mezzosoprano Kate Aldrich, schiacciata da un’antagonista così preminente, nei duetti è risultata un po’ sacrificata, anche perché il suo timbro non si sposava perfettamente con quello della Theosossiou, e la sua voce non aveva quella fluidità, quella capacità di correre nella sala che le altre voci avevano. Emozionanti sono state, per fraseggio, la preghiera iniziale e le tormentate esitazioni del duetto con Pollione. Duetto che è stato valorizzato appieno anche dal tenore Marco Berti, che ha messo in luce, con i giusti accenti e sfumature, l’opera di seduzione del proconsole romano, con la voce calda e pastosa che ha raggiunto dopo il “riscaldamento” dell’aria iniziale, nella quale al buono squillo si affiancava qualche tratto ferino, che non ha tuttavia guastato la definizione dei tratti volontaristici del militare egocentrico. Lievemente penalizzati sono stati, al confronto, i passi delle scene finali in cui occorre muoversi su un registro scuro nel quale Berti si trova meno a proprio agio. Ben completava la compagnia il basso Giacomo Prestia (Oroveso), che nell’ «Ah! del Tebro» ha saputo dominare le masse corali (che sempre si dimostrano di livello eccellente) e concludere con un grave prolungato con fermezza. Ottimo il lavoro di concertazione fatto da Michele Mariotti, il quale, oserei dire, si sta rivelando la più mantenuta fra le “promesse” della sua generazione di direttori, almeno nell’ambito della direzione d’opera. La sua conduzione si è caratterizzata per il taglio lirico, che non teme le lentezze per lasciare agio ai cantanti di costruire i propri personaggi, dove l’orchestra respira col canto, non per scomparire ma per essere valorizzata nella funzione che le è propria nelle opere di Bellini. Foto Ramella & Giannese © Teatro Regio di Torino