Venezia: Omer Meir Wellber dirige Schubert e Beethoven

Venezia, Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2011/2012
SCHUBERT E BEETHOVEN AL MALIBRAN
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Omer Meir Wellber
Franz Schubert
: Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore D 485
Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 5 in do minore op. 67
Venezia, 8 giugno 2012

Intrigante accoppiata di Quinte sinfonie al Teatro Malibran di Venezia: la celeberrima sinfonia in do minore, concepita dalla mente titanica di Beethoven (continuando uno dei filoni portanti di questa stagione concertistica), preceduta dal più riuscito lavoro sinfonico giovanile (per non dire adolescenziale) prodotto dal precocissimo genio di Franz Schubert, che com’è noto, fu rapito alla vita all’età di soli 31 anni. La sua Quinta sinfonia in si bemolle maggiore segna un distacco del compositore viennese dal modello beethoveniano – su cui invece si fonda la precedente Sinfonia in do minore “Tragica” –  per avvicinarsi alla levità, alla grazia, al suono cristallino di Mozart, come testimoniano la stessa composizione dell’organico orchestrale, che non prevede né trombe né timpani, e l’impianto generale della partitura, modellati sulla prima versione della Sinfonia in sol minore K. 550 del grande salisburghese. Ma l’interesse di questo concerto era alimentato anche dalla presenza sul podio del trentunenne direttore israeliano Omer Meir Wellber, interprete di prorompente musicalità, già conteso dalle più importanti istituzioni lirico-sinfoniche di tutto il mondo, successore di Lorin Maazel alla guida della Orquesta de la Comunitat Valenciana del Palau de les Arts, nonché in precedenza assistente di Daniel Barenboim.
Quanto all’interpretazione, il piglio deciso e il bel suono coeso, brillante, di violini e viole nell‘Allegro iniziale della Sinfonia in si bemolle maggiore delineavano uno Schubert intriso di vitalismo, più vicino a Beethoven che a Mozart. Il giovane maestro israeliano attraverso una dinamica ben contrastata è riuscito a sottolineare gli slanci vitalistici e i languori preromantici di questo movimento, che presenta un primo tema di elegante cantabilità mozartiana, cui si contrappone un secondo tema in fa maggiore più energico che effettivamente, per qualche tratto, può far anche pensare a Beethoven.  Nell’Andante con moto il clima arcadico è stato reso con morbidezza di suono e accento meditativo ma anche con virile determinazione, ancora alla maniera di Beethoven, a suggerire una situazione tutt’altro che incantata, bensì di anelante attesa. Analogamente il Minuetto ha assunto, sotto la bacchetta di Meir Wellber, un’aura tragica resa da un’orchestra la cui intensa espressività nasceva da una perfetta comunanza di intenti, oltre che, ancora una volta, dal bel suono. Delizioso l’intermezzo costituito dal trio, un länder di delicata mestizia e dal sapore vagamente popolare, grazie ad un’efficace sottolineatura delle nuances e, nel finale, di un gesto espressivo che assecondava l’essenzialità tipica di Mozart. Un Allegro vivace di grazia settecentesca, con impennate drammatiche già romantiche, ha felicemente concluso l’esecuzione di questa sinfonia, che ha ancora una volta svelato tutta la sua classicheggiante eleganza e anche qualche tratto di originalità, ad esempio nella struttura a pannelli ripetuti senza sviluppo costruttivo (le celestiali lungaggini notate da Schumann), oltre che nelle successioni armoniche, smentendo ancora una volta l’ingeneroso giudizio di Hanslick, che la considerava un “pallido calco di Mozart”.
Ovviamente l’impeto giovanile del direttore si è rivelato in tutta la sua forza nell’esecuzione della Quinta di Beethoven, accentuando la smisurata potenza racchiusa in questa musica, ad esprimere lo slancio generoso della Ragione in lotta contro il Destino tenebroso, altrimenti riservato all’Uomo, e il suo trionfo finale sulle forze oscure dell’ignoranza e della superstizione, in un itinerario segnato da immani contrasti, che evocano il titanismo romantico, prima di giungere all’apoteosi finale di sapore tipicamente illuministico. Nell’Allegro con brio, dopo un nitido e coeso inciso iniziale (il Destino che batte alla porta) si è ascoltato un Beethoven travolgente, pur senza nessuna concessione all’effetto fine a se stesso. In questo primo movimento davvero sublime per l’assoluta coerenza di scrittura e l’economia di materiali tematici, costruito in larga parte sulle fatidiche quattro note iniziali, il suono era veramente nitido e brillante, mentre il gesto direttoriale assecondava con chiarezza e rigore le meravigliose, e altrettanto rigorose, architetture nate dalla fantasia dell’autore. Morbidi i violoncelli e le viole nell’esposizione del primo tema e nell’esecuzione delle sue variazioni – cui hanno fatto seguito con efficace nitore anche i violini – nel successivo Andante con moto, reso con misurata leggerezza priva di enfasi nei suoi momenti contrastanti, caratterizzati da un’aura serena cui s’oppone un clima di misteriosa attesa. I contrabbassi – al cui virtuosismo solistico Beethoven si era interessato all’epoca tramite la consulenza l’italiano Dragonetti – e poi tutta la sezione degli archi hanno intonato vigorosi e precisi il celebre fugato che costituisce l’episodio centrale dell’Allegro (Scherzo), uno spericolato passaggio virtuosistico con venature grottesche, inserito in un movimento in cui torna l’inciso del destino e che termina con una breve transizione (un lungo pedale degli archi, scandito da una serie di fatidici colpi di timpano), evocante di nuovo la trepida attesa della vittoria e sfociante in un crescendo che conduce direttamente all’ultimo movimento. L’eroica apoteosi finale (Allegro), rilucente nell’ottimistica tonalità di do maggiore, ha conquistato il pubblico con le sue sonore fanfare, la sua traboccante energia, il suo ritmo serrato, pur senza mai perdere il senso del particolare, fino al Presto che conclude questo lavoro titanico, da cui si sprigiona una forza che l’autore stesso sembra dominare a stento come sembrano indicare i ripetuti accordi ribattuti che suggellano quasi con perentoria ostinazione una sinfonia che non vorrebbe finire. Orchestra scattante fino alla fine e affiatamento tra le varie sezioni dialoganti tra loro. Al beethoveniano trionfo della Ragione è seguito subito dopo il meritatissimo trionfo tributato dal pubblico al direttore e agli esecutori.