“La Bohème” alla Choregies Orange

Orange, Théâtre Antique, Chorégies d’Orange 2012
“LA BOHÈME”
Opera in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger
Musica di Giacomo Puccini
Mimì INVA MULA
Musetta NICOLA BELLER-CARBONE
Rodolfo VITTORIO GRIGOLO
Marcello LUDOVIC TÉZIER
Colline MARCO SPOTTI
Schaunard LIONEL LHOTE
Benoît LIONEL PEINTRE
Alcindoro JEAN-MARIE FREMEAU
Parpignol JEAN-PIERRE LAUTRÉ
Orchestre Philharmonique de Radio France
Chœurs d’Angers-Nantes Opéra, de l’Opéra-Théâtre d’Avignon et des Pays de Vaucluse,et de l’Opéra de Toulon Provence-Méditerranée
Maîtrise des Bouches-du-Rhône
Direttore Myung Whun Chung
Regia Nadine Duffaut
Scene Emmanuelle Favre
Costumi Katia Duflot
Luci Philippe Grosperrin
Orange, 7 luglio 2012
Voler rappresentare La Bohème nel teatro antico d’Orange è un’operazione quanto meno discutibile. Questo luogo grandioso e dall’acustica sicuramente notevole  è uno spazio inappropriato per un’opera così intimista. I cantanti sembrano alquanto smarriti benchè la regia di Nadine Duffaut non sia stata certo minimalista. Il vasto palcoscenico è stato ampiamente occupato con una sovrapposizioni di azioni che animano continuamente la scena. Questo destabilizza il pubblico e lo distrae troppo dall’azione principale dell’opera. La soffitta dei bohèmiennes è circondata dall’animazione che ruota attorno al caffè Momus, il fulcro dell’azione del secondo atto. Qui il caos tocca il parossismo. A fatica si riesce a capire da dove provengano e dove sono i cantanti. In questa “Bohème colossal” brilla un superbo effetto di neve nel terzo atto che si svolge alle porte di Parigi: crea veramente l’illusione del freddo inverno, ma Mimì, Marcello e Rodolfo faticano a trovare lo spazio scenico. Tutto poi si disperde, compreso quello che dovrebbe essere il momento più commovente dell’opera, ossia la morte di Mimì.  Mimì appare attraverso una botola che si richiude di fronte a Rodolfo, il quale rimane in piedi e una Mimì straziante le cade ai piedi di piatto. Peccato! I costumi di Katia Duflot sono come sempre molto belli, ben realizzati, ricercati: si ha quasi  l’impressione di guardare delle stampe d’epoca. Dobbiamo però anche aggiungere che dominano un po’ troppo i toni del grigio. Le luci di Philippe Grosperrin sono complessivamente di bell’effetto: hanno però mostrato qualche limite nell’evidenziare i protagonisti, spesso un po’ troppo in ombra.
Il cast è dominato dal vibrante e appassionato Rodolfo di Vittorio Grigolo. Il tenore romano ha una voce sonora e ben timbrata, con facilità supera le sonorità orchestrali. A ciò aggiungiamo che canta con finezza e musicalità. Accanto alla forte personalità scenica e vocale di Grigolo, la Mimì di Inva Mula è alquanto esangue. La voce appare piuttosto povera di smalto e il suo canto comunque elegante ed espressivo si disperde negli spazi della Choregies. Si avrebbe il  desiderio di ascoltarla più da vicino in uno spazio più adeguato. Apprezzabile la  Musetta interpretata da Nicola Beller-Carbone: si è dimostrata attrice vivace ma la sua pur bella vocalità non corrisponde pienamente alla brillantezza del personaggio. Lo si è notato già nel valzer “Quando me’n vo“, affrontato in modo eccessivamente lento. Il Marcello di Ludovic Tézier  appare piuttosto rigido. La sua voce, apprezzata al Festival D’Aix-en-Provence nel ruolo di Germont, qui è parsa mancare di ampiezza e proiezione. Quale Colline, il basso Marco Spotti ha messo in luce la sua bella e ricca vocalità, ma anche lui, giunto al celebre inciso della “zimarra”, è apparso un po’ compassato. Lionel Lhote (Schaunard) completa brillantemente un quartetto di cantanti che, nel complesso, sono riuscite a trasmettere le gioie, le spensieratezze e i dolori della “Vie de Bohème”. Il cast è stato ben completato da Lionel Peintre (Benoît) e Jean-Pierre Lautré (Parpignol). Degna di attenzione è la buona tenuta del coro e molto ben preparato anche quello dei bambini. L’orchesta di Radio France era diretta da Myung Whum Chung. Questo direttore carismatico ed energico ha imposto all’opera una lettura viva, incalzante che trascina l’orchestra e i cantanti. Con un  gesto morbido e preciso Whun Chung ha saputo  trarre sonorità rotonde dagli archi e nel contempo dare un ampio respiro all’intera compagine che, per altro, visto il contesto del Chorégies, appare alquanto estesa, forse troppo. Anche cercando delle sonorità in “piano”, il direttore è molto lontano dalla scena e  fatica a creare un reale  contatto con i cantanti. In conclusione il pubblico ha comunque salutato con molti applausi al termine dello spettacolo nel quale, come abbiamo detto,  sono state un po’ latenti le vere emozioni pucciniane.