Edda Moser, figlia del musicologo Hans Joachim Moser, è nata e cresciuta a Berlino. Ha studiato canto presso il Conservatorio della sua città con Hermann Weissenborn e Gerty King. Ha cantato nei più grandi teatri del mondo come Metropolitan di New York, La Scala di Milano, Statsooper di Vienna, Covent Garden di Londra, Teatro Bolshoi di Mosca. Herbert von Karajan la vuole giovanissima nel “Die Zauberflöte” di Mozart come Regina della Notte, ruolo che l’ha resa celebre in tutto il mondo. Dagli anni’80 insegna in Corsi Masters presso vari Istituti e Accademie (Accademia Europea di musica e spettacolo, Junge Münchner Phiharmonie ed il prestigioso Mozarteum di Salisburgo) e ha una cattedra a Colonia presso l’Università della Musica.
Signora, che rapporto ha avuto con la sua voce?
Corpo e voce sono la medesima cosa, quindi non si possono scindere, fanno parte della persona. Quando un artista canta si dovrebbe esprimere con tutto il suo corpo, con le braccia, le gambe, le ginocchia e con il fiato. Secondo me Martina Serafin è un esempio di quello che sto dicendo. E’ morbida senza alcuna tensione. Lei mentre canta è in totale armonia con il suo corpo. Tutti possono cantare, il corpo è fatto per cantare!
La sua famiglia le è stata di aiuto nello studio della musica?
Mai. Ho scelto io di fare la musicista. Ricordo che ascoltavo la bella voce di mio padre al pianoforte. Io immagazzinavo quello che lui faceva. Ho imparato ad emettere i suoni imitandolo e, grazie a Dio, era un ottimo cantante. Da bambina mia madre non mi diceva mai di andare a giocare al parco perché io ero sempre seduta davanti al pianoforte e sperimentavo. A tre anni conoscevo i lieder di Schumann e Schubert. Avevo un grande desiderio di imparare il gioco del canto e tutto per me era naturale. Mio padre vocalizzava ed io lo imitavo. Semplice, no?
Come si accostava ad un nuovo personaggio da interpretare?
Io prima pensavo alla storia e cercavo informazioni sul carattere del ruolo che avrei dovuto affrontare. Quando ho iniziato a studiare “Salome” di Richard Strauss sono andata in Israele per respirare i profumi di quelle terre e percepire l’atmosfera. Con Violetta di “Traviata” ho letto Dumas, ho sempre cercato di documentarmi al meglio. Subito dopo iniziava lo studio accurato e molto rigoroso dello spartito. Ripetevo le stesse frasi musicali anche mille volte. Tutto questo lavoro mi serviva perché quando ero sulla scena dimenticavo di essere Edda Moser, io ero il personaggio e lo volevo essere!
Non è difficile rimanere rilassati vocalmente quando si affrontano ruoli forti e prepotenti come Salome? Il carattere quasi isterico e l’impeto del personaggio non possono essere un ostacolo mentre si canta?
Potrebbe essere pericoloso, non bisogna lasciarsi andare totalmente. La cosa che bisogna pensare è che tutta questa forza deve esser concentrata sulla respirazione e sul fiato.
Ha mai avuto difficoltà nel fare un ruolo che non le piaceva?
Diciamo di no…ma una volta ero al Metropolitan e stavo cantando Nedda e quando sono entrata in scena ed ho iniziato a eseguire l’aria mi ripetevo “Non è il mio ruolo, non mi piace. Io non sono Nedda, povero Canio quanta pena mi fa”(risata fragorosa). A parte questo simpatico episodio io sono un’attrice e non mi domandavo mai se il ruolo che interpretavo mi piaceva o no. Io ero quello che cantavo, non ero Edda.
Come si sentiva quando entrava sul palco?
Io sono molto nervosa perché in scena devi stare attento a tutto, ma sono anche come un cavallo del circo che quando inizia a lavorare fa quello che deve fare senza troppe domande. La musica mi ha sempre guidato e mi sono sempre abbandonata ad essa. Quando facevo la Regina della notte io pensavo solamente alla posizione dei suoni e a come emettere quei FA.
Che cosa le sarebbe piaciuto fare se non fosse diventata una cantante?Naturalmente io sono e sarò sempre una cantante. Da bambina io volevo fare l’attrice o la ballerina infatti ho studiato danza anche con Mary Wigman (considerata una delle massime esponenti della “danza libera tedesca” e pioniera della danza moderna ). Il mio obiettivo nella vita era quello di essere “potente” sulla scena.
La prima regola che un allievo di canto deve imparare.
Diligenza e fiato. Dedicare la propria vita al canto, se si vuole cantare veramente. I giovani vengono da me e mi dicono che vogliono essere dei cantanti lirici ma spesso io gli suggeriscono di prendere un altra strada. Occorre disciplina, assiduità, precisione, scrupolo.
Cosa ricorda del suo debutto?
Un disastro totale (risata). Prima di entrare in scena sono inciampata sul vestito ed ero tutta rossa dalla vergogna. Avevo 22 anni e cantavo Marguerite del “Faust” di Gounod. Non capivo perché il direttore d’orchestra con la sua bacchetta gesticolasse nella mia direzione (risata) mi chiedevo cosa volesse da me! Le luci del palco mi davano fastidio e dovevo pensare a tutti i movimenti scenici e anche cercare di cantare! Feci una grande fatica a gestire tutto.
Come vede il futuro dell’opera lirica?
Ah! 60 anni fa dicevano che l’opera era finita. Ma già ai tempi di Monteverdi si affermava che non esistevano più cantanti.
Ha mai avuto un cantante di riferimento?
Quando ero ragazzina mi piaceva Maria Callas ma poi ho percepito dalle registrazioni che, poverina, un senso evidente di affaticamento. La dieta alla quale si è sottoposta, sono convinta, le ha tolto una gran quantità di energia per il canto.
Fra i suoi colleghi chi ricorda con maggior simpatia?
Ah! Franco Corelli, Nicolai Gedda, Mirella Freni, Cornell MacNeil, Placido Domingo e Luciano Pavarotti, erano e sono tutti dei grandi amici. Noi sapevamo bene quali erano i pericoli durante un esecuzione e fra di noi ci aiutavamo, eravamo un bel team. Sapevamo quali erano le responsabilità dell’altro e il nostro obiettivo era sempre quello di fare uno spettacolo bello e di grande livello artistico. Ricordo che Pavarotti si era divertito per la mia Musetta cantata al Met e dopo aver ascoltato il mio “Al piè…sciogli, slaccia” telefonò ad Amburgo per pretendere che io ci fossi anche in un’altra produzione ma dovetti rinunciare perché stavo cantando “Don Giovanni”.
I ruoli che avrebbe voluto fare?
Brunnhilde e Isolde. Sogni mai realizzati. Incisi a Trieste solo “Mild und Leise”.
Prima di cantare che vocalizzi faceva?
Nessuno, solo “brrr” con le labbra. Giorni prima invece cercavo di star tranquilla e non parlavo nemmeno al telefono per riposare la voce. Non volevo vedere nessuno e alla sera non mangiavo, così non avrei avuto problemi di reflusso gastrico durante la notte.
Signora si reputa felice?
No. “Io sono morta”. La felicità, che esprimevo col canto, è andata. Io adesso insegno ma nulla può riportarmi quella gioia che avevo un tempo. Ora sono concentrata sulla mia Fondazione che si occupa di custodire la lingua tedesca. Nel 2006 ho inaugurato il “Festival della lingua tedesca” nel castello di Heidecksburg a Rudolstadt in Turingia. Il mio lavoro ora è questo. Negli ultimi cento anni la lingua si è contaminata da tutti questi modi di dire inglesi come “ok” ,“wonderful” e questa per me è una sfida, salvare la mia lingua madre. Magari diventerò famosa anche per questo! (risata).