Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2012/2013
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Tomas Netopil
Pianoforte Nikolai Demidenko
Antonín Dvořák: Karneval, ouverture da concerto in la maggiore op. 92
Sergej Prokof’ev: Concerto n. 3 in do maggiore op. 26, per pianoforte e orchestra
Antonín Dvořák: Variazioni sinfoniche su un tema originale op. 78
Leoš Janáček: Taras Bul’ba, rapsodia per orchestra (da Gogol’)
Torino, 18 ottobre 2012
Come in ogni grande città musicale, anche a Torino succede a volte che la concomitanza di più appuntamenti finisca per penalizzarne qualcuno in particolare: giovedì 18 ottobre andava in scena al Teatro Regio una replica del Fliegende Holländer diretto da Gianandrea Noseda, all’Auditorium del Lingotto Daniel Harding dirigeva la Mahler Chamber Orchestra, e all’Auditorium RAI l’Orchestra Sinfonica Nazionale (OSN) proponeva il suo secondo concerto della stagione, con la direzione di Tomas Netopil e Nikolai Demidenko al pianoforte. Il pubblico non gremiva la sala RAI, ed è stato un vero peccato, perché non solo il programma era strutturato con quattro brani molto bene assortiti tra pezzi celebri e pagine meno frequentate, ma anche le esecuzioni sono state di ottima qualità.
L’articolazione pareva un omaggio alla tradizione: un’ouverture, un concerto solistico, dopo la pausa variazioni sinfoniche e una rapsodia dalla chiusa reboante. Netopil ha condotto tutti e quattro i brani con grande attenzione alla trasparenza del suono e alla chiarezza della lettura complessiva. In Karneval, per esempio, è stato evidenziato il prezioso colorismo che caratterizza la partitura, senza che il direttore tralasciasse di rimarcare i numerosi temi che si susseguono nella pur breve pagina; in tal modo essa si è conclusa con la giusta proporzione di raffinatezze e di tinte elegiache, unitamente a quel clima di ironia un po’ cialtrona e un po’ strafottente che il termine Karneval riassume.
L’intesa tra direttore e pianista nel concerto n. 3 di Prokof’ev è stata mirabile: Demidenko pratica una straordinaria capacità mimetica nei confronti dell’orchestra, perché il suo pianoforte è di volta in volta una percussione, nei momenti ritmicamente più selvaggi, oppure evoca le flessuose sonorità degli archi, oppure ancora suggerisce la morbidezza dei legni. Non c’è forse migliore caratura interpretativa, al di là del rigore tecnico con cui ogni frase è impeccabilmente accentata, di tale duttilità del pianoforte di Demidenko rispetto alle varie sezioni. Netopil, dal canto suo, riesce a coinvolgere l’orchestra non per blocchi, bensì per tramite degli strumenti principali, facendo risaltare una caratteristica della strumentazione del concerto: Prokof’ev ha avviato il primo movimento con il clarinetto, il secondo con il flauto, il terzo con i fagotti all’unisono; su tutte queste suggestioni si innesta, poi, il pianoforte, per assumere sempre un ruolo guida. Ebbene, grazie al rilievo conferito a tutti questi inserti, Netopil trasforma il concerto quasi in una sinfonia con più strumenti obbligati, lasciando naturalmente il pianoforte in risalto.
Ma c’è ancora un’altra caratteristica che provvede ad armonizzare gli interventi di orchestra e solista nel corso dell’intera opera, ed è la tecnica delle variazioni: Demidenko insiste su arcate, passaggi, temi, perché ogni frase risulti il punto di partenza della successiva elaborazione, in una sorta di “studio” della variazione sinfonica che ha per centro il secondo movimento (articolato appunto come Tema con cinque variazioni. Andantino, 1. L’istesso tempo, 2. Allegro, 3. Allegro moderato, 4. Allegro meditativo, 5. Allegro giusto, Tema). Il culmine della perfetta simbiosi di strumenti e pianoforte è raggiunto però nella seconda parte del terzo movimento, in prossimità del finale (ancora un Allegro): le celebri enunciazioni tematiche, di gusto rachmaninoviano, sono talmente ben sostenute che il suono del pianoforte galleggia su un grandioso respiro orchestrale, e può farsi gioioso e coerente, martellante e al tempo stesso rassicurante. Il Prokof’ev di Demidenko è infatti chiaro e assertivo, non ha nulla di malinconico; e l’OSN guidata da Netopil rafforza tale impostazione, all’interno di un disegno davvero positivo.
Le acclamazioni hanno indotto il solista a concedere due bis, il primo dei quali ha rappresentato un ulteriore omaggio all’epoca di Prokof’ev: un brano fiabesco, Fairy Tale, di Nikolai Medtner, autore che Demidenko contribuisce a riscoprire e rivalutare.
Anche la seconda parte del concerto si apriva nel nome di Dvořák, e la scelta desueta delle Variazioni sinfoniche su un tema originale si è rivelata felicissima: in primo luogo perché era tempo di riascoltare il brano (alla RAI di Torino non si eseguivano più dal 1966), e poi per la continuità rispetto alla struttura centrale del titolo prokof’eviano. Nonostante il lasso cronologico che separa le due pagine (1877, la serie di Dvořák; 1913-1921, gli anni di elaborazione del concerto n. 3 di Prokof’ev), la sperimentazione del musicista boemo a partire da una canzone articolata in tre frasi sembra precorrere il raffinato e sereno gusto compositivo del russo. Grazie a confronti e accostamenti di questo tipo l’ascoltatore può definire meglio il profilo artistico di un compositore in rapporto a modelli e continuatori; ed è una possibilità che dipende dall’intelligenza con cui il programma del concerto è concepito. Netopil ha diretto le 27 variazioni di Dvořák con l’intento di far risaltare la linearità dell’intero complesso, nella cifra della leggerezza e dell’eleganza.
A chiusura della serata Taras Bul’ba di Janáček ha suscitato la stessa impressione di salto nel Novecento che l’opera di Prokof’ev aveva determinato rispetto a Karneval e alla sua atmosfera frivola e un po’ pacchiana. Con le tre parti della rapsodia ispirata a Gogol’ il programma si è completato sui toni di una sinfonia di morte, declinata dalla passione politica del compositore in scene di martirio e in profezia del riscatto. Ma Netopil non ha voluto eccedere nel trionfalismo e nelle sonorità, forse ricordando più i supplizi di Andrij, Ostap, Taras Bul’ba, i due figli e il padre, che non l’aspirazione alla gloria delle parole conclusive di Gogol’. Come per richiamare alla cronologia di composizione della rapsodia: quel 1918, tempo di straordinarie rivoluzioni, ma soprattutto di riflessioni e di illusioni sul futuro dell’Europa (musicale e non).