Modena, Teatro Comunale: “Don Carlo”

Modena, Teatro Comunale, Stagione Lirica 2012/2013
“DON CARLO”
Opera in cinque atti. Libretto di François-Joseph Méry e Camille Du Locle. Traduzione italiana di Achille de Lauzières, Angelo Zanardini.
Musica di Giuseppe Verdi
Filippo II, Re di Spagna GIACOMO PRESTIA
Don Carlo, Infante di Spagna SERGIO ESCOBAR
Rodrigo, Marchese di Posa SIMONE PIAZZOLA
Il Grande Inquisitore LUCIANO MONTANARO
Un Frate PAOLO BUTTOL
Elisabetta di Valois CELLIA COSTEA
La Principessa Eboli ALLA POZNIAK
Tebaldo, paggio d’Elisabetta IRÈNE CANDELIER
Il Conte di Lerma GIULIO PELLIGRA
Un araldo reale MARCO GASPARI
Una voce dal cielo IRÈNE CANDELIER
Orchestra Regionale dell’Emilia-Romagna
Coro Lirico Amadeus – Fondazione Teatro Comunale di Modena
Direttore Fabrizio Ventura
Maestro del coro Stefano Colò
Regia Joseph Franconi Lee
Scene e costumi Alessandro Ciammarughi
Luci Nevio Cavina
Movimenti coreografici Marta Ferri
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Comunale di Modena. Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione Teatri di Piacenza
Modena, 19 ottobre 2012
Non è certo facile allestire Don Carlo, opera scelta come titolo d’apertura della Stagione Lirica 2012/2013 del Teatro Comunale di Modena e presentata nella versione in cinque atti del 1886. Averlo allestito però su due binari – buca e palcoscenico – che solo ogni tanto si sono incontrati è stato veramente un peccato, considerato che il cast vocale presentato a Modena coinvolgeva alcuni elementi veramente interessanti. A nostro avviso, quindi, la lacuna più evidente di questa produzione è stata proprio la direzione di Fabrizio Ventura che non ha saputo in primo luogo assecondare i solisti, trattando alla stessa stregua voci più o meno idonee ad una partitura così impegnativa, mentre molto faticosamente ha tentato di tenere le briglia di tutta la materia narrativa, confondendo spesso lirismo con noia e concitazione con caos. All’autodafé il volume dell’organico era talmente alto da coprire completamente chi stava in scena. In tutto ciò, è stato ben coadiuvato dall’Orchestra Regionale dell’Emilia-Romagna tutt’altro che ispirata. Simone Piazzola ha tratteggiato un ottimo Rodrigo. Con voce non particolarmente grande ma ben emessa, il giovane baritono veronese ha puntato soprattutto sulla natura lirica dello strumento per rappresentare l’amico fraterno più che il nobile Marchese di Posa. Intensissimo e commovente alla scena della morte, a seguito della quale ha riportato un grande trionfo personale. Giacomo Prestia, nei panni di Filippo II, ha dalla sua una voce più ampia ma meno ordinata nell’emissione, giacché talvolta suona gutturale. È però un artista intelligente e di grande esperienza: ha dato prova di sapere cosa significhi fraseggiare, risultando ora imperioso ora fragile e nervoso. La sua esecuzione di Ella giammai m’amò, davvero emozionante, è stato il numero più applaudito della serata. Di Sergio Escobar come Don Carlo c’è poco da dire: voce tanta ma emessa sempre di forza. Il che ha gravato non solo sulla resa del personaggio ma, anche a livello meramente esecutivo, ha causato problemi già dalla sortita, considerato il passaggio all’acuto spesso laborioso. Luciano Montanaro, il Grande Inquisitore, ha cercato un’ampiezza vocale che non possiede risultando sempre forzato; ancor peggio Paolo Buttol nei panni del Frate. Per quanto riguarda la compagine femminile, Cellia Costea ha mostrato una voce molto lirica e dal centro poco sonoro, il che ci fa credere che il personaggio di Elisabetta di Valois non possa esserle naturalmente congeniale, anche in condizioni lavorative meno opprimenti. L’interprete è stata però raffinata, così come l’attrice. Più problematica la Principessa d’Eboli di Alla Pozniak. La zona medio-grave poco corposa e tubata l’ha portata a sparire completamente al terzetto del giardino; un po’ meglio la Canzone del Velo nonostante il canto d’agilità approssimativo mentre al Don fatale ha cantato con veemenza, persino troppa, forzando la zona acuta. Di Irène Candelier come Tebaldo e Voce dal Cielo si è sentito poco. Buona la prova del Coro Lirico Amadeus diretto da Stefano Colò.
La regia di Joseph Franconi Lee non è stata “classica” ma semplicemente statica. L’“impiccio” delle masse viene il più delle volte risolto collocando il coro su praticabili laterali che saranno una costante per l’intero spettacolo. Quanto ai solisti, solamente la coppia Filippo II – Elisabetta di Valois ha offerto una parvenza di regalità: gli altri sembravano completamente spaesati e lasciati alla loro inventiva. Non sono mancati momenti ben realizzati, come il mostrare tramite un velario e un bel gioco di luci l’interno e l’esterno della Cattedrale di Valladolid all’atto terzo, ma più diffusamente i tempi morti non si sono contati privando d’intensità anche momenti come il disarmare Don Carlo da parte di Posa di fronte alla titubanza dei Grandi di Spagna. Hanno invece ben figurato le scene di Lorenzo Ciammarughi, ben valorizzate dalle luci di Nevio Cabina. In generale, è particolarmente riuscita l’alternanza tra scene più connotative, costituite da fondali dipinti, ed altre rese dal solo disegno luci, come il supplizio degli eretici o il colloquio tra Filippo e il Grande Inquisitore. Belli e sfarzosi i costumi creati sempre da Ciammarughi.
La replica del giorno 19 non ha visto purtroppo il tutto esaurito: il successo però è stato caloroso, soprattutto per Prestia, Costea e Piazzola.