Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Lirica 2012/2013
“OTELLO”
Dramma lirico in quattro atti, libretto di Arrigo Boito da Othello di William Shakespeare.
Musica Giuseppe Verdi
Otello GREGORY KUNDE
Jago LUCIO GALLO
Cassio FRANCESCO MARSIGLIA
Roderigo ANTONELLO CERON
Lodovico MATTIA DENTI
Montano MATTEO FERRARA
Un araldo SALVATORE GIACALONE
Desdemona LEAH CROCETTO
Emilia ELISABETTA MARTORANA
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Piccoli Cantori Veneziani
Direttore Myung-Whun Chung
Maestro del coro Claudio Marino Moretti
Maestro del coro di voci bianche Diana D’Alessio
Regia Francesco Micheli
Scene Edoardo Sanchi
Costumi Silvia Aymonino
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice nel bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi
Venezia, 29 novembre 2012
Una scelta davvero coraggiosa quella di proporre in apertura della Stagione lirica 2012-2013 due titoli inaugurali assolutamente impegnativi come quelli di Otello e Tristan und Isolde, entrambi affidati all’esperta bacchetta di Myung-Whum Chun, per celebrare degnamente il bicentenario della nascita di due sommi compositori, Giuseppe Verdi e Richard Wagner, legati per motivi diversi a Venezia al pari delle due opere in programma. Ci piace, altresì, ricordare che Otello, per quel declamato drammatico da cui è percorso dall’inizio alla fine, nella quasi totale assenza di pezzi chiusi, è apparso ad alcuni – in primis a Stravinskij, che peraltro lo affermò a titolo di demerito – l’opera più wagneriana del Maestro di Busseto: un ulteriore elemento che, in qualche modo, avvicina i due capolavori.
Per quanto riguarda l’opera di Verdi, generalmente poco rappresentata per la difficoltà di trovare un tenore in grado di sostenere le difficoltà della parte del protagonista, basata fondamentalmente sul registro centrale ma con qualche repentina impennata verso l’acuto, diciamo subito che il tenore Gregory Kunde ha fatto ascoltare un’interpretazione del personaggio di Otello come da molti anni non accadeva. Nato come tenore di grazia, col tempo la sua voce si è irrobustita ed ha assunto un carattere drammatico, che la rende congeniale al ruolo davvero impegnativo del “moro” verdiano. Una voce ferma, di nobile metallo, omogenea e senza incrinature; un fraseggio scolpito e drammaticamente efficace. Forse Kunde ha voluto imprimere al protagonista un carattere talora eccessivamente aggressivo, pur senza mai cadere completamente nell’abisso di una certa tradizione che ha fatto del protagonista la caricatura del selvaggio urlatore e sanguinario. Tuttavia, a nostro modesto avviso, sarebbe stata più consona ai suoi mezzi vocali, oltre che alle intenzioni di Verdi e Boito, una lettura ancora più decisamente orientata verso l’interiorizzazione del dramma, appropriandosi della grande lezione di Jon Vickers. In ogni caso l’interpretazione del tenore statunitense ha rivelato un suo fascino e una sua forza drammatica. Ed ha pienamente convinto il pubblico. Che ha apprezzato allo stesso modo anche Leah Crocetto, al debutto nel ruolo di Desdemona, delineata dal soprano americano in tono ingenuo e quasi fanciullesco anche in conseguenza di una vocalità chiara e brillante, comunque sempre attentamente sorvegliata, a rendere le sfumature del canto, gli squarci lirici come quelli drammatici.
Qualche incertezza, invece, si è sentita nella voce tendenzialmente ingolata e intubata di Lucio Gallo, che ci ha offerto uno Jago abbastanza tradizionale, esasperando gli aspetti esteriori del cattivo, ma facendo sentire nel “Credo” un fraseggio scandito, intimamente drammatico senza cercare l’effetto. Fresco e giovanile il Cassio di Francesco Marsiglia, che ha sfoggiato un timbro brillante. Espressiva ed elegante Elisabetta Martorana nella parte di Emilia. Quantomeno accettabili gli interpreti dei ruoli minori. Eccellente la prestazione del coro, istruito da Claudio Marino Moretti, e dei Piccoli Cantori Veneziani, affidati alle cure di Diana D’Alessio.
Ma il successo dello spettacolo è dovuto in buona parte alla sensibilità e all’intelligenza di Myung-Whun Chung, che si è sobbarcato, senza mostrare segni di stanchezza, la fatica di studiare e dirigere contemporaneamente due partiture raffinate e complesse, alternando le recite di Otello a quelle di Tristan und Isolde. Acuta ed analitica, come ci ha ormai abituato il direttore coreano, la lettura dell’opera verdiana. Il piglio giustamente vigoroso e concitato impresso ad una pagina come quella dell’iniziale tempesta marina che minaccia la nave comandata da Otello, non ha, ad esempio, impedito di far apprezzare ogni particolare della partitura, che, talora con imponente volume sonoro, evoca i bagliori del fulmine e le onde frenetiche del mare tra le grida di chi vi assiste da terra trepidante: dall’orchestra alle voci, tutto si è sentito nitidamente, a conferma di una magistrale capacità di concertazione. Un’orchestra duttile e ricca di svariati colori e impasti sonori ha accompagnato superbamente il “Credo”; si è fatta sottilmente meditativa in “Dio! Mi potevi scagliar”, divenendo poi una candida trina a commentare l’accorata “Ave Maria” dell’altrettanto candida Desdemona. E non abbiamo ricordato che alcuni momenti particolarmente significativi di questa esecuzione con cui Chung ha dimostrato ancora una volta che una solida cultura musicale, insieme alla frequentazione del repertorio sinfonico, è presupposto indispensabile per affrontare degnamente il teatro musicale e non farlo diventare un genere minore in cui conta solo l’abilità negli acuti o nelle colorature.
“Or incomincian le dolenti note”: infatti stiamo per parlare della regia e, in generale, degli aspetti visivi dello spettacolo. A dire il vero, certi elementi scenografici erano di qualche interesse: la scena infatti, costituita da un’enorme scatola su cui è disegnata una gigantesca mappa delle costellazioni stellari, come quelle usate da Otello in qualità di capitano, evoca uno spazio universale, astratto, entro cui si muovono i personaggi, forse l’Aldilà, il destino che condiziona la loro vita. Dentro questa scatola un grande cubo, aperto da un lato, con le pareti decorate da arabeschi traforati, diventa di volta in volta la camera nuziale di Otello e Desdemona, la stanza di Jago e quant’altro. Un marchingegno tutto sommato funzionale allo spettacolo, che ha un suo significato e una sua originalità. In linea col dramma shakespeariano ci è parsa anche l’idea di riportare sul velario un testo manoscritto che contiene le perfide elucubrazioni di Jago, il vero Motore immobile della truce vicenda.
Non così altre “trovate”. Innanzitutto dobbiamo constatare la solita novità di spostare la vicenda in un’altra epoca: nel nostro caso più o meno la fine dell’Ottocento con incongruenze abbastanza insanabili rispetto al testo e anche all’interno della stessa messinscena. Ad esempio, Otello nel secondo atto si presenta in divisa ottocentesca da ammiraglio per poi ripresentarsi nell’atto terzo indossando una corazza dorata di foggia antica. Certo! Altrimenti i dignitari della Repubblica Veneta, che portano il saluto del Doge e del Senato all’Eroe trionfatore di Cipro, sarebbero apparsi degli spettri provenienti dal passato. Poco felice, a nostro parere, anche l’idea di inondare la scena di divise bianche da quardiamarina (divisa che indossa anche Jago nel “Credo”) o quella di far apparire qua e là modellini di veliero fluttuanti a mezz’aria o retti in mano dai coristi, dando più che altro l’idea di uno spettacolo di varietà.
Quantomeno singolare, concludendo, la trovata della riconciliazione post mortem tra Otello e Desdemona, che dopo la loro violenta dipartita si tengono teneramente per mano, apostrofata da un esuberante spettatore, nella recita cui abbiamo assistito, con un sonoro “Buffoni!”(Absit iniuria verbis). Anche questa volta, comunque, l’alto livello dello spettacolo sul piano vocale e musicale si è imposto su tutto il resto galvanizzando il pubblico alla fine della serata, che ha tributato, in particolare, la solita ovazione al maestro coreano. Foto Michele Crosera