Genova, Teatro Carlo Felice:”Don Giovanni”

Genova, Teatro Carlo Felice, Stagione Lirica 2012/2013
“DON GIOVANNI ossia IL DISSOLUTO PUNITO”
Dramma gicoso in due atti, libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Don Giovanni ANDREA CONCETTI / SIMONE ALBERGHINI
Donna Anna JESSICA PRATT /ESTHER ANDALORO
Il Commendatore LUIGI RONI
Don Ottavio PAOLO FANALE
Donna Elvira SONIA GANASSI / MINA YAMAZAKI
Leporello MAURIZIO MURARO / DARIO GIORGELE’
Zerlina VASSILIKI KARAYANNI / MARINA BUCCIARELLI
Masetto FRANCESCO VERNA
Coro e Orchestra della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova
Direttore Giovanni Di Stefano
Maestro del Coro Patrizia Priarone
Maestro al fortepiano Sirio Restani
Regia Elisabetta Courir
Scene e costumi Guido Fiorato
Cooproduzione con Opera Giocosa di Savona e Teatro Sociale di Rovigo
Genova, 24 novembre e 1 dicembre 2012
A voler far dello spirito, si potrebbe dire che quello andato in scena in apertura della stagione lirica del Teatro Carlo Felice sia stato un Don Giovanni realmente “genovese”. L’allestimento, in coproduzione con il l’Opera Giocosa di Savona ed il Teatro Sociale di Rovigo, presenta una scenografia, ideata da Guido Fiorato, decisamente minimalista: un piano inclinato divide la scena tra una piattaforma praticabile rialzata ed un’altra pedana a livello del palcoscenico, nella quale si trovano cinque casse. Quest’ultime assumono, nel corso dell’opera, posizioni e connotazioni differenti: sono ora il colonnato di casa di Donna Anna, ora le porte delle stanze della dimora di Don Giovanni, ora le bare di un cimitero, infine, una sola di esse, la “mensa preparata” del libertino per la sua ultima cena.  Scenografia e scelte registiche non lasciano certo indifferenti, nel bene o nel male; se taluni storcono i naso ritenendo gli elementi scenici non sufficienti a coprire le dimensioni del grosso boccascena del teatro (sopratutto in altezza), altri ritengono questa una scelta azzeccata che, grazie soprattutto alle disposizioni della regia di Elisabetta Courir, contribuisce a conferire al famoso dramma Mozartiano una connotazione del tutto nuova. I cinque elementi del proscenio, le cui forme rimandano comunque a delle bare, sono fin dall’inizio emblema della morte, della spada di Damocle che pende sulla testa del Don Giovanni, il quale, entrando ed uscendo liberamente da esse, sembra voler continuamente sfidare con irriverenza la giustizia divina; esse sono esteriormente di colore grigio, salvo poi rivelare, al loro interno, una colorazione rosso viva, da sempre indicativa di due elementi fondamentali del “dramma giocoso”: amore e sangue. Le luci, sapientemente manovrate da Luciano Novelli, contribuiscono ad identificare al meglio i momenti dell’ultima giornata del celebre seduttore, stretto tra la sua insaziabile brama di donne e la vendetta del Commendatore.
La scena è sí minimale, ma di certo non statica: la mano della regista è evidente in ogni movimento e la vicenda riesce a coprire quantomeno la dimensione orizzontale del palcoscenico; non mancano anche trovate d’effetto, come quando Leporello estrae letteralmente da una botola i contadini, visibilmente ubriachi, invitati alla festa di Don Giovanni, o la fuga di quest’ultimo aggrappato ad un lampadario, oppure il volto del Commendatore che, nella scena finale, appare attraverso un telo nero, a guisa di una luna piena, ed invoca spiriti dai lunghi strascichi pronti a trascinare il libertino all’Inferno.
Peccato per alcuni momenti “morti”, nei quali la musica si interrompe per dare modo ai mimi di spostare le casse, a scena aperta nella semi oscurità, così da creare l’ambientazione successiva.
Nel ruolo del protagonista, Andrea Concetti dimostra una vocalità da autentico seduttore, un timbro grave ma efficace in ogni sua sfumatura, sebbene talvolta l’aspetto attoriale paia eccessivamente costretto e verta soprattuto a ricordare le numerose indicazioni della regia. Il secondo Don Giovanni, Simone Alberghini (già protagonista dell’estiva messa in scena di Savona), conferma le qualità già ammirate durante le recite nella fortezza del Priamár, ossia ottima interpretazione ed eccelse qualità vocali, in un ruolo tra i più adatti al suo repertorio, con punte di eccellenza nella serenata in apertura del secondo atto.
Maurizio Muraro
, appena reduce dai fasti del Nuovo Mondo, è un Leporello realmente convincente: dotato di un timbro sonoro, oltre che di un’eccezionale facilità di emissione, dipinge il ritratto di un servitore super-indaffarato nell’assecondare le brame del suo padrone. Completamente differente, ma altrettanto efficace, è l’interpretazione di Dario Giorgelè, il quale si fa apprezzare soprattutto per le qualità di attore consumato; sebbene la potenza vocale non sia talvolta sufficiente ad oltrepassare adeguatamente il golfo mistico, il cantante veronese si guadagna il plauso del pubblico grazie a spiccate doti acrobatiche (esordisce in scena entrando addirittura sulle mani) e delineando un Leporello animoso ed agitato tanto quanto il suo superiore.
Nel ruolo di Donna Anna si alternano Jessica Pratt ed Esther Andaloro; vocalmente impeccabile la prima, esegue magistralmente ogni passaggio a lei dedicato, sebbene talvolta paia un tantino fredda e distaccata, al contrario della seconda, passionale siciliana, che lascia anima e cuore sul palcoscenico genovese, coadiuvata da uno strumento vocale giovane e fresco.Sonia Ganassi ha messo in scena una Donna Elvira (che esordisce eccessivamente armata di mitra e coltelli) scenicamente apprezzabile, nonostante la tessitura non propriamente adatta alle sua reale natura mezzosopranile. Nel medesimo ruolo, Mina Yamazaki non ha convinto a pieno: sebbene il cantato sia piacevolmente legato e ben emesso, nei recitativi emerge un’eccessiva cadenza nipponica che conferisce al suo personaggio una vena eccessivamente comica e poco credibile.
La Zerlina della greca Vassiliki Karayanni è parsa, invece, non all’altezza. Nonostante il phisique du role ed un timbro interessante, la voce mostra evidenti difetti d’impostazione ed un vibrato ottenuto attraverso l’eccessiva articolazione della mandibola e che risulta, di conseguenza, forzato e non gradevole.L’altra Zerlina, quella di Marina Bucciarelli, è parsa vocalmente più corretta anche se il ruolo della sprovveduta contadina, più adatto ad un mezzosoprano, non ha contribuito ad esaltare al meglio le sue qualità. Paolo Fanale è un Don Ottavio di bella presenza e, a primo impatto, musicalmente gradevole. Nel corso della performance, tuttavia, risultano sempre più frequenti forzature della voce verso la gola o verso il naso, particolarmente evidenti nella pronuncia delle “u”.
Il ruolo di Masetto è toccato a Francesco Verna, contadino credibile e piacevole sia vocalmente che scenicamente. Luigi Roni è un navigato Commendatore, penalizzato nel finale dalla svantaggiosa posizione piuttosto arretrata sulla scena.La direzione di Giovanni Di Stefano non è stata coerente nelle due recite cui abbiamo assistito: spedita e spigliata la prima, più lenta e talvolta eccessivamente pacata la seconda. In alcune occasioni gli interpreti sono risultati poco udibili, specialmente quando si sono trovati a cantare nella zona più profonda della scena.
Nonostante i pareri contrastanti a proposito dell’allestimento, il pubblico genovese (accorso numeroso, anche se erano evidenti alcuni buchi di troppo in galleria) ha comunque apprezzato lo spettacolo, tributando ai protagonisti fragorosi applausi al termine di entrambe le recite. Foto Marcello Orselli