Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione concertistica 2012-2013
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore d’orchestra e pianoforte William Eddins
Clarinetto Enrico Maria Baroni
Leonard Bernstein: “Prelude, Fugue and Riffs”, per clarinetto e jazz ensemble
George Antheil: “A Jazz Symphony”
George Gershwin: “Rhapsody in Blue” per pianoforte e orchestra (versione originale per la jazz band di Paul Whitman)
Aaron Copland: Concerto per clarinetto e orchestra d’archi con arpa e pianoforte
Duke Ellington – William Strayhorn: “The Nutcracker Suite” (da Čajkovskij), adattamento orchestrale di Jeff Tyzik
David Amram: “En memoria de Chano Pozo”, per orchestra e pubblico
Torino, 29 novembre 2012
L’eclettismo di programmazione dell’OSN RAI ha negli anni scorsi abituato il suo pubblico a incursioni nel repertorio jazz, specie se mediate dal riferimento a titoli celebri per contaminazione di stili e di generi (il melodramma in West Side Story e Porgy and Bess; il poema sinfonico in Un americano a Parigi, e così via). Il sesto concerto della stagione in corso era interamente dedicato a tale repertorio; tranne che in apertura, l’organico restava comunque quello dell’orchestra sinfonica (anzi, per taluni brani della grande orchestra). E la serata, apprezzata da un pubblico foltissimo (tra cui molti giovani e classi scolastiche emozionate ed entusiaste), si è basata su due elementi particolarmente convincenti: la presenza di un direttore specialista come William Eddins e l’omogeneità del programma, interamente scandito da composizioni originali in stile jazzistico, oppure da rivisitazioni e trascrizioni di opere precedenti nella stessa chiave. Ma omogeneo non significa monotono; il concerto, al contrario, è stato caratterizzato da momenti molto diversi, specie tra prima e seconda parte, anche perché i pezzi in programma erano tutti eseguiti per la prima volta presso la RAI di Torino (fatta eccezione, ovviamente, per quelli di Gershwin e di Copland).
Collocato in apertura come per provocare un effetto di shock sul pubblico, Prelude, Fugue and Riffs di Bernstein è stato certamente il brano più aggressivo, affidato a un autentico complesso jazz (dunque quasi senza strumenti ad arco). Più che dirigere, il direttore danza freneticamente, e per sentirsi più libero nei movimenti a un certo punto sposta a destra il leggio, in modo da muoversi ritmicamente senza ostacoli; e poi scherza con il solista (Enrico Maria Baroni, primo clarinetto nell’OSN), ammicca agli orchestrali, insomma restituisce con molta naturalezza quella componente di anticonformismo istrionico che il pezzo di Bernstein richiede. Davvero opportuno iniziare con Prelude, Fugue and Riffs, in quanto costruito interamente secondo stilemi sia jazzistici sia classici: è l’archetipo di una scrittura musicale di contaminazione, che trasfonde in ritmi popolari le strutture austere del preludio e della fuga organistici. Nella parte finale, dopo le evoluzioni del clarinetto (danzante anch’egli, insieme al direttore), la musica raggiunge il parossismo, al pari di un baccanale o di una danza orgiastica.
Molto più misurato nelle sonorità il brano di Antheil, che Eddins dirige esaltando un’unica sequenza alla base della partitura, declinata però in forme musicali continuamente diverse. Se Bernstein contamina, in maniera anche intellettualistica, Antheil giustappone aspetti e stili, ma per far capire che forma e linguaggio trionfanti sono, in questo caso, quelli del jazz.
Nella Rapsodia di Gershwin il direttore siede anche al pianoforte, e conferma la sua abilità nel curare i volumi sonori delle varie sezioni dell’orchestra. Nei momenti in cui è protagonista la tastiera, Eddins è molto persuasivo sull’aspetto ritmico e nel dialogo serrato – quasi angosciato – con l’orchestra; le parti liriche risultano invece più meditative, meno caratterizzate da colore, a tratti un po’ spente. Con il finale della Rhapsody in Blue il pubblico dimostra la sua soddisfazione, richiamando più volte alla ribalta il direttore-solista, molto applaudito anche dall’orchestra.
La seconda parte del programma si apriva in un’atmosfera del tutto diversa da quella precedente: tono elegiaco e fraseggio appena sussurrato per il concerto di Copland, in cui tornava protagonista il bravissimo Enrico Maria Baroni, impegnato in una cadenza assai articolata e virtuosistica. Subito dopo di essa la musica di Copland cede completamente allo stile jazz, e introduce così un autentico capolavoro della riscrittura musicale come la suite dallo Schiaccianoci secondo la famosa parafrasi di Duke Ellington e William Strayhorn: altro esempio di come la forma jazzistica si appoggi su materiale classico, e lo traduca in un linguaggio moderno secondo le tecniche (quanto mai tradizionali) della trascrizione e della variazione. Il Čajkovskij di Ellington sarebbe certamente stato il brano più elegante dell’intero programma, se solo fosse stato presentato secondo la versione originale del 1960, destinata a un piccolo organico; Eddins ha invece preferito adottare il più recente adattamento orchestrale di Jeff Tyzik (1998), pletorico in ogni sezione dell’orchestra (schierata per l’occasione in ogni suo rango, come per attaccare l’VIII Sinfonia di Mahler). La magia fiabesca dei cinque numeri della suite si è un po’ perduta, sostituita da uno spiegamento muscolare di forze sonore. Ma di tale effetto un po’ chiassoso gli esecutori non hanno alcuna responsabilità; al contrario, l’orchestra ha corrisposto con grande precisione alle richieste direttoriali, impeccabili nella concertazione delle varie sezioni (spiccavano, per nettezza di suono e precisione negli attacchi, gli ottoni tutti).
Il brano finale è stato il momento più simpatico, come previsto dall’indicazione in partitura (per orchestra e pubblico); coadiuvato dalla prima viola dell’OSN, Ula Ulijona, Eddins ha spiegato come il suo amico David Amram abbia voluto rendere omaggio alla memoria del ballerino e musicista cubano Chano Pozo (morto nel 1948 in seguito a una rissa ad Harlem), con un concerto che chiama in causa gli ascoltatori, quale componente ritmica attiva. Diviso in quattro sezioni, il pubblico batte le mani a cadenza differenziata nella parte centrale del concerto; e come ogni esecuzione che si rispetti, anche questa è stata preceduta da prove: un’esilarante sessione, condotta dal direttore che ammaestrava un pubblico prontissimo a collaborare. Il concerto si apre con un pianoforte (suonato da Antonino Siringo, già alla tastiera nel secondo pianoforte della Rapsodia in Blu), le cui frasi paiono rievocare in tono meditativo la solitudine e la morte di Chano Pozo; poi tutto si trasforma per mezzo di una rumba scaturita da un complessino di percussioni; il suo ritmo coinvolge prima l’orchestra, poi le mani del pubblico, per chiudere in un nuovo parossismo di danza dall’ampiezza reboante. Successo straordinario, e pieno coinvolgimento di ognuno dei presenti: ringraziando e complimentandosi con gli strumentisti, il direttore fa alzare i professori dell’orchestra, dai percussionisti ai saxofoni, dal primo violino (Alessandro Milani) al pianoforte, a tutti gli altri; e alla fine, per giusta coerenza, fa alzare anche il pubblico, che si presta sorridente allo scherzo, mentre l’entusiasmo sale alle stelle.