Catania, Teatro Massimo Bellini: “La Traviata” (cast alternativo)

Catania, Teatro Massimo “Bellini”, Stagione Lirica 2012
“LA TRAVIATA”
Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave tratto dal dramma La dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry DANIELA SCHILLACI
Flora Bervoix MONICA MINARELLI
Annina PIERA BIVONA
Alfredo Germont DENIZ LEONE
Giorgio Germont  PIERO TERRANOVA
Gastone ALFIO MARLETTA
Il barone Douphol SALVO TODARO
Il dottor Grenvil MAURIZIO MUSCOLINO
Il marchese d’Obigny  PAOLO LA DELFA
Giuseppe  MARIANO BRISCHETTO
Un domestico – Un commissionario  DANIELE BARTOLINI
Orchestra, coro e tecnici dell’E.A.R. Teatro Massimo Bellini
Direttore Giampaolo Maria Bisanti
Maestro del coro Tiziana Carlini
Regia Giuseppe Dipasquale
Scene Antonio Fiorentino
Costumi Dora Argento
Datore luci Salvatore Da Campo
Catania, 4 dicembre 2012
Nel corso dell’ultima stagione lirica il palcoscenico catanese ci ha abituati ad allestimenti piuttosto tradizionali e anche la messinscena della celeberrima partitura di Giuseppe Verdi si è mantenuta in linea con questa consuetudine. Nessuna soluzione originale ha caratterizzato il nuovo allestimento con la regia di Giuseppe Dipasquale, uomo d’esperienza e attuale direttore del Teatro Stabile della città, al suo primo debutto con il teatro d’opera. Non è la prima volta – lo aveva già realizzato Zeffirelli – che, durante l’ouverture, si mostra la scena finale dell’opera, con Violetta morente, alludendo così all’idea che tutta la vicenda debba essere letta come un flashback, una proiezione del ricordo della protagonista che ripensa alla propria vita. Tutta l’opera risulta infatti avvolta dalla presenza ingombrante di un morte incombente e «come un sogno o come una possibilità di rivedere la propria vita», ha spiegato il regista, «si rimette indietro come orologio dei ricordi, come orologio vitale». Colori scuri vestono le scene che ha immaginato Antonio Fiorentino, elemento di originalità dell’allestimento: grandi fondali di plastica sui quali sono tracciati, quasi come un bozzetto, i profili degli ambienti interni come quelli del giardino nel secondo atto. La scelta di questo materiale produce due effetti interessanti. Da una parte la sua trasparenza conferisce profondità alla scena, lasciando intravedere azioni che si svolgono al di là di dei pannelli: la partenza di Violetta per Parigi, dopo aver abbandonato Alfredo, avviene sotto gli occhi degli spettatori che accompagnano la sua dolorosa corsa attraverso il giardino, seguita da Annina carica di valigie. Dall’altra, essendo la plastica un elemento lucido, riesce a riflettere come in uno specchio i gesti dei personaggi sul proscenio e amplifica così il gioco di rifrazioni e si sfumano i confini tra realtà concreta e proiezione del vagheggiamento delirante di Violetta.
Il ruolo della protagonista è stato interpretato egregiamente da Daniela Schillaci, la cui scioltezza vocale e la grande intensità espressiva ha sicuramente dato smalto alla rappresentazione; è stata ammirevole anche la sua notevole disinvoltura nei movimenti scenici, come nell’interpretazione della difficile aria che chiude il primo atto, intonata in piedi sul grande tavolo della festa, indietreggiando e calciando via i calici del brindisi: certamente una scelta registica per nulla adatta al momento drammaturgico e non calibrata sulla complessità vocale della parte. Deludente è stata invece la prestazione del tenore Deniz Leone che, al contrario della Schillaci, ha mostrato poca disinvoltura nei gesti e la cui voce è parsa poco incisiva e piuttosto debole. Apprezzabile è stato il Germont di Piero Terranova che con la sua interpretazione ha saputo ben rendere il conflitto emotivo vissuto dal proprio personaggio. Degna di nota anche la performance di Monica Minarelli, nel ruolo di Flora, e di Piera Bivona, in quello di Annina: le due cantanti hanno già calcato con successo il palcoscenico catanese, l’una nel mese di maggio come Marcellina delle Nozze di Figaro, l’altra lo scorso anno come la zingara Frasquita nella Carmen di Bizet. Sia il coro che l’orchestra si sono distinti anche stavolta per un’esecuzione attenta e accurata sotto la guida del direttore Giampaolo Maria Bisanti.
Ha un po’ disorientato, in chiusura dell’opera, una soluzione adottata dal regista. La dimensione intima e raccolta che avvolge l’ultimo atto, al capezzale di Violetta morente, è stata resa attraverso l’apertura del sipario quasi fosse un pesante tendaggio che incornicia la scena: lo spettatore è ammesso all’‘estremo istante’ come se osservasse la stanza attraverso una finestra. Ma la delicatezza e tragicità di questo momento drammatico viene interrotta dall’irruzione del Carnevale: non viene lasciato spazio all’immaginazione, ma la festa invade la platea, con la corsa sfrenata di ballerini in maschera. È consuetudine ormai invalsa delle regie moderne quella di portare il teatro tra il pubblico, ma nel caso specifico questa scelta è sembrata piuttosto banale e ha creato anzi una frattura, uno slittamento drammatico in disaccordo con il clima complessivo della scena.