Gigliola Frazzoni (1927-2016):”La fanciulla del West” (settima parte)

“LA FANCIULLA DEL WEST”
«La Fanciulla … è come vedere un bel pizzo, un ricamo perfetto; è una sorpresa continua che attraverso tanti tasselli arriva all’esplosione finale: il trionfo dell’amore. E’ una storia d’amore favolosa sempre accoppiata al dramma e all’azione. Non è tanto popolare forse perché ci sono poche romanze, com’era la tendenza dei tempi. Nella Fanciulla c’è l’atmosfera! Io sentivo l’odore dei cavalli, l’odore del saloon, l’odore del sangue.
Se guardiamo lo spartito vediamo che ci sono tante pause molto eloquenti, incalzanti, pertinenti e quelle pause devono vibrare. A me, poi, piace in modo particolare perché ci trovo il vero “recitar cantando” che si viene a creare alternando momenti in cui si canta, ad altri in cui si recita sempre con la voce impostata e sostenuta. Io mi trasformavo, a volte, in una ingenua e dolce ragazza che conforta e sostiene moralmente i minatori, altre volte diventavo una forza della natura per difendermi dagli attacchi dei pretendenti, ricorrendo a tutti i mezzi, pistola compresa. Ricordo una recita in cui, per difendermi dalle avances dello Sceriffo gli dovevo tirare una bottiglia di legno posta su camino, ma dalla foga mi sbagliai e presi una bottiglia che andò in frantumi tanto da ferire, lievemente,  “lo sceriffo” Mongelli alle mani».
Insomma fare La Fanciulla del West con Gigliola Frazzoni avrebbe potuto essere un rischio. «Quando facevo Fanciulla mi trasformavo veramente in un cow boy. Entravo a cavallo e me ne andavo a cavallo, maneggiavo fucile e pistola. Per contro ero una ragazza dolcissima che incontra l’amore e se lo conquista.  Nel tremila molti compositori d’opera saranno dimenticati: ci sarà solo Puccini».
Dopo il debutto triestino nel 1955 segue la Scala che la scrittura per il ‘56 e il ’57. Nello stesso anno arriva “il West” nei teatri di Livorno e Zurigo; nell’anno successivo, 1958, a Lucca e Bologna. Complessivamente in questo anno troviamo tre produzioni di Fanciulla, diciotto spettacoli: dodici con Corelli, cinque con Del Monaco, uno con Prevedi. Questa serie, contornata da successi sempre maggiori, iniziò con Corelli e Tito Gobbi diretti da Antonino Votto alla Scala il 4 aprile 1956. Fu un successo strepitoso: l’opera mancava dalla Scala da un decennio. L’eco sulla stampa ebbe grande risonanza. Tutti i giornali e le migliori firme celebrarono l’avvenimento. Perfino “Candido” il famoso foglio di Giovannino Guareschi, scrisse un articolo a firma Bardolfo, titolato “Fanciulla di buona famiglia” dove si legge: «In palcoscenico si è fatto largo ai giovani. […] Abbiamo avuto così Gigliola Frazzoni quale protagonista e il tenore Corelli nei panni pittoreschi di Johson. Tutti e due ben dotati, con poche incertezza e insomma davvero meritevoli d’attenzione. Specie la Frazzoni, che avendo trovato nel famoso finale delle carte uno scatto sincero, si è fatta lungamente applaudire[…]».
Gigliola, infatti, racconta che le venne spontaneo, fin dalla prima volta, gettare tutte le carte in aria: molte andavano in buca e gli orchestrali gliele riportavano in palcoscenico. Sul “Corriere Lombardo” e sul rotocalco “Epoca”, Teodoro Celli riportava del grande successo con venti chiamate complessive e due a scena aperta senza dimenticare di inneggiare alla partitura ricca di continue invenzioni musicali ed anche di difficoltà soprattutto per Minnie la cui parte vocale «pur aggirandosi spesso nel registro medio con “puntate” al grave, esige poi potenza squillante d’acuti come il “do” di “S’amavan tanto…” e i due terribili “si naturali” di “Su, su, su, come le stelle…” al prim’atto. […] Minnie è una vera figlia del West, e va a cavallo e manovra il revolver con prontezza».
E’ l’opera del rinnovamento con un suo colore drammatico, con un’atmosfera che si attribuiva ai film westner compreso il finale a sorpresa quando “arrivano i nostri!”. Sul “Corriere della sera” un’altra firma prestigiosa, Giulio Confalonieri, conferma che «Giliola Frazzoni, come protagonista, ha impegnato tutta la sua intelligenza, il suo entusiasmo, la sua convinzione, ed è riuscita a comporre una figura scenica ardente. Il successo è stato vivissimo, caloroso, incontrastato. Il numero delle chiamate ad ogni calar del sipario è andato sempre crescendo ad ogni fine di atto, culminando in un’autentica ovazione…».
«Puccini voleva aggiornarsi – così Luigi Gianoli sul “Giornale d’Italia” – Per questa girl americana Puccini si fece un nuovo abito mentale e musicale, tentò una via nuova, cercò di far dimenticare di essere il padre di Mimì e si espresse con accenti duri, aspri, violenti. Tuttavia quella dolcezza malinconica di uomo pieno di sogni gli scappava fuori suo malgrado. E sono questi gli accenti più sinceri e pucciniani che oggi ci commuovono ancora riascoltando la greve e saputa partitura de La Fanciulla del West. […] Gigliola Frazzoni è stata una Minnie ora dolce e patetica ora forte vigorosa, fatalmente ondeggiante tra le incertezze e oscurità psicologiche del personaggio».
Fu un avvenimento culturale e mondano di un certo rilievo per il quale si mobilitarono i giornali e le firme più prestigiose, tra queste spicca Eugenio Montale sul “Corriere d’informazione” dove si legge «Opera di esecuzione tutt’altro che agevole, La Fanciulla del West richiede interpreti di robusti polmoni e di arte scenica consumata». Passa poi ad elogiare regia, scene e costumi, convenendo che si tratta del «miglior Western di cui abbiamo memoria […] Fra gli interpreti principali diamo la preferenza a Giliola Frazzoni, non infallibile ma dotata di un temperamento molto promettente». Nel 1960, l’anno delle Olimpiadi, lei, Gigliola Frazzoni, la Fanciulla del West… che nel West non andò mai, canta con Anselmo Colzani e Gastone Limarilli a Caracalla, sotto la direzione di Oliviero De Fabritiis.
Era un avvenimento importante, perché non avevano mai dato La Fanciulla a Caracalla e per l’Opera di Roma costituiva un notevole impegno, la realizzazione di uno spettacolo di così ampio respiro. Il complesso architettonico è talmente maestoso che perfino i tecnici del teatro erano decisamente motivati a fare cose sempre più grandi, in stile romano-hollywoodiano. Tutta la stampa mise in evidenza l’importanza della manifestazione e il coraggio di averla intrapresa e compiuta. “Il Messaggero” riporta un pensiero espresso da Puccini all’editore Ricordi: «Ho l’idea di uno scenario grandioso, una spianata nella grande foresta californiana con degli alberi colossali. Ma occorrono otto o dieci cavalli comparse». E prosegue “Se il Maestro lucchese avesse assistito ieri allo spettacolo alle Terme di Caracalla, che ha rievocato più volte delle scene western, avrebbe potuto constatare che Camillo Parravicini, scenografo, Aldo Mirabella Vassallo, regista, e Giovanni Cruciani, direttore dell’allestimento scenico, si erano messi perfettamente d’accordo per interpretare i suoi desideri, cavalli compresi”. La Fanciulla del West di quella sera ricordava il cinemascope e John Ford. Su quell’enorme palcoscenico arrivarono i minatori a cavallo, c’era la foresta: le sequoia erano alte oltre venti metri e i ghiacciai montani incombevano sulle foreste creando un’atmosfera particolarmente coinvolgente. L’albero per impiccare Dick Johnson era proprio un albero da western. In questo ambiente così complesso e composito “Gigliola Frazzoni ha potuto esternare la sua musicalità e il suo impeto interpretativo, svelando non soltanto una comprensione totale del personaggio, ma anche una sicurezza di esecuzione che palesa studio ed impegno”. Così N. P. sul Messaggero. Il Corriere d’informazione dove Ettore Montanaro scrive: “Gigliola Frazzoni si è imposta per la dilatante vibrazione dei requisiti vocali. Impegnandosi a fondo in una parte irta di difficoltà vocali e sceniche, la Frazzoni ha vinto brillantemente la non facile battaglia, superando con sicurezza gli ostacoli di una esecuzione all’aperto. Una protagonista, quindi, di singolari risorse. Un’artista che va seguita con fiducia. Anche noi siamo coinvolti da quella festa e travolti da Minnie: una giovane donna, alta, bella, slanciata, che potrebbe cavalcare a fianco di John Wayne. Sulla scena l’America della frontiera, oltre la scena le rovine e le memorie di Roma antica. Il West sulle pietre millenarie di Caracalla, l’orecchio pieno della voce ardente e appassionata di Minnie”.
«Quella sera c’erano tanti americani – racconta Gigliola – stupiti, con gli occhi spalancati e la bocca aperta. Applaudivano, fischiavano, lanciavano in alto i cappelli. Facevano una gazzarra indescrivibile. Era una sorta di esaltazione collettiva». In un rotocalco dell’epoca si legge: “Le lettere che Gigliola Frazzoni, “la fanciulla”, riceve a pacchi in questi giorni sono quasi tutte di americani e di australiani. C’è l’ammirazione per lei, per il suo modo di cantare, il bel viso, la siluetta attraente, l’abilità nel cavalcare (a qualcuno non è sfuggito che la sua pistola è una vera pistola da frontiera, scelta con competenza); ci sono proposte di matrimonio, di rapimenti a cavallo, di fughe nel Texas e nell’Arizona, poi si accomoda tutto, se esiste già, come infatti esiste, un marito. C’è anche, in una curiosa mescolanza di affetti e di persone, la gioia di trovarsi in Italia, una traboccante simpatia per tutti gli italiani, i saluti a Caracalla, a Puccini, al Papa, viva Roma e viva le Olimpiadi […]. Gigliola ride, la gente un po’ matta le va a genio […]”. Questi racconti mi fanno pensare all’effetto dello spettacolo sul pubblico, in particolare quello americano, che si è trovato nell’atmosfera del 1850, epoca ispiratrice di tanti film western.
La Fanciulla del West è un’opera ricca di geniali soluzioni teatrali tra cui spicca il grande “coup de théâtre” della partita a carte.Ma non dimentichiamo l’altro colpo di scena che precede di poco la partita a poker. Lo sceriffo, dopo aver sparato a Johnson ferendolo, segue le tracce lasciate sulla neve che portano alla capanna di Minnie. Entra e cerca dappertutto inutilmente. Quando sta per andarsene gocce di sangue cadono dal solaio, dove Minnie aveva nascosto Dik Johnson. Con questa idea geniale Puccini anticipa di mezzo secolo un famoso film western. La stessa situazione fu riproposta dal regista Howard Hawks nel film Rio bravo (in Italia Un dollaro d’onore, ndr) del 1959, quando gocce di sangue di un bandito ferito cadono in un bicchiere di birra sul bancone del saloon.
Gigliola Frazzoni non andò in America, nel “West”, perché il suo impresario di allora, soggetto alle pressioni di altre cantanti, fece in modo che ciò non avvenisse. Fu una mascalzonata che tecnicamente si svolse così. Ai primi di ottobre 1956, Gigliola era a Livorno per uno Chénier quando venne sollecitata dall’impresario a comunicare urgentemente il suo cachet per cantare Fanciullaa Chicago. Parte subito un telegramma in data 8-10-58 in cui si legge:
TRATTANDOSI SOLO DUE RECITE CHICAGO CHIEDA 1500 DOLLARI ESENTASSE ET DUE AEREI SERATA TROVOMI A BOLOGNA. GRAZIE CORDIALITA’ – FRAZZONI – STOP.
Saputo questo, l’impresario, scorretto e senza scrupoli, comunicò che Gigliola Frazzoni pretendeva 3000 dollari, ottenendo un rifiuto dagli americani.
Ma c’è ancora chi rimpiange quella storia antica. In una lettera del  31 gennaio 2006 inviata da Stefan Zucker, presidente della Bel Canto Society, Inc. si legge, in un italiano comprensibile che riportiamo testualmente: «Gigliola, tesoro, è stata una gioia parlarti ancora e sopratutto ascoltare al tuo canto accorato e passionale. Forse se fosti venuta agli Stati Uniti, la storia del canto qua si sarebbe sviluppata in una maniera diversa: meno pallida.[…] Sarei lieto avere delle tue fotografie. Spero di usarlo con l’intervista che sarà nel libro per il DVD. Fra un anno quando entrerà la fanciulla dalla RAI ancora nel dominio pubblico, la metteremo fuori. Con grande affetto e stima. Stefan».
Sempre nel 1960 il teatro di Rio De Janeiro propose un contratto per Chénier, Tosca e Fanciulla. Era una scrittura di tutto rispetto, ma non ebbe seguito. Oltreoceano non si va, perché la nostra intrepida “Fanciulla” e il suo simpaticissimo marito hanno sempre avuto paura dell’aereo e in quel periodo, in cui il lavoro non mancava, sarebbe stata una follia intraprendere un viaggio per mare. Il ’60 non fu soltanto l’anno della Fanciulla estiva a Caracalla, ma in gennaio ci furono sette recite di Chénier alla Scala, tra febbraio e marzo Butterfly al Petruzzelli di Bari e Chénier al Comunale di Genova. A maggio Tosca all’Opera di Roma, poi ai primi di agosto due recite di Fanciulla a Torre del Lago che si intersecavano con due recite di Chénier al teatro dell’Aquila di Fermo e con gli spettacoli di Caracalla. In novembre due Chénier al teatro Metropole di Caltagirone e nella stagione ’60-’61 al Comunale di Bologna Tosca con Daniele Barioni, Giangiacomo Guelfi e Franco Corelli nell’ultima recita, diretti da De Fabritiis.
La Frazzoni continua lavorare intensamente e riesce anche ad incidere dischi, cosa non facile per il monopolio che alcune colleghe detenevano presso le case discografiche. Le fu offerto, dalla Decca, di incidere La Fanciulla, ma subito scattò il veto dell’artista che aveva l’esclusiva per quell’etichetta. Si trattava di Renata Tebaldi che non aveva mai eseguito l’opera e se la studiò apposta. Nel 1970, oltre ad una Cavalleria alla Scala in marzo, alla Mavra di Stravinskij in aprile al Comunale di Bologna, ad un’altra Cavalleria rusticana in agosto a Caracalla, Gigliola interpreta Tosca a Bagnacavallo in novembre. Bagnacavallo è un grosso paesone dell’alta Romagna, provvisto di teatro, e, allora, di un Parroco amante dell’opera che però non aveva soldi sufficienti per la Frazzoni. Ci fu un breve scambio epistolare dove il prete melomane pregava l’illustre soprano ad esibirsi a metà del suo cachet, perché loro non disponevano di una cifra maggiore. Lo spettacolo si svolse regolarmente e quella fu l’ultima opera di Puccini cantata da Gigliola Frazzoni. (Fine della settima parte)