Interviste d’annata: Katia Ricciarelli

18 gennaio 2013…66 anni di Katia Ricciarelli (anche se non si dovrebbero dire gli anni di una signora). Auguri dunque alla “Katia nazionale”! Una cantante, amata, ma allo stesso tempo contestata, odiata, discussa, diventata un personaggio popolare di “cronaca rosa”, “prezzemolina” della tv,  ma anche attrice apprezzata. Insomma, sulla “Katia” si è detto e scritto di tutto e di più.  In tempi non sospetti e lontani, il 1975 e il 1977), giudicati da molti gli anni d’oro  del suo percorso artistico, si raccontava così.
Qual è stato la prima grande occasione della tua carriera?
«Al Regio di  Parma ho avuto la prima importante opportunità. A parte il concorso che ho vinto, è stata la fiducia che il dott. Negri (Assessore allo spettacolo dell’epoca, ndr) ha dato, a me e a Carreras. Ci ha aperto un po’ agli altri teatri, perché Parma è un teatro di prestigio e piuttosto movimentato. Lo conosciamo tutti, a parte i fischi, le battute, le polemiche. E per me è una cosa positiva, perché vuol dire che l’opera è viva».
Come è programmata la sua carriera?
«Di solito fanno un’offerta e poi penso se vale la pena come repertorio, interesse artistico, ecc. Adesso posso scegliere, ma prima purtroppo, come succede a tutti a inizio di carriera, devi accettare tutto. Io ho fatto delle opere stranissime, stranissime nel senso che non si faranno quasi più. Ad esempio ho dovuto cantare il Lohengrin in italiano, l’Anacreonte di Cherubini, Paride e Elena di Gluck: sono cose che non farò più, ma le ho dovute studiare. Farò anche il Don Carlo in cinque atti. Insomma all’inizio di carriera devi accettare quello che ti propongono, però quando la Scala mi propose tre anni fa, Un ballo in maschera, mi sono ben guardata dall’accettarlo, perché sarebbe stata una cosa assurda allora. Voglio dire che se uno non sta attento è un disastro, ma adesso posso scegliere. Come dicevo, a me piace il bel canto e non il verismo. Di Puccini più di tre opere non posso fare: La bohème, Turandot (Liù, ndr.), Suor Angelica anche se non è tanto di repertorio. Ho fatto un sacco di opere di Verdi.
Naturalmente continuo a studiare con la signora Corradetti, anche se non ho molto tempo. Noi studiamo imparando una nuova opera, affrontando problemi tecnici. Non c’è tempo per fare ogni giorno un’ora di vocalizzi, come sento dire di altri colleghi. Si studia un’opera nuova e si deve trovare il modo di superare i problemi: come I due Foscari, quando trovi un Si naturale o un Do … è lì che devi sbattere il naso.
Delle opere che ho in repertorio la più difficile, più dei Foscari, è il Ballo. Naturalmente continuo a studiare anche se non ho molto tempo. Mi piacerebbe fare Aida, ma non ho il tempo per studiarla. Adesso ho La traviata che è un osso duro. Il primo atto è difficile e dico subito che non lo farò in tono. Trovo assurdo sacrificare tutta l’opera per il primo atto. Però è vero che se non si studia in tono si spostano tutti i centri e si arriva al secondo e terzo atto con la voce tutta “schiarita”, come si dice. Invece bisogna avere una bella rotondità in quegli atti lì. Ma adesso tutte lo abbassano, anche la Caballé. Infatti Monserrat mi diceva che è un assurdo stare lì tutto un atto con quella tensione. Che poi è alto lo stesso: se si tiene un Si naturale invece di un Do, non è che cambi molto e il pubblico non se ne accorge mica. Noi avevamo pensato una cosa. Dopo “Ah, fors’è lui”, tutta quella cosa lì, prima di “Follie”, siccome ci sarà un applauso e non c’è nessun accordo in orchestra, attaccare subito mezzo tono sotto. Anche la Tebaldi l’abbassava ma più avanti “povera donna, sola, abbandonata”. È un problema di tutti perché il diapason si è alzato molto rispetto a quello dell’ottocento. (Adesso è a 440 Hz, ma nel ‘600 scendeva anche a 390. Attualmente si usa abbassare il diapason a 415 o 430 Hz per eseguire musica antecedente il classicismo, cioè il barocco, ndr). Pensa che ad Amburgo, quando sono andata la prima volta, facendo i vocalizzi in camerino prima della recita, non capivo cosa succedeva. C’era qualche cosa che non andava, era tutto mezzo tono sopra. Ho cantato, in camerino, “Mi chiamano Mimì” tutto mezzo tono sopra. Anche a Vienna: sono andata con Il trovatore ed era tutto alto come una casa. Vogliono che l’orchestra sia più brillante e così ne facciamo le spese noi. La Caballé è andata a fare un concerto a Trieste e si è presentata con il suo diapason, poi si è rifiutata di cantare in quelle condizioni».
Quali sono i rapporti con i registi? 
«Mah, i registi d’oggi sono un po’ difficili da avvicinare soprattutto appena ci si incontra. Chiedono sempre delle cose che contrastano con il fatto vocale, ma si trova un accomodamento. Io cerco sempre di fare quello che chiedono, fin a quando non si va nell’assurdo: prima chiedono delle cose strane, dopo cambiano. I problemi, comunque, ci sono anche con i direttori d’orchestra. All’inizio come i registi, chiedono l’impossibile, poi in recita calano le cosiddette braghe. Questa cosa non si può fare, questo fiato bisogna farlo: non so, ma per loro non si dovrebbe mai respirare. Loro si sentono dei musicisti e i cantanti no: siamo solo dei poveretti che dobbiamo fare dei suoni, invece il pubblico va per sentire le voci e vuole sentire il risultato di una frase. Al pubblico non interessa niente se hai fatto uno o due fiati. Il maestro non si può comportare come un dittatore “respira qui, respira là”. No un momento, parliamone. Io non vado a discutere se tiene bene o male la bacchetta. Questi sono i direttori e i registi moderni. Io ho trovato un accordo perfetto con Prêtre, con Schippers. Anche con Abbado mi sono trovata bene e quando c’era qualcosa che non mi quadrava, c’era sempre la possibilità di discutere. Nel Requiem, ad esempio, mi sono trovata benissimo.

Sa cosa manca oggi? Mancano le prove di sala. Sono stata a Londra per Un ballo: ci sono stata un mese. Abbiamo fatto due prove di sala con Abbado, solo due! Siamo andati al Metropolitan e io debuttavo nella Bohème: ho visto il palcoscenico alla prova generale. Sono quattromila persone e uno quando va lì muore dalla paura. Non l’avevo mai visto. Sono stata dieci giorni a non fare niente, senza provare … il mio debutto al Metropolitan è stato così. Sono andata in scena e ho visto le scene al momento di cantare. Io sono d’accordo sul rinnovamento del teatro lirico. Si può fare una Bohème in un’altra epoca, se fatto con intelligenza. Rinnovamento anche dei cantanti sia nel modo di porgere sia nei movimenti in scena. A Vienna noi possiamo arrivare anche la sera prima, ma sul palcoscenico troviamo quelli che sono sempre lì, che ti dicono cosa fare e così l’orchestra è affiatata e suona bene, perché è un teatro di Stato. Io vorrei un teatro di Stato anche in Italia».
Emozione o paura prima di entrare in palcoscenico?
«La paura più grande l’ho provata a Parma alla prima del Trovatore. Ho avuto veramente un colpo quando sono entrata, con la Ines. Stavo veramente morendo di paura. Mi sono detta – ma io cosa sto facendo qui – una sensazione terribile. Mentre cantavo il recitativo volevo scappare. Ma poi il pubblico è stato molto carino, mentre diventa tremendo con i grandi. Mi ricordo Tucker, che mi ha fatto morire dal ridere. Lui cantava come un Dio, ma una nota prima dell’”Ah, sì ben mio”, “in tale istante” lo beccavano. E mi diceva “Adesso ho capito perché i miei amici americani mi dicevano di non venire a Parma”. L’aria poi la cantava bene e con “la pira” veniva giù il teatro».
Mi puoi dire qualcosa sui maestri di canto e quali cose devono insegnare? 
«Parlando di maestri di canto, per i tenori, vedo Bergonzi e per i soprani la Caballé, non c’è dubbio. Parlo di tecnica vocale, non di arte scenica. L’intelligenza del maestro di canto sta proprio nel fatto che ti insegna il controllo della voce, che ti insegna anche cose che non ha mai pensato di fare. Deve essere una persona di fiducia. La mia maestra, la Corradetti, ha sempre cantato il verismo, ma questo non c’entra nell’insegnamento: io il verismo non lo faccio».
Oggi è possibile citare dieci soprani italiani? 
«Citare dieci soprani italiani non riesco, ma dieci soprani internazionali sì. Caballé, Scotto, Freni… aspetti che ci penso un attimo. La Caballé l’andrei a sentire in tutto quello che fa di Rossini, Bellini e Donizetti. Verdi non so. Mi hanno detto che ha fatto bene il Don Carlo in Arena, ma non l’ho sentita. L’ho sentita nel Ballo in maschera e ha fatto un “Morrò” come non l’avevo mai sentito, poi basta. Ma ce ne sono ancora: la Sutherland, la Sills, la Nilsson, ma bisogna vedere il repertorio. Per Verdi andrei a sentire la Price che ho sentito recentemente ed è ancora un numero. Nel lirico, esempio Elisir d’amore, la Freni per me è la migliore. La Scotto l’andrei a sentire nella Straniera che è stata la cosa che mi ha colpito di più. L’ho sentita a Venezia e non stavo più nella poltrona, ma anche in Rigoletto e Lucia. E la Ricciarelli la vado a vedere nel Don Carlo, Messa di Requiem, Foscari, queste cose qui adesso, poi penso che il mio repertorio avrà un secondo tempo».
Passa il tempo e ci perdiamo di vista. Lei ha mille impegni in tutti i teatri del mondo. La rivedo dopo due anni (1977) a Parma e riesco ad intervistarla ancora ripetendo, grosso modo, le stesse domande. L’Artista è più matura, forse meno scoppiettante, ma sempre simpatica. In quell’occasione faceva Anna Bolena ottenendo un grande successo.
Qual è stato il percorso che ti ha portato alla Bolena?
«Innanzitutto bisogna fare un discorso di scelta di repertorio. È già da un pezzo che ho deciso di fare solo del “belcanto” e poteva essere Maria Stuarda o Devereux, ma ho pensato a questa opera che non si faceva da molti anni. Adesso sono a un punto di carriera in cui posso scegliere».
Questo significa che abbandoni le altre opere, ad esempio il Ballo in maschera
«Il Ballo in maschera lo tengo, ma sarà l’opera meno battuta. Ritengo che sia una parte molto difficile, ingrata che ti fa far fatica per niente, perché poi arriva il tenore, come al solito … e fa goal! Invece nella Bolena non è tanto perché ci sono io sempre, ma perché è un’opera adatta alla mia vocalità e stranamente, invece di arrivare alla fine dell’opera stanca, mi sento fresca. Questa è la spia. E questo mi succede nel Trovatore e mi è successo anche nel Guglielmo Tell».
Quanto tempo hai impiegato per imparare la Bolena
«Se te lo dico ti vien da ridere: nel giro di quattro mesi ho dovuto imparare Guglielmo Tell e Anna Bolena contemporaneamente. Il Tell non era previsto. Le due opere le ho studiate da sola poi le ho messe in voce, come si dice, con la mia maestra: la signora Corradetti».