Marsiglia, febbraio 2013
Direttore d’orchestra riconosciuto dalla critica per la forza, la sensibilità e la profondità delle sue interpretazioni, Pinchas Steinberg è regolarmente ospite delle maggiori istituzioni musicali internazionali. Percorre il mondo lasciando in ogni orchestra il segno della sua impronta, ed è con grande disponibilità che il maestro ci dedica un po’ di tempo dopo il grande successo ottenuto dalla sua concertazione dell’Elektra straussiana e prima di ripartire per nuovi importanti appuntamenti musicali. Nei prossimi mesi lo ritroveremo in una serie di appuntamenti serrati a partire da Vienna (Aida alla Staatsoper), Napoli (San Carlo Der Fliegende Hollander), Helsinki (Tristan und Isolde), Berlino (Deutsche Oper, Attila ), Roma (Turandot).
Maestro, professionalmente ha dei ritmi vorticosi. Come riesce a gestire il suo tempo?
Lei saprà, che studi scientifici hanno provato l’utilizzo da parte dell’uomo del 10% delle capacità del cervello. Allora, io utilizzo il massimo del mio ( lo dice con il sorrisetto ironico che lo distingue)! È assolutamente necessario perchè tutto il mio tempo è dedicato al lavoro.
Lei è nato e cresciuto in una famiglia dove si respirava la musica. Cosa ricorda della sua infanzia?
Sicuramente la musica è sempre stata presente in casa mia, ma non solo, era un’atmosfera sicuramente intellettuale.Si parlava anche molto di filosofia, di esoterismo. Quando si è molto giovani si assorbe tutto senza capire realmente. È il tempo che fa riaffiorare quello che, quasi inconsapevolmente percepivi…. Ricordo sempre mio padre, un uomo di grande rigore. In questo penso di assomigliarli.
Lei ha iniziato la sua carriera musicale come violinista…
Sì, ho iniziato con il violino relativamente tardi, a dieci anni. Ero completamente ossessionato da questo strumento e l’ho studiato moltissimo. Certamente come tutti i ragazzi di quell’età ero attratto dal gioco: il calcio, ma non avevo molto tempo per divertirmi. Guardavo gli altri bambini giocare dalla finestra sempre eseguendo a memoria i miei esercizi. Questo metodo particolare è veramente un esercizio eccellente per la memoria, e sono pressochè certo che mi è stato di grande aiuto. Attorno ai quattordici anni studiavo dalle sei alle otto ore al giorno animato da un solo scopo: suonare il violino ad un alto livello.
La passione per il violino le ha tolto l’interesse per altri strumenti?
Ero un ragazzo curioso e lo sono ancora, questa curiosità musicale mi ha spinto verso la conoscenza di altri strumenti. Il pianoforte prima di tutto e poi il trombone. Il suono di questo strumento mi intrigava molto: il suo suono grave, rotondo, simile alla voce e mi ha permesso di sperimentare nuovi contesti e di familiarizzare con la famiglia strumentale degli ottoni.
Cosa l’ha appagata nell’essere concertista o solista in un’orchestra. Ho sentito una registrazione dove lei interpretava il concerto di Erich Wolfgang Korngold.
Sono due cose diverse, che danno piaceri diversi, ma ambedue interessanti.
Lei ha suonato con i Berliner Philharmoniker. Cosa ricorda di più di quella esperienza professionale?
Ho avuto modo di suonare con interpreti straordinari ma è stata sicuramente la personalità di Herbert Von Karajan quella che mi ha segnato di più. Mi ricordo di un “Tristano e Isolde” al Festival di Salisburgo, forse era nel 1972. Karajan dirigeva quest’opera con un’emozione particolare e ancora adesso provo ancora il brivido della “pelle d’oca”che provavo mentre suonavo nell’orchestra. Ricordo un altro momento emozionante legato a questo direttore. Eravamo a Lucerna. Non ricordo il programma eseguito, ma vedo ancora vedere tutti i musicisti suonare con le lacrime agli occhi. Nessuno come lui sapeva creare certe atmosfere, un’aura e una capacità straordinaria, misteriosa. Si è scritto molto su di lui che, di certo ha avuto sempre il massimo rispetto da tutti i musicisti.
Avere fatto parte dei Berliner è stata sicuramente un’esperienza straordinaria…
Ne sono molto fiero, evidentemente! Era la prima orchestra del mondo. Era fondamentale il modo di lavorare, non si poteva suonare con un direttore come Karajan come con un direttore qualsiasi, lui obbligava i musicisti ad ascoltarsi gli uni con gli altri. In effetti era come ampliare un’esecuzione cameristica.
Quando si è realmente concretizzato il passaggio alla direzione d’orchestra?
Le cose non sono sempre evidenti e succedono qualche volta senza averle sognate o desiderate. Avevo 22 anni ed ero primo solista nell”orchestra di Chicago. Ferdinand Leitner dirigeva il Don Giovanni di Mozart, ma si vedeva che non si sentiva bene, aveva un brutto aspetto e stava rallentando sempre di più. A un certo punto mi ha fatto un segno e mi ha dato in mano la bacchetta per dirigere. Senza pensarci un attimo, ho preso in mano la situazione, bisognava portare in fondo l’opera. Il M° Leitner ebbe un malore e fu ricoverato all’ospedale. Fu un momento di grande tensione psicologica, ancor più per i cantanti. Ricordo che nel cast c’erano Alfredo Kraus e Tito Gobbi. Quando andai a trovare il M° Leitner mi consigliò di pensare seriamente alla direzione d’orchestra. La notizia di quella serata arrivò anche a Herbert Von Karajan che mi invitò ad andare a lavorare con lui. A Karajan non si poteva certo rifiutare e così iniziai la mia carriera di direttore che era proprio partita….”last minute”!
Si ricorda qualche altro momento dei suoi inizi direttoriali?…
Nonostante la mia partecipazione, senza particolare successo, a un paio di concorsi intitolati a Herbert Von Karajan, la Radio di Berlino mi scritturò per un concerto che segnò l’inizio di una importante e fruttosa collaborazione.
Quando inizia una collaborazione con un’orchestra, lo fa sempre nello stesso modo?
Ogni orchestra ha il suo personale modo di suonare e un proprio carattere, ma se parliamo dal punto di vista psicologico allora posso dire di sì: il lavoro è lo stesso con tutte le orchestre. Noi direttori tendiamo verso la ricerca del risultato migliore, ma non bisogna dimenticare che un direttore non deve mai abusare di potere, non deve mai perdere di vista il rispetto verso le persone che compongono l’orchestra.
Predilige dirigere l’opera o la sinfonica?
Non ho preferenze. Tutto è musica e quando salgo sul podio mi interessa solo l’interpretazione della partitura.
Oltre al linguaggio musicale, lei parla diverse lingue. È una conoscenza fondamentale nel rapporto con i musicisti?
Assolutamente sì. Per la comprensione innanzitutto, per un contatto più diretto, per gli scambi che si hanno, non solo sul piano musicale. Non possiamo accontentarci di rimanere semplicemente sul podio. Abbiamo realmente bisogno di confrontarci e capirci.
Secondo lei, in questo questo momento, è più difficile avere cantanti importanti o una regia coerente?
Le carriere dei cantanti sono sempre più brevi, cantano tutto e troppo rapidamente. Quanto ai registi è un problema reale. Le regie teatrali obbligano spesso il pubblico a vedere delle opere che visualmente non dicono più nulla e ovviamente questo nuoce allo spettacolo. Ci vorrebbe una maggiore attenzione su entrambi questi aspetti.
C’è un compositore che l’affascina in modo particolare?
Dirigo solo ciò che amo, perchè per me è un investimento totale, sia a livello emozionale che intellettuale. Mi sarebbe impossibile affrontare della musica che non capisco. Intendiamoci…parlo di dirigere non di battere il tempo. Devo sempre essere in sintonia con il compositore.
Oggigiorno che cosa non le piace dell’ambiente musicale?
Il marketing. Siamo in una società di consumo e si consuma la musica come si va al McDonald’s. Questo vale per tutte le arti, pittura e letteratura comprese. O sei mediatico o non lo sei. Il talento, la professionalità sono quasi passate in secondo piano. Non c’è più un’educazione vera e la gente consuma quello che le viene propinato questo vuole dire qualsiasi cosa…. Negli ultimi decenni sono state prodotte opere memorabili?….Peccato!
La vita per un direttore d’orchestra è difficile?
Non è certo una vita normale. È molto faticoso essere sempre in viaggio. Si lavora continuamente, sempre proiettati sul prossimo progetto, senza quasi aver assimilato il precedente. Si è sempre in tensione, ma non può essere altrimenti. È per questo che bisogna avere un cervello ben strutturato (sorride).
Se potesse tornare indietro cosa cambierebbe del suo percorso?
Assolutamente nulla. Ho debuttato in un’epoca dove la musica brillava grazie a orchestre prestigiose. Forse ho avuto fortuna? Può essere, ma è stato soprattutto frutto di molto lavoro.
Lei ha diretto recentemente “Eletkra” di Strauss a Marsiglia. Come è stata questa esperienza?
Questa produzione mi ha dato grandi soddisfazioni. La regia, i cantanti e l’orchestra mi hanno entusiasmato. Un insieme che ha contribuito al successo dello spettacolo.
Grazie Maestro per il tempo che ci ha dedicato.