Trento Teatro Sociale, Rassegna In Danza 2012/ 2013
“DAVAÏ DAVAÏ…”
Coreografia e Scene Brahim Bouchelaghem
Wolt STANISLAV VAYTEKHOVICH
Kosto KONSTANTIN ELYSEYTSEV
Flying Buddha DMYTRO LI
Simpson MAXIM SHAKHOV
Rezk DMITRY BAGROV
Komar DMITRY KOLOKOLNIKOV
Robin OLEKSIY BULGAKOV
Tony Rock ANTON SAVCHENKO
BRAHIM BOUCHELGHEM
Compagnie di danza, Zahrbat / Brahim Bouchelaghem e TOP9
Musiche di Aleksi Aubry Carlson, René Aubry
Luci Philippe Chambion
Realizzazione e Video Pierre Briant
Trento, 23 aprile 2013
Il teatro sociale di Trento chiude la rassegna 2012-13 di inDanza, all’interno della stagione: Benvenuti a Teatro, con uno spettacolo che nominarlo esibizione di performer, altrimenti breakers, Hip Hop è quanto mai riduttivo e affatto semplicistico. Davaï Davaï è una bella espressione della nouvelle danse francese, di quell’arte che negli anni settanta del novecento, per merito di Bagouet e Larrieu, ha voluto emancipare il linguaggio coreografico della danza moderna statunitense e che oggi, accomunando l’attenzione per il movimento dinamico col suo rapporto con lo spazio, diventa racconto, quindi poesia.
La danza di Brahim Bouchelaghem (classe 1972) non è l’Hip Hop della manifestazione spontanea di strada messa su un palco ma spettacolo di testa, l’espressione della spontaneità del gesto umano ripensata in chiave drammaturgica. Il ballerino e coreografo franco-algerino, grande osservatore della varia umanità, e conosciuto come il “coreografo-poeta”, ci racconta le storie dei suoi amici danzatori russi (la crew TOP9 di San Pietroburgo), dei loro sogni (di riscatto sociale) ad occhi aperti nelle interminabili notti bianche. In Davaï Davaï i virtuosismi delle contorsioni corporee ci appaiono come versi poetici scanditi da battute musicali; dei bei saggi di bravura che strutturano la storia per quadri scenici in una scenografia contrastata dalle luci spioventi e dalle note musicali di fisarmoniche e violini (musica di Aleksi Aubry, figlio di Carolyn Carlson).
All’inizio compare Dmitry Kolokolnikov, vestito di bianco, che recita in russo alcuni suoi versi, mentre dietro di lui è proiettato un ponte sollevabile che si apre invitandoci ad entrare nella storia. “Sono vivo, io vivo, voglio vivere per sempre. Anche quando il freddo bussa alla mia porta. Col suo volto d’inverno e di ghiaccio. In una giornata corta…” (ref. da libretto di sala). Tuttavia i suoi gesti e le sue posture sono usuali alle tecniche di riscaldamento di un ballerino quando passa dagli esercizi di respirazione all’occupazione del proprio spazio recitativo sul palco. Entrano così gli altri otto, seguendo il suo passo, apparendo dalle quinte, mano a mano. La musica incalza, il ritmo martella e il palco si fa ring per la Battle, dove a sfidarsi non sono soltanto le esibizioni dei loro corpi, ma anche le loro vite, le loro storie desiderose di emergere e di farsi strada, ma che, simbolicamente, come le lastre di ghiaccio che fluttuano sulla Neva, sono destinate a vagare e a sciogliersi pian piano. Poi il ralenti. E i breakers diventano ingranaggi, le parti di un motore che gira sempiterno, quello delle scale mobili che trasportano “un mondo di gente” ogni giorno a Sanpietroburgo, come in ogni altra grande città (immagini proiettate).
Una canzone entra a commentare il leitmotiv di Davaï Davaï (vai vai). Si tratta di Vai Vedrai, tratto da “Alegria”, spettacolo del Cirque du Soleil: “Dove mancha la fortuna. Non si ca piu con il cuore. Ma coi piedi sulla luna. Oh mio fancillu(o) vedrai. Vai Vedrai che un sorriso. Nasconde spesso un gran’ dolore. Vai Vedrai follia del uomo … “
Conclude lo spettacolo, un gran bel saggio di “coreografie orizzontali” nella messa in scena di un naufragio e del fortuito salvataggio, reso possibile dalla presenza di un canotto al quale i danzatori si aggrappano con tutte le forze, simbolo, come la zattera della medusa (cara ai francesi), dell’ineluttabilità degli eventi. Ed eccoli invece a prendere tutti gli applausi del pubblico e a restituire la generosità dell’ovazione con brevi performance individuali e simpatiche scenette, fino a che, riuniti in fila mano nella mano, una “hola al contrario” li prostra nel loro perfetto inchino di commiato.