«Come usignuol che uscì di prigionia»: Barbara Frittoli alla Scala per Verdi e Wagner

Milano, Teatro alla Scala – Recital di canto 2012/2013
Soprano, Barbara Frittoli
Pianoforte, Mzia Bachtouridze
Clarinetto, Fabrizio Meloni 
Giuseppe Verdi: In solitaria stanza – Il poveretto – L’esule – Non t’accostare all’urna – Stornello – La seduzione – Brindisi (seconda versione)
Luigi Bassi: Fantasia da concerto su motivi del Rigoletto di G. Verdi per clarinetto e pianoforte
Donato Lovreglio: Fantasia da concerto su motivi de La traviata di G. Verdi (revisione di Alamiro Giampieri) per clarinetto e pianoforte
Richard Wagner: Tout n’est qu’images fugitives – Dors, mon enfant – Mignonne, allons voir si la rose – L’attente – Fünf Gedichte für eine Frauenstimme (Wesendonck Lieder)
Milano, 6 maggio 2013

Lo stesso giorno in cui Barbara Frittoli propone alla Scala un concerto di canto “conforme” al bicentenario verdi-wagneriano, con arie da camera dei due operisti, compare sul «Corriere della Sera» un editoriale di Giangiacomo Schiavi su Milano e sulla sua situazione generale: «nel motore oggi c’è un intoppo, un bullone svitato, una vistosa insufficienza che va riparata, perché penalizza una delle istituzioni di maggior prestigio: la Scala. Il grande teatro è azzoppato da una direzione in partenza» (Dalla Scala all’Expo le delusioni milanesi). Non si vuole certo collegare la qualità dell’evento musicale con la preoccupazione di Schiavi, che poi è la stessa di tutti coloro che hanno a cuore il futuro e la gestione del massimo teatro lirico italiano, ma è innegabile che esso stia vivendo una situazione di disagio che a volte (come è inevitabile) si ripercuote su alcune delle sue numerose e impegnative produzioni. La scelta di affidare un programma cameristico verdiano e wagneriano a un soprano lirico dalla voce elegiaca e morbida come quella di Barbara Frittoli è senza dubbio ottima; ma perché, dai componimenti di Verdi del 1838, protendere l’impegno fino ai cinque Wesendonck Lieder di Wagner, scritti nel 1857, ben diversi dalle liriche del periodo parigino di più di quindici anni prima, ormai tutti proiettati sulla vocalità del nascente Tristan und Isolde? Gli zii di molto riguardo, nella gozzaniana Amica di Nonna Speranza, dicono che «La Scala non ha più soprani …», più che altro per fare pettegolezzi. Non è il caso attuale: La Scala può disporre oggi di ottimi, se non dei migliori, soprani (e nella stagione in corso si sono ascoltati in Lohengrin, in Nabucco, in Der Fliegende Holländer, in Oberto conte di San Bonifacio, equamente ripartiti tra Wagner e Verdi); tutto consiste nel saper affidare con opportunità ruoli sulla base della personalità vocale. Altrimenti, davvero, si finisce per dar ragione agli zii, e in generale ai laudatores temporis acti.
Barbara Frittoli è reduce dal Don Carlo al Teatro Regio di Torino, dove la sua prova vocale ha lasciato qualche perplessità; risentirla in un Verdi di tutt’altro periodo e di ben diverso peso vocale è un sollievo, a cominciare con la romanza In solitaria stanza: timbro e colore della Frittoli sono molto belli, ed è interessante ascoltare il tema della IV strofe – riconoscibile anticipazione di quello della frase «dolci s’udiro e flebili» dal Trovatore – cantato da chi, proprio alla Scala, ha interpretato Leonora nell’altro anno verdiano, il 2001. Le note centrali della Frittoli sono bellissime, e accompagnate da un fraseggio vibrante ed espressivo soprattutto nell’attacco dell’Esule, il brano più articolato tra quelli desunti dal catalogo verdiano. La pianista georgiana Mzia Bachtouridze (sostituta di Daniel Barenboim, indisposto a causa delle conseguenze di una caduta sulla schiena risalente all’ottobre scorso) nelle sezioni di intermezzo accentua giustamente fervore ed enfasi romantici della scrittura, prima della ripresa e della trasformazione della romanza in cabaletta, con tanto di messa di voce: ottima a questo punto l’emissione del soprano (forse un poco a discapito del fraseggio); non del tutto sicuro, invece, l’oscillante acuto conclusivo. Il pezzo verdiano meglio eseguito è Non t’accostare all’urna, in cui si colgono anticipazioni di «Non so le tetre immagini» dal Corsaro; la Frittoli sfoggia tutte le migliori caratteristiche della sua voce: timbro, sfumature, legato, espressione del dolore. Del pari molto bella è l’esecuzione di La seduzione, anche grazie alla tessitura prudente cui la romanza si attiene. Qualche imbarazzo è tuttavia nel canto amebeo dello Stornello, perché le risposte rapide, e modulate sulle note basse, sono rese più con il parlato che con il necessario declamato; e poi, manca nella voce della Frittoli quella brillantezza che caratterizza il pezzo; più spiritosa nel Brindisi, anche se resta complessivamente trattenuta.
La rassegna verdiana è suddivisa in due blocchi, intercalati all’esibizione solistica di Fabrizio Meloni, primo clarinetto dell’Orchestra del Teatro alla Scala e della Filarmonica della Scala sin dal 1984, che propone due fantasie da concerto su temi di opere verdiane: Rigoletto e Traviata, rispettivamente di Luigi Bassi e di Donato Lovraglio, musicisti della seconda metà dell’Ottocento, cultori del melodramma e delle rivisitazioni virtuosistiche in forma di pot pourri per strumento solista. Nella fantasia da Rigoletto il clarinettista si mantiene su sonorità abbastanza attenuate, anche perché deve cimentarsi con difficilissime variazioni, volate, fioriture e abbellimenti di ogni sorta (soprattutto a partire dal tema del quartetto «Bella figlia dell’amore», per proseguire con i ritmi ballabili di apertura dell’opera, poi con la melodia di «Caro nome», da cui rampollano le variazioni più spettacolari, e un finale pirotecnico sul tema di «Parmi veder le lagrime»). Anche la fantasia dalla Traviata inizia con motivi celebri («Ah, fors’è lui che l’anima», «Sempre libera degg’io») per esplodere in una gragnuola di abbellimenti, scatenati dal tema del brindisi del I atto: musica forse prevedibile, ma dalle richieste tecniche molto ardue, le cui clausole mettono alla prova anche un virtuoso abilissimo come Meloni. Occorre dire che tale letteratura musicale, al di là del “ripasso” melodico dei temi di un melodramma e dell’esibizione solistica, sortisce oggi l’effetto un po’ Kitsch di gusto tanto salottiero quanto provinciale; e all’interno di un concerto di canto le fantasie per clarinetto sembrano poco più che pretenziosi riempitivi, anche se il pubblico scaligero dimostra di gradire moltissimo, perché acclama più volte il maestro Meloni, la cui bravura, perizia tecnica, espressività, sono indiscutibili.
Dopo un breve intervallo Barbara Frittoli porge quattro romanze francesi di Wagner, tra cui si possono ricordare la berceuse Dors, mon enfant (su versi di anonimo), impegnativa per le difficoltà di intonazione, che la Frittoli supera molto bene, e il tenero madrigale Mignonne, allons voir si la rose (su versi di Pierre de Ronsard), reso con molta espressività. L’esecuzione della prima della serie (Tout n’est qu’images fugitives) è leggermente penalizzata da acuti non del tutto sicuri, così come nella quarta (L’attente, su versi di Victor Hugo) pesano le sonorità un po’ troppo martellanti del pianoforte e le difficoltà di fraseggio all’interno di un ritmo spezzato e mobilissimo. Sin dal primo dei Wesendonck Lieder (Der Engel) si manifestano in modo evidente alcuni problemi interpretativi: in primo luogo il fraseggio, dovuto a una pronuncia del tedesco meritevole di perfezionamento; ma è soprattutto la cavata vocale a difettare, come lascia intendere l’acuto mancato della III strofe, non emesso, poiché non sostenuto dal fiato necessario. Se Wagner intona i Lieder scritti dall’amata Mathilde definendoli für eine Frauenstimme, non significa che qualsivoglia Stimme possa eseguirli con naturalezza; in particolare gli ultimi tre (Im Treibhaus, Schmerzen e Traüme, i più belli, poiché cartoni preparatori ai Leitmotive del II atto di Tristan und Isolde) esigono una voce che può essere a metà tra quella di Isolde e di Brangäne, ma senz’altro una voce wagneriana di soprano drammatico. Barbara Frittoli, da grande professionista qual è, mantiene il più corretto approccio possibile al testo musicale; ma questo non è sufficiente perché la voce corrisponda alle richieste stilistiche. E così l’intonazione risulta compromessa a partire dal II brano del ciclo (Stehe still!), e la voce appare decisamente leggera (oppure monocorde, perché tutta impegnata a conservare l’intonazione, come nel III, che è già studio preparatorio alle armonie tristaniane). Molto equilibrata, nei tempi e nelle sonorità, Mzia Bachtouridze impegnata nell’accompagnamento al pianoforte. Al termine del concerto Barbara Frittoli è molto festeggiata dal pubblico scaligero, così come già al suo ingresso era accolta da un prolungato applauso, segno di stima, di affetto, di una frequentazione ormai lunga con il teatro. Il soprano non assume però alcun atteggiamento divistico: concede un unico bis (con un Lied di Rachmaninov dagli acuti finali un po’ spericolati), e permette che a chiudere la serata sia Fabrizio Meloni, sempre accompagnato dalla pianista, con un brano jazzistico piuttosto languoroso, di effetto trascinante. Foto Marco Brescia © Teatro alla Scala