Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2012-2013
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore John Axelrod
Violino Gidon Kremer
Alfred Schnittke : Concerto n. 4 per violino e orchestra
Pëtr Il’ič Čajkovskij : “Francesca da Rimini”, fantasia sinfonica op. 32
Richard Wagner :” Tannhäuser”, ouverture
Torino, 16 maggio 2013
Il ventiquattresimo, e ultimo, concerto della stagione sinfonica della RAI di Torino affianca grandi interpreti e pagine di estrazione molto distante. Il legame più importante è sicuramente quello tra Gidon Kremer e il concerto di Schnittke che apre la serata, poiché l’opera fu scritta nel 1984 e dedicata appunto al violinista nativo di Riga. Se Truls Mørk, nel precedente concerto, aveva incantato gli ascoltatori con il suo violoncello Domenico Montagnana del 1723, adesso Kremer entra impugnando un Nicola Amati del 1641; ed è naturale che le prime aspettative del pubblico si concentrino sulla tipologia sonora di uno strumento così antico, impiegato per una partitura così moderna. A brandire l’Amati è un signore alto e flessuoso, abbigliato in modo eccentrico, poiché indossa un abito a metà tra la giacca dello smoking e il gilet senza maniche; ma non importa, non si nota neppure: Kremer riesce a essere elegante anche così, come in ogni sua apparizione artistica.
Solista e direttore sono abilissimi a rendere con intensità quell’impressione di crollo dell’impianto tonale che contraddistingue le composizioni sinfoniche di Schnittke. Da un’introduzione neo-romantica, come mendelssohniana, si precipita improvvisamente nella convulsione del Novecento storico; il fattore più interessante è però costituito dall’interpretazione delle parti armonicamente tradizionali, perché gli esecutori dimostrano di credere profondamente in quel refolo di Romanticismo, pur destinato a cadere di lì a poco, che Schnittke rielabora. E quindi le sonorità dell’Amati si integrano perfettamente con quelle dello xilofono o delle campane tubolari nell’Andante del I movimento, che si arricchisce gradatamente di apporti strumentali fino a coinvolgere tutta l’orchestra. Purtroppo, a questo punto, Axelrod cade nel suo consueto errore di amplificare il volume sonoro in modo eccessivo, rendendo inudibile (ed è errore imperdonabile) il violino di Kremer nella conclusione del tempo iniziale. Ad avvio del II blocco (Vivo) le movenze d’insieme sono clavicembalistiche e barocche, e il violino è trattato con mozartiana delicatezza; addirittura, la sezione lirica del concerto si trasforma in un ballabile di impronta neoclassica, in cui Kremer eccelle (senza concedere nulla a effetti gratuiti o, peggio ancora, istrionici). È straordinario il suono politonale del violino secentesco, che pare fabbricato appositamente per servire l’orchestrazione novecentesca di Schnittke. Quando l’ensemble si concentra su un motivo semplice, una specie di fanfara arcaizzante, lo strumento solista si impegna a variarlo, in un profluvio di virtuosismo che conferisce al concerto un’ulteriore, nuova facciata. L’atmosfera diventa molto più rarefatta con il III movimento (Adagio), in cui il violino si fa protagonista di numerosi frammenti melodici, appena collegati tra loro dalle trame orchestrali. Il nuovo dialogo tra violino e clavicembalo, per esempio, costruisce un’ambientazione thriller prima dello scoppio conclusivo, di eredità mahleriana. Il finale (Lento) recupera l’attacco del I movimento, ma con più cupezza: una meditazione molto breve e pessimistica, pronta a spegnersi nelle filature dello strumento solista. Alle forti acclamazioni degli ascoltatori segue l’immancabile bis; come sempre da parte di Kremer, si tratta della quintessenza del fuori-programma, della rarità del pezzo contemporaneo: una breve composizione per violino solo di Valentin Silvestrov, musicista e didatta ukraino che collabora con il virtuoso sin dal 1990.
Bisogna indietreggiare di più di cento anni per disporsi all’ascolto della fantasia sinfonica d’ispirazione dantesca “Francesca da Rimini” di Čajkovskij; ma dopo la vibrante delicatezza di Kremer, con Axelrod tutto è, sin dall’inizio (Andante lugubre) troppo forte, gettato innanzi senza risparmio e senza disegno. Così, quando l’orchestra giunge a enunciare il tema principale (Allegro vivo) non c’è alcuna distinzione agogica, alcun risultato di crescendo complessivo; e poi, serpeggia un’eccessiva frenesia, che inevitabilmente trasforma il tema di Paolo e Francesca in una marcetta clownesca, stucchevole e inutilmente fragorosa. L’esecuzione migliora nella parte centrale (Andante cantabile non troppo), dominata dai legni, in cui il direttore rallenta un po’, ma non per molto; la parte più bella potrebbe infatti essere il controcanto tra archi e flauto (Monica Berni, bravissima), se il discorso non fosse di nuovo accelerato nella parte finale. Va precisato che il ritmo incalzante non è un difetto di per sé, ma lo diventa quando sottrae forza espressiva al testo musicale e – ancor più grave – alla prova degli strumentisti. Il suono dell’orchestra, inevitabilmente, si riduce a un pasticcetto languido e romanticheggiante, a un rumoroso disordine, e Čajkovskij rischia di apparire per quello che proprio non è, ossia un artista volgare che tenda platealmente alla mozione degli affetti (non è così, e sulla rappresentazione del dramma il personaggio dantesco chioserebbe: «il modo ancor m’offende»).
Axelrod affronta poi l’ouverture dal Tannhäuser con atteggiamento assai diverso, molto più attento: buoni gli attacchi dei corni e delle trombe (anche se il loro tema è ben presto gridato, più che declamato), così come risultano apprezzabili la sonorità e il piglio ritmico del tema del Venusberg e del baccanale. Ottimi i ricami di primo e secondo violino (Alessandro Milani e Giuseppe Lercara), che avviano la sinfonia alla coda; e nel finale brillano i colorismi delle percussioni e degli ottoni, mentre l’amalgama di tutti gli archi resta un po’ sconnesso (forse a causa del tempo, staccato un po’ troppo rapidamente). Il pubblico di Torino, da sempre wagneriano in modo intelligente, apprezza l’omaggio conclusivo e tributa all’orchestra e al direttore un ringraziamento molto caloroso, che pare riassuntivo non soltanto del concerto, ma dell’intera stagione sinfonica 2012-2013 (un crescendo di emozioni e di altissima qualità interpretativa). D’altra parte, nei termini ormai consueti per l’anno delle celebrazioni, il finale wagneriano si appaia all’incipit verdiano della prossima stagione: il 10 ottobre 2013, con la Messa di Requiem diretta da Juraj Valčuha.