Milano, Teatro alla Scala, Stagione di Balletto 2012/2013
“GISELLE”
Balletto fantastico in due atti
Coreografia Jean Coralli – Jules Perrot
Ripresa coreografica di Yvette Chauviré
Musica di Adolphe Adam
Giselle LUSYMAY DI STEFANO
Il Principe Albrecht ANTONINO SUTERA
Il Duca di Courland RICCARDO MASSIMI
La Principessa Bathilde SABINA GALASSO
La madre di Giselle ADELINE SOULETIE
Hilarion ALESSANDRO GRILLO
Wilfried MAURIZIO LICITRA
Il Gran Cacciatore MATTHEW ENDICOTT
Passo a due contadini DENISE GAZZO, MARCO AGOSTINO
Sei amiche di Giselle STEFANIA BALLONE, CHRISTELLE CENNERELLI, BRIGIDA BOSSONI, LARA MONTANARO, GIULIA SCHEMBRI, MARTA GERANI
Myrtha, Regina delle Willi SOFIA ROSOLINI
Due Willi LUANA SAULLO, ALESSANDRA VASSALLO
Corpo di ballo del Teatro alla Scala
Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala
Direttore Alessandro Ferrari
Scene e costumi Aleksandr Benois
rielaborati da Angelo Sala e Cinzia Rosselli
Produzione Teatro alla Scala
Milano, 30 aprile 2013, recita pomeridiana
Il mondo del melodramma festeggia nel 2013 il bicentenario di Verdi e Wagner (e, seppur in misura quantitativamente minore, anche il centenario della nascita di Britten). Anche la danza vede nel 2013 due importanti ricorrenze. Vent’anni sono trascorsi dalla morte di Rudolf Nureyev: saranno diverse le compagnie che omaggeranno il celebre ballerino con le coreografie che lui stesso creò. Il Teatro alla Scala, ad esempio, metterà in scena Il lago dei cigni nella versione Nureyev nei mesi di luglio e ottobre. Il secondo anniversario, e qui prendiamo spunto per parlare di Giselle, è il secolo trascorso dalla prima rappresentazione de Le Sacre du printemps di Nižinskij/Stravinskij, avvenuta il 29 maggio 1913 al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi. Al momento, nessun teatro italiano metterà in scena il Sacre nella versione di Millicent Hodson e Kenneth Archer del 1987 – quella che tenterebbe di ricostruire il balletto nella sua versione originale -; chi omaggerà la ricorrenza, lo farà proponendo altre coreografie. Il che non vuole significare che sia “meglio” o “peggio”, anzi: testimonia la fecondità di una ricerca che dura sino ad oggi. (D’altronde i tempi sono quelli che sono e, oggi, quale teatro italiano potrebbe mettere in campo una cinquantina di ballerini – tanti ne servirebbero nella versione Nižinskij – per un balletto di poco più di mezz’ora? E per fargli fare serata con cosa, poi?). Ma veniamo a Giselle. Cos’hanno in comune Giselle e il Sacre? Strutturalmente, ben poco; musicalmente, ancora meno. Del primo ce ne parla in questi termini Marinella Cipriani, nella sua monografia Giselle e il fantastico romantico tra letteratura e balletto «Giselle è il balletto de l’harmonie. Non esisteva altro balletto dell’epoca in cui danza e musica si unissero tanto armoniosamente. Inoltre la danza dava in esso la perfetta illusione di una narration drammatique, tanto che lo spettatore era in grado di comprendere tutta l’azione senza dover ricorrere al libretto. Armonia delle necessità drammaturgiche e del virtuosismo, della danza dell’uomo e della donna, ma anche dei protagonisti e del corps de ballet». Circa il secondo, ci limitiamo a ricordare che Vittoria Ottolenghi vedeva nel Sacre, parlandone in seguito alla visione della coreografia curata dalla Hodson, la nascita della “danza moderna”.
Il punto d’incontro tra i due sta nella nascita del Sacre e nella rinascita di Giselle sulle scene parigine: la veicolazione è costituita ovviamente dai Ballets Russes. Giselle, che debuttò a Parigi il 28 giugno 1841, visse fasi transitorie: ad un repentino successo durato dieci anni, subentrò il silenzio per poi essere ripreso, non casualmente, da una ballerina russa, Marfa Muravieva, nel 1863 a significare già il fil franco-russo che caratterizzerà le sorti di questo balletto. Lasciando da parte tutte le vicende che nel frattempo subirono coreografia e musica – ché sarebbero veramente troppe… -, Parigi e con lei il mondo occidentale tornò a vedere il “prodotto più alto” del balletto romantico grazie alla leggendaria compagnia di Sergei Diaghilev, protagonisti Tamara Karsavina e Vaslav Nižinskij, solo nel 1910.
Anche la Scala di Milano festeggia Giselle: esattamente centosettant’anni dalla comparsa del balletto sulla scena del Massimo milanese (ancorché, è bene ricordarlo, alla prima la coreografia fosse di Antonio Cortesi e la musica di Giovanni Bajetti). La ripresa del titolo nella versione di Yvette Chauviré, anche quest’anno, ha visto protagonisti étoile e primi ballerini scaligeri (Bolle/Zakharova e Nezha/Conti): non è mancato un debutto, com’è ormai prassi alla Scala, e di questo vi parliamo. La recita pomeridiana del 30 aprile è stata decisamente alterna e poco equilibrata sotto diversi punti di vista. Debuttava come Giselle Lusymay Di Stefano, dopo la convincente prova nei panni di Esmeralda in Notre-Dame de Paris, mentre Antonino Sutera era il Principe Albrecht. La prima cosa che ci viene da riferire è di una sorta di freddezza o di incomunicabilità che ha caratterizzato la coppia: il tutto sembrava dire… Io ballo da solo. A onor del vero, Sutera si è fatto valere ed è stato il migliore della serata: non può essere strettamente considerato un danseur noble per proporzioni e aspetto ma ha esibito un bel salto, giro e duttilità nella batteria. Non gli ha giovato granché un recitato piuttosto convenzionale (uno “da primo atto” e uno “da secondo”) ma poco male. Lusymay Di Stefano è sembrata da subito molto tesa, cosa che purtroppo si è protratta per tutta l’esibizione. Il giro ci è sembrato meno brillante e sostenuto così come poco disinvolta è apparsa generalmente la prova par terre. Anche stilisticamente, come nella definizione del port de bras o nel protendere il busto, non è stata inappuntabile. Talvolta, soprattutto durante il secondo atto, capitava di “non vedere” Giselle in scena: l’occhio cercava la «posa sospirata delle braccia» – per dirla con le parole di Yvette Chauviré – all’interno del Corpo di Ballo femminile che sembrava inghiottire la protagonista. Quello che però ci ha stupito è stata la scena della pazzia, eseguita in modo davvero emozionante. Il pas de deux dei contadini sembrava calibrato sulla coppia principale ma in senso opposto. Denise Gazzo è stata una contadinella simpatica, briosa e musicale. Marco Agostino ha potuto vantare un discreto giro come un salto sufficiente ma è mancato di legato, soprattutto nell’esecuzione del manège: considerata la natura brillante sottesa a tutto il numero, ne è derivata una dinamica piuttosto greve. Anche quest’anno, Sofia Rosolini è stata chiamata a vestire i panni di Myrtha, la regina delle Villi, avvalendosi di una buona tecnica e della presenza statuaria. Una piccola ma non marginale osservazione: perché far interpretare Bathilde a Sabina Galasso? Bathilde dovrebbe essere la fidanzata di Albrecht, non sembrarne la madre. Ottima la prova del Corpo di Ballo, soprattutto quello femminile al secondo atto a scandire una volta ancora l’eterna notte delle Villi. Pubblico folto e partecipe: tantissimi gli applausi. Foto Brescia – Amisano © Teatro alla Scala.