Venezia celebra Wagner e la sua “Wunderharfe”

Venezia, Teatro La Fenice, Concerto straordinario per il bicentenario della nascita di Richard Wagner
Staatskapelle Dresden
Direttore Christian Thielemann
Tenore  Johan Botha
Richard Wagner: “Der fliegende Holländer” Ouverture; “Eine Faust-Sinfonie” Ouverture WWV 59; “Rienzi”: “Allmächt’ger Vater”; Ouverture; “Lohengrin” Preludio; “In fernem Land”; “Tannhäuser”: “Inbrunst im Herzen”; Ouverture
Hans Werner Henze:Fraternité”, air pour l’orchestre prima esecuzione italiana
Venezia, 30 maggio 2013

Concerto straordinario al Teatro La Fenice in occasione del bicentenario della nascita del più illustre tra tanti ragguardevoli cittadini d’adozione della città lagunare, Richard Wagner, che vi soggiornò una prima volta, tra il 1858 e il 1859, reduce dallo scandalo suscitato dalla scoperta, da parte della prima moglie Minna, della sua relazione con Mathilde Wesendonck. Abitò per sette mesi prima all’Albergo Danieli e poi a Palazzo Giustiniani, continuando la stesura del Tristano, nella cui partitura – ed è questo motivo d’orgoglio per i veneziani – +è rimasta traccia delle impressioni lasciate in lui dalle antiche melopee dei gondolieri. Il secondo soggiorno in laguna ebbe inizio nell’autunno del 1882, dopo il successo del Parsifal, alloggiando prima all’Albergo Europa e successivamente nel mezzanino di Ca’ Vendramin-Calergi; purtroppo si interruppe fatalmente nell’anno successivo in seguito alla morte del sommo maestro, che avvenne il 13 febbraio, causata da un attacco di cuore. La vigilia di Natale del 1882, per festeggiare il compleanno della seconda moglie Cosima, Wagner aveva diretto nelle sale Apollinee della Fenice allievi ed insegnanti del Liceo “Benedetto Marcello”, che eseguivano la sua Sinfonia in do maggiore.
Venezia, dunque, è a buon diritto una città wagneriana: i luoghi frequentati dal grande musicista, poeta, saggista sono ancora – per chi lo sappia cogliere – pieni del suo fascino, ancorché frastornati da un turismo a dir poco distratto. Non ultimo quel Caffè Lavena, in piazza San Marco, in cui quasi ogni giorno Wagner, condotto dalla gondola del fido Luigi, si intratteneva dalle cinque alle sei del pomeriggio assieme alla moglie Cosima, alle figlie e al suocero Franz Liszt, prendendo un tè con pasticcini o un bicchiere di cognac. Il tavolino e le sedie originali che occupava nella loggia superiore del locale sono stati conservati fino ad oggi: in questo caffè compose il duetto del Tristano e Isotta e moltissime pagine del Parsifal, come ricorda la lapide di Vincenza Cadorin al suo interno. Inoltre al Lavena si recava sempre dopo le esecuzioni del Lohengrin da parte della banda cittadina.  A Venezia, città wagneriana, si è conclusa degnamente la  Wagner-Geburtstagstournée (tournée del compleanno di Wagner) della Sächsische Staatskapelle di Dresda, insieme al suo direttore principale Christian Thielemann e al tenore Johan Botha, dopo aver toccato Dresda, Parigi e Vienna. Tutte le pagine wagneriane del concerto celebrativo – cinque ouverture e tre grandi scene operistiche per tenore – sono legate a Dresda, o perché furono ascoltate per la prima volta nella capitale sassone, o perché furono composte nel periodo in cui Wagner vi si era stabilito, dall’aprile 1842 al maggio 1849, avendo ottenuto il posto di direttore della Staatskapelle. A Dresda doveva richiamarsi anche la composizione di Hans Werner Henze, designato l’anno scorso da Thielemann, per la sua prima stagione direttoriale, come “composer in residence”. Henze avrebbe dovuto scrivere un nuovo lavoro, Isoldes Tod, la cui esecuzione era prevista al Festival di Pasqua a Salisburgo e, appunto, nel corso della tournée della Staatskapelle per i 200 anni della nascita di Wagner. Scomparso il 27 ottobre 2012, il compositore non ha potuto produrre questo nuovo pezzo, che è stato sostituito da Fraternité, “air pour l’orchestre”, un lavoro del 1999, commissionato dalla New York Philharmonic Society in qualità di “messaggio musicale” per il nuovo millennio, e diretto a New York da Kurt Masur l’11 novembre dello stesso anno.
Fondata dal principe elettore Moritz von Sachsen nel 1548, la Staatskapelle Dresden è una delle più antiche orchestre del mondo e può vantare tra i suoi “storici” direttori: Heinrich Schütz, Johann Adolf Hasse, Carl Maria von Weber e, come abbiamo visto, Richard Wagner, che la definì affettuosamente la sua Wunderharfe (arpa miracolosa). In tempi più recenti – dopo un lungo sodalizio con Richard Strauss  in qualità sia di direttore che di compositore – ha avuto sul podio personalità come Böhm, Haitink e Sinopoli, confermandosi uno degli ensemble più prestigiosi, depositario di una storia plurisecolare.
Ebbene, gli eredi di una tradizione tanto insigne non hanno deluso le attese del pubblico veneziano, e le note di questa rinnovata  Wunderharpe sono risuonate in tutta la loro armoniosa bellezza tra gli stucchi della sala del Selva, evocate dal gesto imperioso di uno dei più grandi direttori dei nostri tempi. Continua a colpire di quest’orchestra la purezza del suono, che nasce da una coesione, un affiatamento, un’intonazione pressoché assoluti. Una civiltà del suono che ha radici ben profonde nella cultura musicale europea e che si è fatta sentire subito con evidenza nel contrasto, che domina nell’Ouverture di Der fliegende Holländer, tra il tempestoso, balenante tema dell’Olandese, affidato agli archi e agli ottoni, e quello rasserenante di Senta, teneramente cantato dal corno inglese col sostegno dei legni. Ma questa magia del suono si è potuta apprezzare in tutto il concerto: dalla Faust-ouvertüre, che inizia con una cupa introduzione “notturna”, seguita dalle  drammatiche perorazioni del primo tema, al clangore magniloquente dell’ouverture del Rienzi, in cui la cantabilità degli archi è contrapposta ai bagliori dorati degli ottoni; dalle armonie severe del coro dei pellegrini nell’ouverture del Tannhäuser, inframezzata dalle edonistiche seduzioni di Venere, al bagliore candido e nitido dei violini, che nelle prime battute del preludio del primo atto del Lohengrin intonano il motivo del Gral, prima del grandioso crescendo dell’orchestra, per poi ritornare gradatamente ad un mormorio quasi impercettibile. Indimenticabile anche l’esecuzione dell’unico brano non wagneriano, Fraternité di Hans Werner Henze, che secondo il giudizio dello stesso autore può essere considerato come “un’opera tranquilla e serena, in cui tutti gli strumenti dell’orchestra sono come uno solo… e cantano in lode dell’armonia e della pace”, anche se questa serenità è percorsa da una sottile inquietudine. La scrittura magistrale di Henze, fatta di climax ascendenti e discendenti, di contrasti emotivi, e intessuta di cromatismi, si è tradotta nella magia sonora, cui ci ha abituato l’orchestra sassone, ad evocare atmosfere languide e sensuali di ascendenza tardo romantica.
Che dire del tenore sudafricano Johan Botha, altro protagonista di questa serata, se non che la sua prestazione è stata assolutamente splendida? Con voce estesa e ferma, limpida e omogenea, che univa potenza a brillantezza di timbro, ha affrontato, dando il giusto accento, di volta in volta eroico o misticheggiante, e sfoggiando un sempre incisivo fraseggio, le arie operistiche  wagneriane in programma. La sua interpretazione intensa e tecnicamente ineccepibile ha letteralmente incantato il pubblico. Di quanto abbiamo dato conto, ovviamente il nume tutelare è stato Christian Thielemann, profondo conoscitore della tradizione musicale, anzitutto tedesca e, in particolare, wagneriana, di cui si dimostra il legittimo l’erede. Assoluto dominatore dell’orchestra in ogni dettaglio, grazie alla forza della sua carismatica personalità, la sua interpretazione si è caratterizzata per un oculato recupero di quella tradizione, di cui si sente custode, e del senso di grandezza che la pervade, sapendo essere solenne e lirico, eroico e mistico, senza mai eccedere in pesantezze teutoniche. Alla fine di una serata memorabile, entusiastici applausi per tutti. E un bis: un mirabolante preludio dell’atto terzo del Lohengrin, concitatissimo nelle sezioni estreme, nobilmente pacato in quella centrale.