Verona «o cara, noi rivedremo»…ancora “Traviata” all’Arena

Verona, Fondazione Arena di Verona, Festival del Centenario 1913-2013
 “LA TRAVIATA”
Melodramma in tre atti. Libretto di Francesco Maria Piave.
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry  LANA KOS
Flora Bervoix  CHIARA FRACASSO
Annina  ALICE MARINI
Alfredo Germont  GIANLUCA TERRANOVA
Giorgio Germont  DAVIT BABAYANTS
Gastone di Letorières  STEFANO CONSOLINI
Barone Douphol  FEDERICO LONGHI
Marchese d’Obigny  DARIO GIORGELÈ
Dottor Grenvil  VICTOR GARCIA SIERRA
Giuseppe  CRISTIANO OLIVIERI
Domestico/Commissionario  ANDREA CORTESE
Orchestra, Coro e Corpo di ballo dell’Arena di Verona
Direttore Andrea Battistoni
Maestro del Coro Armando Tasso
Regia, scene, costumi e luci Hugo de Ana
Coreografia Leda Lojodice 
Verona, 2 agosto 2013

Dell’Arena di Verona impressiona sempre la struttura architettonica così vasta, geometrica, e al tempo stesso così libera e aerea, insomma la sua cornice ellittica e scoperta; forse a partire da tale suggestione Hugo de Ana ha elaborato nel 2011 l’allestimento della Traviata sull’idea stessa di cornice, di contenitore, di luogo delimitato ma in continuo rapporto con l’esterno; la scenografia è dunque formata da una serie di grandi cornici vuote, che potrebbero contenere quadri (l’azione stessa dei personaggi e le loro esistenze più o meno vacue) oppure specchi (in cui sarebbe l’esistenza del pubblico stesso a riflettersi, con le sue passioni e le sue aspirazioni).
Andrea Battistoni dirige orchestra e cantanti in modo controverso: se la concertazione delle parti vocali è quasi sempre precisa (e accomodante, con tempi a volte rallentati), le sonorità strumentali appaiono invece attenuate, poco incisive; di conseguenza, dell’orchestra si percepiscono soltanto le percussioni, con effetto di stancante pesantezza (anche perché nella Traviata l’apporto strumentale non dovrebbe certo ridursi alla superficiale Un-ta-ta Musik). Ulteriore debolezza del direttore è nella gestione della banda dietro il palco, la quale impazzisce nel corso del primo duettino tra Violetta e Alfredo, come una squadra di bersaglieri scorrazzanti senza controllo, al punto da coprire le voci dei cantanti sul palcoscenico. Alla consegna del fiore, poi, orchestra e cantanti da una parte, banda dall’altra sono spaventosamente disallineati, e solo il termine dell’intervento da dietro il palcoscenico sancisce un ritorno alla normalità. La qualità dell’orchestra svanisce addirittura nel corso del II atto, quando pare che il grande duetto tra Violetta e Giorgio non sia sostenuto da alcuna dinamica strumentale, come se la scrittura verdiana della Traviata fosse esangue, stilizzata, depotenziata di ogni forza. È pur vero che in Arena la resa della fossa orchestrale è penalizzata rispetto alle voci, ma un direttore attento può almeno tentare di correggere squilibri così macroscopici. Sommati tutti i rilievi – per concludere – si capisce bene perché una parte (minima) del pubblico non esprima affatto apprezzamento, allorché Battistoni riguadagna la sua postazione prima del II e del III atto.
Lana Kos è una Violetta complessivamente soddisfacente: ha voce bella, ferma, corposa, caratterizzata da alcuni colori scuri, capace di vibrare negli acuti in modo espressivo; dimostra insomma di non essere il solito soprano leggero, anche se la cavata complessiva non è enorme. La cantante saprà interpretare ancora meglio questo personaggio, una volta corretti alcuni difetti nella pronuncia italiana e nel fraseggio (anche sul piano attoriale e propriamente drammatico qualche momento lascia ancora un po’ a desiderare, come la lettura della lettera nell’ultimo atto), oltre a qualche emissione un po’ stridula nel registro più acuto. Il canto spianato è sicuramente quello in cui la Kos appare maggiormente a proprio agio, anche se si avverte la tendenza ad abusare in “portamenti”
I due Germont sul palcoscenico non sono quelli previsti dal programma, ossia Matthew Polenzani (Alfredo) e Fabio Maria Capitanucci (Giorgio): li sostituiscono rispettivamente Gianluca Terranova e Davit Babayants. Il tenore tende a una vocalità un po’ aggressiva e debordante, come suo costume; ma va anche detto che Terranova cerca di controllarsi, e di misurare l’emissione del fiato, sin dal brindisi e dal duettino che lo segue. Lo sforzo si percepisce anche nella ripresa da dietro il palco, mentre Violetta canta «Sempre libera degg’io / folleggiar di gioia in gioia», poiché le agilità conclusive risultano compromesse. Che la tecnica del tenore abbia ancora bisogno di molto studio e di applicazione si desume dall’emissione e dalla respirazione praticate; quando vuole alleggerire il suono con intento espressivo, Terranova assume una voce goffa e impacciata. Il suo problema principale è l’impostazione della maschera vocale, poiché quasi ogni nota della tessitura sembra appartenere a una voce diversa: nel suo canto non si riconoscono uno o più registri, ma un complesso di effetti vocali del tutto disomogeneo. Nel II atto Terranova accusa inflessioni di gola e di naso piuttosto evidenti, che però scompaiono abbastanza presto; forse effetto di nervosismo in vista del do (arbitrario e in questo caso piuttosto infelice) della cabaletta «O mio rimorso! O infamia!». Buono il suo apporto nel duetto finale, «Parigi, o cara, noi lasceremo», anche se qualche accento è un po’ troppo “larmoyant”.
Davit Babayants ha voce molto chiara e troppo leggera per essere all’altezza della parte di Giorgio Germont; la pronuncia poco curata, gli acuti schiacciati, l’assenza pressoché totale di armonici e soprattutto un’intonazione discontinua nelle note di passaggio rendono la sua prestazione molto deludente.
Il secondo quadro del II atto è il momento più riuscito dell’opera, grazie alle soluzioni registiche spettacolari ed eleganti, alla correttezza dei cantanti, al tripudio dei colori (non però quelli orchestrali). Gli interpreti sono tutti molto convincenti sul piano attoriale; Lana Kos anche su quello vocale, senza alcun dubbio. Terranova cerca di irreggimentare la sua voce, e in parte ci riesce (spesso, però, più che come Alfredo si muove come un infervorato Turiddu); nel concertato finale anche Battistoni, finalmente, fa percepire l’anima dell’orchestra dell’Arena, e l’atto si conclude nel migliore dei modi. L’apprezzamento del pubblico raggiunge il culmine dopo la romanza di Violetta del III atto, «Addio, del passato bei sogni ridenti», perché sapientemente giocata sui mezzi toni e sui pianissimi (peccato soltanto per la messa di voce conclusiva, non del tutto intonata nel difficile attacco in piano). Del resto la scena finale, in cui il letto della malattia di Violetta è sostituito da un baule contenente l’abito nuziale e un velo a strascico lunghissimo, incanta il pubblico grazie alla trasposizione onirica allucinata, coerente con lo stato d’animo della donna morente; la Kos canta molto bene anche le battute conclusive, dopo aver dispiegato il velo – quasi una stola funebre – su di un palcoscenico tutto invaso di ricordi e di fantasmi del passato.
Più parlato che cantato, il Marchese d’Obigny di Dario Giorgelè, Federico Longhi, al contrario, è un apprezzabile Barone Douphol, dalla voce naturalmente congeniale all’acustica areniana, perché netta e sicura; e poi, anche grazie alla presenza massiccia ed elegante, sfrontata e sussiegosa, raggiunge il “physique du rôle” ideale per il personaggio antagonista. Buona la prova di Chiara Fracasso, efficace Flora Bervoix, così come quella degli altri interpreti: Alice Marini (Annina), Stefano Consolini (Gastone), Victor Garcia Sierra (Dr.Grenvil), Cristiano Olivieri (Giuseppe),  Andrea Cortese (un domestico / commissionario).
Anche se l’Arena non è al colmo del pubblico, lo spettacolo (per il cui dettaglio si veda la recensione di Tommaso Benciolini) è molto apprezzato per la sua funzionalità e per la coerenza dell’idea principale, ossia l’accumulo di fastose cornici che contengono l’azione del I e del III atto, e del secondo quadro del II. Momento meno convincente è invece la parte iniziale del II atto, curiosamente ambientata su una spiaggetta, tra cabine, ombrelloni, necessario per il mare: scenario divertente, ma estraneo al rapporto con lo spazio areniano, e anche al clima affettivo dei due drammatici duetti, nel corso dei quali la situazione precipita. Prolungati applausi per tutti i cantanti, in particolare per Lana Kos e per Gianluca Terranova, suggellano felicemente la rappresentazione. Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona