Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2013-2014
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Gaetano d’Espinosa
Violino Roberto Ranfaldi
Oboe Carlo Romano
Antonio Vivaldi: Concerto in si bemolle maggiore F XII n. 16 (RV 548) per oboe, violino, archi e basso continuo
Johann Sebastian Bach: Concerto in re minore BWV 1060a per oboe, violino, archi e basso continuo
Anton Bruckner: Sinfonia n. 4 in mi bemolle maggiore “Romantica” (versione 1878-1880)
Torino, 24 ottobre 2013
È un suono pulitissimo e misurato quello che apre il concerto vivaldiano per oboe e violino, mai eseguito nelle stagioni RAI di Torino, e forse anche per questo affidato ai solisti dell’OSN, le rispettive prime parti Carlo Romano e Roberto Ranfaldi. Dopo l’Allegro, nel Largo centrale è protagonista l’oboe, mentre nel secondo Allegro – quello finale, in cui il direttore riesce a diversificare le dinamiche – l’abbinamento dei due strumenti è perfettamente equilibrato.
Molto più celebre il successivo concerto bachiano per identico organico, che permette ai solisti di duettare, soprattutto nell’Adagio di mezzo e nel suo ininterrotto fluire musicale. Nell’Allegro finale Ranfaldi, che suona un violino Gennaro Gagliano del 1761, è impegnato in virtuosismi e agilità, senza mai abbandonarsi però a effetti spettacolari; il suono resta raccolto e netto, e per questo è ancor più godibile nella sua serenità. Ottime, dunque, le prove dei due artisti.
Un programma di concerto non è mai casuale; ma se anche lo fosse, la percezione di un brano influenzerebbe comunque quella del successivo, in modo che la congiunzione di titoli diversi produca un sentimento musicale unico, anche imprevedibile di volta in volta. La presenza di una sinfonia bruckneriana dominerebbe poi qualsivoglia locandina; le pagine che la precedono finiscono in qualche modo per introdurla, o per suggerire una modalità di ascolto diversa da quella assoluta. Tutto questo per dire che l’impeccabile contrappunto vivaldiano e bachiano si riverbera sulle strutture della sinfonia soprannominata Romantica (ma solo nella seconda versione del 1878-1880), generando confronti e paralleli nella sensibilità dell’ascoltatore.
Compete al primo corno avviare il tema principale del I movimento (Bewegt, nicht zu schnell): scortato dal tremulo velluto degli archi, Ettore Bongiovanni lo enuncia con perfetta intonazione. Il direttore d’orchestra ha quindi buon gioco di presentare l’effetto di deflagrazione dello stesso tema quando intervengono tutti gli strumenti (molto netti e suggestivi i tromboni). Il secondo tema, affidato ai violini ed enunciato secondo una giusta sonorità, sarebbe quasi persuasivo quanto il precedente, se non fosse per il ritmo sostenuto, che rischia di sottrarre alla sintassi bruckneriana l’adeguata complessità architettonica. Ma si tratta di una precisa scelta interpretativa, perché Gaetano d’Espinosa ha preannunciato il proposito di offrire una lettura «sicuramente più giovanile, con tempi un poco più stretti, con un fraseggio più serrato e un accenno di teatralità. Un Bruckner più drammatico, meno meditativo» (intervista in «Sistema Musica» 2013-2014, 2). L’assolo del flauto (Dante Milozzi), che ha il compito di riportare il primo tema al corno, è tutto declinato sulla levità; d’Espinosa esalta dunque il contrasto tra tale levità, quasi fatua (il tocco di “giovanilismo”?), e il mormorio inquietante degli archi nella seconda ripresa, ormai verso la coda del movimento; è un grande ottimismo nella lettura del direttore, come rivelano anche gli squilli luminosi dei corni nel finale. L’Andante quasi allegretto è il momento in cui si manifesta il camminatore bruckneriano, che con scansione binaria (i passi del viandante) guida il ritmo; ottima la sonorità scelta dal direttore, sebbene nuovamente gravata dall’ansia di raggiungere un ritmo più serrato (e così, possibili evocazioni di marcia funebre sono del tutto allontanate). L’ultima ricapitolazione del tema, in crescendo, accompagna l’Andante alla conclusione, in cui si apprezza di nuovo la leggerezza del timpano. Mobilissimo e in continua tensione il tessuto degli archi che apre lo Scherzo (Bewegt): è il movimento in cui il direttore rappresenta meglio la suggestione evocativa della musica di Bruckner, galoppi di cavalli e scene venatorie, teatrali e concitate. A esse si oppone l’idillio campestre, quasi pastorale, del Trio interno (Nicht zu schnell, keines falls schleppend), mentre il complesso delle dinamiche e delle antitesi rivela l’ottima capacità di concertazione di d’Espinosa. Oltre a questo, il direttore persegue una ricerca costante dei colori non come effetti a sé, bensì in progressivo abbinamento e composizione: è il caso dell’oboe e del flauto, che si sovrappongono nel Finale (Bewegt, doch nicht zu schnell) al parterre degli archi. A d’Espinosa interessa di più valorizzare la singola screziatura cromatica che non l’effetto tonitruante della musica di Bruckner; per questo, anche nel Finale, si percepisce sempre il refolo d’un fiato, ora del flauto ora dell’oboe, a tingere di colore più chiaro il suono complessivo. Tali strumenti, come nella pittura rinascimentale, assumono un valore “tonale”, e configurano differenti piani nella prospettiva complessa del polittico sinfonico. Non è certo un Bruckner “all’italiana”, perché la formazione del giovane d’Espinosa è quella di Konzertmeister presso la Staatskapelle di Dresda; è bensì un Bruckner notevolmente comunicativo, eppure non appiattito sull’immaginario medioevale, un po’ di cartapesta, che trasparirebbe dal programma sinfonico noto per via indiretta. Insomma, è certamente di buon auspicio che il direttore abbia dichiarato di voler eseguire molto spesso Bruckner nella sua carriera (dopo il debutto, avvenuto nel gennaio di quest’anno, all’Auditorium della Fondazione Cariplo di Milano, con l’Orchestra Sinfonica “Giuseppe Verdi”: era in programma la Sinfonia n. 3, Wagner. Chi scrive era presente, e ricorda bene il rigore di quell’esecuzione).
Nella coda estrema l’effetto di crescendo garantisce quella cupola di luce che suggella la sinfonia: tutti i colori ascoltati in precedenza nel dettaglio sono ora riassunti nell’ultimo accordo, che diventa così il bianco della perfezione totale, il suono omogeneo che racchiude tutti i suoni precedenti e li sublima. La somma conclusiva giustifica anche il peso delle precedenti insistenze direttoriali, e determina la plausibilità dell’intera lettura. Nella poderosa eco che segue, la bacchetta resta a lungo sospesa in alto, mentre la risonanza della sinfonia, ormai nel perfetto silenzio della sala, individua quello “spazio sonoro” che è tipico dei grandi blocchi bruckneriani, e al tempo stesso è la dimostrazione della loro vitalità: la musica vive ancora in sé e per sé anche quando gli strumenti hanno concluso. Poi scrosciano gli applausi, giustamente interminabili.