Myung-Whun Chung e la IX di Mahler a Torino

Torino, Auditorium “Giovanni Agnelli”. I Concerti del Lingotto 2013-2014 
Sächsische Staatskapelle Dresden
Direttore Myung-Whun Chung
Gustav Mahler : Sinfonia n. 9 in re maggiore
Torino, 21 ottobre 2013

Con l’annata 2013-2014 le stagioni sinfoniche dell’Auditorium del Lingotto compiono vent’anni. Il 6 maggio 1994 lo spettacolare spazio sotterraneo, un tempo sala presse dell’officina Fiat, poi rivestita da Renzo Piano di ciliegio dalle iridescenze rossicce, era inaugurata da Claudio Abbado e dai Berliner Philharmoniker con la IX Sinfonia di Gustav Mahler. Ora tocca a Myung-Whun Chung, appena divenuto Direttore Ospite Principale della Staatskapelle di Dresda, riproporre lo stesso programma, come in un anello che torna al punto di partenza. La ciclicità, in Mahler, è del resto una cifra importante di continuità e di comprensione, che soltanto il tempo garantisce, sul lungo raggio; non a caso il compositore soleva ripetere “il mio tempo verrà”, perfettamente consapevole dell’inattualità della propria musica e della propria esistenza nel mondo austro-tedesco di fine Otto- e inizi Novecento. Al contrario – occorre esclamare – non c’è mai stato periodo più fortunato e mahlerianamente più reviviscente di quello attuale, anche in Italia: merito senza dubbio di interpreti come Claudio Abbado, che nei decenni hanno saputo educare il pubblico alla complessità delle sinfonie e alla misteriosa, divina bellezza che anima i loro giganteschi congegni. In ragione di tutto questo, il pubblico torinese accoglie con entusiasmo l’ingresso della gloriosa orchestra di Dresda e del direttore nato a Seul (il loro sodalizio è iniziato nel 2001), così come alla fine, dopo una lunga pausa di Chung con la bacchetta a mezz’aria a seguito dell’accordo estremo, sfoga la gioia e il piacere dell’ascolto in un applauso interminabile, e in acclamazioni ai singoli professori, all’insieme, a chi li dirige.
A memoria, con gli occhi chiusi, Chung attacca la sinfonia con una gestualità e uno spirito estremamente pacati; ma il suono è da subito screziato e robusto. Più che le filature in pianissimo il direttore predilige la ricerca dei colori, perseguita soprattutto grazie ai rintocchi dell’arpa e agli acuti di violini e viole nell’Andante comodo iniziale. Dal punto di vista strutturale, Chung esalta quei passaggi che accennano al ritmo di valzer, anche con effetti molto plateali, volutamente Kitsch, come per esempio il doppio colpo di piatti nel cuore del I movimento. Ma la dolcezza composta e struggente delle due arpe torna subito dopo protagonista, al pari del corno impeccabile. I blocchi contrapposti di ottoni/fiati versus archi incontrano un momento di perfetta fusione in corrispondenza degli acuti: a quel punto il suono si salda perfettamente, e rende ragione della stessa sonorità alta come circostanza in cui la realtà composita si armonizza. La metamorfosi percettiva cui il direttore sottopone i suoni, ut unum sint, è segno di una visione propriamente religiosa della musica mahleriana, che Chung conferma anche nel prosieguo dell’interpretazione. Sono rarissime le deroghe al tempo di partenza, rilassato, sempre ben sostenuto dal suono, quasi solenne. Nella coda del I movimento, dopo la fanfara di timpani e ottoni, si percepisce un leggero accelerando, di effetto straordinariamente drammatico; a conferma dell’impostazione sacrale-religiosa voluta dal direttore, le campane sortiscono un’epifania parsifaliana, che conduce l’Andante alla conclusione, sobriamente affidata al primo violino.
Im Tempo eines gemächlichen Ländlers. Etwas täppisch und sehr derb (Nel tempo di un tranquillo Ländler. Un po’ goffo e molto rude) è la complessa didascalia ritmica del II movimento, aperto dai tremuli dei tromboni e dei corni, al fine di suggerire il clima täppisch voluto da Mahler. Il direttore insiste su tale ricerca anche con accenti ritmici rimarcati, al limite della pesantezza; del resto, se nel I movimento archi e fiati contrapposti erano protagonisti, ora lo sono i fiati, con tutti i loro sberleffi grotteschi e un po’ circensi. L’esito cialtrone, da valzer o musica popolare di strapaese, aumenta nel finale, con un vorticoso accelerando del tempo (ed è per la prima volta). A dispetto dei tanti piccoli “numeri” solistici dei vari fiati, Chung riesce comunque a conservare una visione unitaria del discorso sinfonico, sintetica e compatta; l’analisi è spinta fino al punto in cui può essere utile ad arricchire il suono complessivo, ma non oltre, perché lo frammenterebbe.
Il tempo del Rondò. Burleske è staccato con velocità chiaramente differenziata rispetto a prima, molto più sostenuta; a un punto tale, che la resa delle singole peculiarità di scrittura, addirittura delle singole note, si perde un po’ nei glissando e nella pienezza orchestrale. Al sopraggiungere del tema conclusivo della sezione, però, tutto cambia, e l’intensità dell’esecuzione ritorna meditata e sofferta: straordinaria quella dei contrabbassi, che si sorridono con soddisfazione mentre sostengono l’apparato orchestrale (non è forse una Burleske, il punto di svolta della sinfonia?). Nella coda il gioco e lo scherzo scompaiono del tutto, sostituiti da una violenza amara e ribelle, che chiude il movimento con un’antitesi rispetto a come si era avviato.
Semplicemente Adagio, indica Mahler per il IV movimento, finale. Così intensi da rasentare il forte, e da costituire un formidabile pedale per tutta l’orchestra, i contrabbassi aprono nel segno del vigore, che è la caratura sonora dell’orchestra di Dresda: più che la trasparenza, la forza intensa (degli ottoni, com’è prevedibile, ma anche degli archi e dei fiati). Chung insiste poi sulla conversazione tra le sezioni, fino a quando non restano gli archi da soli, cui è affidato il compito di concludere. Il finale della IX è forse uno dei momenti più schiettamente mahleriani di tutte le sinfonie: un progressivo prepararsi al distacco, anzi una sorta di prolungato “addio” che inizia ben prima (il liederistico Andante di apertura riprende Abschied, Congedo, ossia il brano che suggella Das Lied von der Erde). Ma, quasi il discorso non riuscisse a venir meno, il direttore accentua i volumi orchestrali, con un’opzione che trasforma la conclusione in sciagura ineluttabile, in duello tra la musica – cioè la vita – e il nulla. Anziché predisporre serenamente la fine, Chung le va incontro di punta, perché conferisce all’arte sola la capacità di affermarsi, e un ineguagliabile potere di combattere contro il nulla. Soltanto nelle ultime battute, quando ormai unici superstiti sono gli archi, è il venir meno delle forze, della vitalità, in uno smorendo composto, subitaneo e comunque dignitoso. La lettura di Chung mette in luce la tenacia della musica di Mahler, netta fino a un passo dal nulla, al limitare del silenzio. Foto Juzzolino