Stagione lirica sassarese:”Falstaff”

Sassari, Ente Concerti Marialisa De Carolis, Teatro Comunale, Stagione Lirica 2013 
“FALSTAFF”
Commedia lirica in tre atti di Arrigo Boito, dalla commedia “The merry Wives of Windsor” e dal dramma “The History of Henry the Fourth” di William Shakespeare.Revisione sull´autografo della partitura a cura di Alberto Zedda con la collaborazione di Fausto Broussard. Casa Ricordi – Milano
Musica di Giuseppe Verdi
Sir John Falstaff  IVAN INVERARDI
Ford  FRANCESCO VERNA
Fenton FABRIZIO PAESANO
Dott. Cajus ANDREA GIOVANNINI
Bardolfo  ROBERTO JACHINI VIRGILI
Pistola CARMINE MONACO
Mrs. Alice Ford  SILVIA DALLA BENETTA
Nannetta  BARBARA BARGNESI
Mrs. Quickly ROMINA BOSCOLO
Mrs. Meg Page LARA ROTILI
Orchestra dell´Ente Concerti “Marialisa de Carolis”
Corale “Luigi Canepa” di Sassari
Direttore Matteo Beltrami
Maestro del Coro Luca Sirigu
Regia Marco Spada
Scene Benito Leonori
Costumi Alessandro Ciammarughi
Luci Fabio Rossi
Nuovo allestimento dell´Ente Concerti “Marialisa de Carolis”, in coproduzione con la Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi
Sassari, 11 ottobre 2013
La settantesima stagione lirica sassarese, organizzata dall’Ente Concerti Marialisa de Carolis, sfrutta per la propria ricorrenza una serie di anniversari coincidenti che fanno del 2013 una delle date topiche per la grande musica di questo inizio secolo. Naturalmente il bicentenario verdiano non può non fare la parte del leone e appare interessante inaugurare la stagione nel nuovo Teatro Comunale con Falstaff, ultimo capolavoro di un Verdi ottantenne ma artisticamente tutt’altro che senile.
Su Falstaff, opera sicuramente più stimata e studiata che ascoltata ed eseguita, incombe ovviamente il destino che tocca a tutti i testamenti artistici dei grandi ed è sicuramente encomiabile lo sforzo produttivo dell’Ente Concerti di cimentarsi con un’opera “difficile” nella realizzazione, nell’impatto col pubblico e nell’approccio interpretativo che non può non tenere conto delle numerose discontinuità della scrittura rispetto alla consueta tradizione ottocentesca del melodramma. In realtà tali discontinuità (non anomalie) sono meno lontane di quanto si pensi dalla fisiologica evoluzione del teatro musicale dell’epoca; ma non è certo questa la sede per addentrarsi in una materia spinosa come la collocazione di tale capolavoro nella storia. Sicuramente altrettanto spinosa è l’interpretazione e la realizzazione di un’opera che va a chiudere un ciclo artistico ineguagliabile e con cui Verdi compie uno sberleffo amaro nei confronti della vita, dell’arte e, soprattutto, di se stesso. Nel vorticoso e incantevole gioco di autocitazioni ironiche, rimandi ed echi scenico – musicali, difficile non rimanere meravigliati dall’energia esuberante di una partitura capace di coniugare tecnica magistrale ed espressione parlante, fresca inventiva e controllo assoluto della forma.
Nel Falstaff sassarese il progetto scenico di Marco Spada coglie alcuni di questi aspetti con un’ambientazione sobria ed essenziale: tutto è contenuto in una scatola neutra che delimiterebbe i locali di un teatro, con alcune aperture asimmetriche funzionali agli interventi secondari e alle entrate in scena dei personaggi. L’elegante struttura prospettica, disegnata da Benito Leonori, contiene nel corso dell’opera alcuni semplici elementi indicativi dei luoghi deputati per l’ambientazione (camerini, sartoria ecc.). In questo senso appare funzionale nel primo atto in particolare una sorta di consolle rotante, dall’aspetto vagamente sacrale, che sembra amplificare e rimandare la vanità del protagonista e che ritornerà in maniera un po’ didascalica nel finale ospitando la controfigura/alter ego dell’autore/personaggio. Bello l’inizio del terzo atto dove il naufragio dopo il tuffo nel Tamigi ben rappresenta lo stato d’animo dolente del protagonista, grazie anche al semplice e sapiente disegno luci di Fabio Rossi. Peccato che la regia non sviluppi effettivamente l’impostazione meta teatrale, che risulta spesso superficiale e superflua, lasciando talvolta irrisolti alcuni nodi della bella drammaturgia di Boito. I costumi di Alessandro Ciammarughi collocano la vicenda in un ambiente contemporaneo alla scrittura dell’opera, creando evidentemente un’ulteriore citazione nell’allestimento. L’effetto è interessante: l’aspetto tardo “dickensiano” dell’ambientazione è efficace nel trasferire i personaggi dalla solita caricatura a una rappresentazione maggiormente realistica e perfettamente connaturata alla vicenda.
Tuttavia la drammaturgia del Falstaff è anche, e soprattutto, musicale. Pochissime opere come questa dipendono strettamente dall’insieme, dalla perfezione degli incastri, dall’incalzante dialogo dinamico e coloristico tra buca e palcoscenico: il superamento pressoché totale di fatto del pezzo chiuso non consente infatti di risolvere tutto con la brillante riuscita vocale dell’aria celebre o di un duetto amoroso. Da questo punto di vista purtroppo i problemi sono stati evidenti: dai difficili concertati poliritmici del primo atto alla fuga finale sono stati numerosi gli scarti ritmici e le incertezze tra orchestra e palcoscenico. Al di là dei singoli incidenti era palpabile una tensione per l’insieme negli interpreti che ovviamente toglieva fluidità all’azione e sottigliezza dinamica e interpretativa alle linee vocali. Il direttore dell’esecuzione Matteo Beltrami ha mostrato una buona flessibilità agogica e una certa vivacità ritmica ma probabilmente la difficoltà dell’opera e le buone qualità dell’orchestra avrebbero meritato una concertazione più lunga e accurata negli insiemi e nelle calibrature dinamiche.
Pur con tali limiti nel cast spiccava su tutto il buon debutto nel ruolo principale del baritono Ivan Inverardi, capace di disegnare un personaggio mai grottesco ed eccessivo, più furfante e millantatore che crapulone, grazie a un canto declamato efficace ed espressivo nonostante un registro non molto esteso nel grave. Eccellente anche l’uso delle mezze voci che ha saputo dare varietà dinamica a una vocalità non particolarmente voluminosa. Il resto della compagnia ha mostrato complessivamente delle qualità interessanti. Su tutti la coppia Alice e Ford: Silvia Dalla Benetta e Francesco Verna hanno un’ottima tecnica vocale e un timbro naturalmente omogeneo e accattivante. Notevole il colore vocale e l’ampiezza degli armonici di Romina Boscolo, che ha ben tratteggiato il vivace personaggio di Quickly, assai apprezzata dal pubblico nonostante alcune disomogeneità del registro. Buona la prestazione della coppia d’innamorati Nannetta e Fenton, interpretati da Barbara Bargnesi e Fabrizio Paesano, e anche Lara Rotili, Andrea Giovannini, Roberto Jachini Virgili e Carmine Monaco hanno dato un contributo notevole all’allestimento, specialmente vista la struttura particolare di un’opera che, al di là delle gerarchie convenzionali, prevede in realtà un solo protagonista e un cast di “comprimari”: tutti però ugualmente impegnati a tratteggiare un’umanità vivace e ambigua, sorridente e infida, malinconica e sarcastica e, soprattutto, vera. Una citazione infine per la buona prestazione della Corale Canepa, ben preparata da Luca Sirigu, alle prese con un’opera scomoda per il tipo di scrittura, anche per i problemi di cui sopra, e che non gratifica mai il coro con la possibilità di una seppur minima espansione vocale. Successo, di stima, per tutti da parte di un pubblico abbastanza numeroso e attento. Foto Sebastiano Piras