Roma, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Auditorium Parco della Musica, Sala Santa Cecilia. Stagione da camera 2013-2014
Concerto dedicato alla memoria di Luciano Berio, a 10 anni dalla scomparsa
Pianoforte Andrea Lucchesini
Domenico Scarlatti: Sonata in re maggiore K 491 (Allegro); Sonata in sol maggiore K454 (Andante spiritoso); Sonata in fa minore K239 (Allegro); Sonata in la maggiore K342 (Allegro); Sonata in sol maggiore K146 (Allegro)
Luciano Berio: Six Encores: Brin, Leaf, Erdenklavier, Wasserklavier, Luftklavier, Feuerklavier.
Ludwig van Beethoven: Sonata in si bemolle maggiore op.106 “Hammerklavier”
Roma, 15 novembre 2013
Forse la pioggia forse la presenza di musica moderna nel programma della serata, la Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica si presenta punteggiata di decine di poltrone vuote. Ed è un vero peccato perché Andrea Lucchesini propone un modo nuovo di ascoltare musica a noi più vicina senza percepire l’urto con le grandi pagine della tradizione. Singolare perciò la scelta di creare un unicum sonoro senza soluzione di continuità tra cinque sonate di Scarlatti e quattro brani dei Six Encores di Berio. Quasi senza staccare le mani dalla tastiera, l’attacco del pezzo successivo avviene immediatamente e ci si stupisce di come in effetti non si percepisca la differenza tra una consonanza settecentesca e un impasto sonoro contemporaneo. E’ un modo nuovo per scoprire i Six Encores di Luciano Berio (circa 25 anni di lavorazione) e sin dai primi due brani, Brin e Leaf, lo stile del compositore ligure è riconoscibile. Fogli di musica di pochi minuti, virtuosistici, dolci, bruschi e secchi, melanconici e briosi. Wasserklavier dà inizio alla serie degli Encores dedicati ai quattro elementi (acqua aria terra fuoco), Erdenklavier sembra quello più ricco di trovate sperimentali con espliciti riferimenti all’op.19 di Schoenberg, Luftklavier virtuosistico nei ribattuti velocissimi, insieme a Feuerklavier, si mostra tra i più impegnativi per il pianista. L’ascolto 700 – 900 funziona benissimo, reso omogeno da un timbro chiaro, brillante e dalla capacità del pianista di tenere tutto in un carattere non espressivo, che se rende a meraviglia per il binomio Scarlatti/Berio, lascia un po’ perplessi per l’Hammerklavier. Nulla si può eccepire ai momenti cantabili dell’Adagio e del Largo ma laddove si auspica il grande gesto, laddove Beethoven rivendica la sua densità di pensiero, quando ci si deve librare verso le alte vette della poesia per affermare la differenza tra un buon pianista ed un interprete, allora sembra crearsi un vuoto di emozione. Eppure il pubblico apprezza Lucchesini e gli perdona (o forse non se ne accorge?) alcune durezze, certi passaggi tecnici un po’ troppo scolastici e lo richiama calorosamente per i bis per ottenere un ulteriore momento di esecuzione, perché certo di questo si tratta! Ed anche la scelta del bis (Chopin Schubert) conferma la preferenza dell’artista per quello che ritiene essere, e giustamente, il suo punto di forza: timbro scarno e preciso, suono limpido e brillante alla Marcelle Meyer o alla Maria Tipo (di cui Lucchesini è stato allievo) ed esecuzione compìta.