Ferdinando Paer (1771-1839): “Leonora, ossia l’amor coniugale”

Dramma semiserio in due atti, libretto di Giovanni Schmidt da Jean-Nicolas Boully. Siegfried Jerusalem (Florestano), Ursula Koszut (Leonora), Giorgio Tadeo (Rocco), Edita Gruberova (Marcellina), Wolfgang Brendel (Giacchino), Norberth Orth (Don Pizzarro), John van Kesteren (Don Fernando).Bayerisches Symphonieorchester, direttore: Peter Maag (registrazione: Monaco, Herkulessaal, 26 giugno/3 luglio 1978), 2 CD Decca – Eloquence 2013, 480 4859 
Nell’odierno panorama discografico, spesso fin troppo scontato nelle scelte di repertorio,
merita un giusto riconoscimento l’iniziativa della Decca di riproporre in cd – e con un’ottima qualità di riversamento – l’unica edizione discografica di “Leonora ossia l’amor coniugale” del compositore parmense Ferdinando Paer.
Composta per Dresda nel 1804 l’opera – su libretto di Giovanni Schmidt – è tratta dalla medesima pièce di Jean-Nicolas Bouilly “Léonore ou l’amour conjugal” che servirà a Beethoven per il suo “Fidelio”. Ovviamente l’opera di Paer non è confrontabile con il capolavoro beethoveniano ma questo non toglie merito ad una partitura magari non originalissima ma decisamente godibile sul piano musicale e decisamente funzionale su quello drammaturgico che – analogamente al “Fidelio” – segue fedelmente il modello in prosa permettendo di seguire agevolmente la vicenda anche ad un primo ascolto dell’opera.
L’opera di Paer si inserisce in quel genere semiserio delle “piecès à sauvetage” particolarmente di moda al passaggio fra XVIII e XIX secolo di cui rappresenta un interessante esempio nella riuscita fusione di elementi comici e patetici che rappresenta sempre la maggior difficoltà del genere. La scrittura musicale non mostra particolare originalità e sono evidente le influenze sul compositore di Mozart e Haydn specie nel trattamento delle voci, questo non toglie però che la partitura sia nel complesso assolutamente godibile e ricca di momenti riusciti. Pur nella tradizionalità dell’impianto si avvertono le suggestioni dei tempi nuovi con l’emergere di una sensibilità ormai preromantica – la grande scena di Florestano all’inizio del II atto – nonché di alcune soluzioni armoniche che anticipano quelle usate da Beethoven nei medesimi punti (che verosimilmente conosceva l’opera di Paer).
L’edizione proposta permette di farsi un’idea sufficientemente precisa. Merito principale della riuscita spetta alla direzione di Peter Maag, brillante e piena di vitalità cui contribuisce non poco l’alto livello garantito dalla Bayerisches Symphoniorchester capace di rendere al meglio le contrastanti atmosfere richieste dalla partitura. Sul piano vocale il cast appare diseguale nell’insieme ma complessivamente fornisce un’interpretazione attendibile dell’opera. Nell’impervio ruolo della protagonista – la cui scrittura vocale ricorda da presso le parti più drammatiche del repertorio mozartiano – troviamo Ursula Koszut soprano polacco dotato di buoni mezzi vocali. La voce è di buon corpo, specie nella sezione centrale spesso sollecitata, godibile per timbro e colore; l’agilità è discreta mentre un certo sforzo si nota nel settore acuto dove i suoni tendono a diventare metallici. Ad un orecchio italiano risultano evidenti certe imprecisioni di dizione, specie nei recitativi, per altro condivise da quasi tutto il cast. Colto al meglio dei propri mezzi vocali, prima che l’intensa attività del repertorio wagneriano appesantisse una voce per sua natura più lirica che drammatica, Siegfrid Jerusalem è uno splendido Florestano. Voce di bellissimo colore, luminosa e compatta in tutta la linea, perfetta per esaltare una scrittura non priva di piglio eroico ma di un eroismo ancora di pretta matrice mozartiana seppur velato da inquietudini protoromantiche, sicura nei centri e squillante in acuto. Anche nel suo caso si evidenzia qualche difficoltà di pronuncia ma sul piano del canto la prova è pienamente convincente.
Su un altissimo livello si pongono anche i personaggi leggeri. La coppia Marcellina – Giacchino trova in Edita Gruberová e Wolfgang Brendel due interpreti semplicemente ideali. Presa al culmine della propria parabola vocale la Gruberová è di una perfezione strumentale in cui si fondono un timbro di cristallina purezza ed una facilità assoluta anche nei passaggi più ardui del settore acuto, sul piano espressivo si può forse ritrovare una certa leziosità ma la prova di canto è altissima. Brendel è meno soggiogante come cantante – pur disponendo di una bella voce di baritono lirico e di un’ottima linea di canto – ma mostra grande spessore espressivo nel donare a Giacchino una schiettezza popolana di grande freschezza. I loro duetti dal sapore tutto mozartiano sono fra i momenti più riusciti dell’incisione. Giorgio Tadeo è un Rocco di buon rilievo tanto sul piano vocale – dove sfoggia una voce di bel colore, da autentico basso-cantante – sia su quello espressivo dove coglie molto bene l’umanità popolana e profonda del carceriere.