La manipolazione architettonica dei corpi

Reggio Emilia, Teatro Valli, Stagione di Danza 2013/2014
“ATOMOS”
ideazione, direzione e scene Wayne McGregor
Coreografia Wayne McGregor e compagnia Random Dance:
Catarina Carvalho, Travis Clausen-Knight, Alvaro Dule, Michael-John Harper, Louis McMiller, Daniela Neugebauer, Anna Nowak, James Pett, Fukiko Takase, Jessica Wright.
Musica A Winged Victory For The Sullen
Disegno luci Lucy Carter
video Ravi Deepres
costumi Studio XO
Reggio Emilia, 15 novembre 2013

Un cono di luce è una lente d’ingrandimento se rivela qualcosa che la vista non può (potrebbe mai) vedere, né la ragione sa (saprebbe mai) dimostrare. Qualcosa accade, diviene e si mostra per la sua singolarità che, nel movimento e nell’insieme, diviene pluralità, perciò significato. Siamo come osservatori che guardano ammirati attraverso un microscopio quello che avviene per natura, ma non possiamo vedere: il formarsi di un pensiero. Che vediamo quello che scaturisce dai gesti (atomi), ciò che dà vita alle azioni (molecole), cioè coreografie che sono cognizioni del mondo percepito.
Per Atomos, per la messa in scena dei suoi “pensieri coreografici” McGregor si è avvalso di un software (Becoming), un dispositivo in grado di catturare le movenze dei suoi ballerini e di trasformarle in sculture 3D visibili su schermo; su quei cinque schermi apparsi sopra il palco. E poi c’è la musica, dopo la luce e il gesto. Diciamo: suoni monotòni, come atomizzati. Anche questi concepiti per farci esplorare tra le nostre percezioni visive. Infatti McGregor ha rilasciato in un’intervista di aver voluto isolare (atomizzare): gesti, scene e suoni per farne cogliere la singolarità, la loro indivisibilità come intendevano l’atomo al tempo di Democrito ed Epicuro, indivisibile.
Infine, i costumi, come tute tecnologiche, con quei tratti di colore nelle maniche come se fossero bracci molecolari, qui col compito di comporre il continuo divenire coreografico, per esempio nell’atto di sollevare una gamba in attitude. Infatti il braccio è protagonista, lo si nota al punto in cui i ballerini ripetono due volte la disposizione in riga: dieci maschi e femmine, alternati e frontali. Le braccia dapprima distese in diagonale verso il basso, incrociate lievemente l’una con quella dell’altro, e così il piede: come nell’onda espressa dalle ballerine-cigno, ne “Il lago dei cigni”. Poi, abbracciati e subito giù a corpo flesso e braccio teso in avanti che cambia posizione sventagliando da un estremo all’altro, indicando la platea. Sembrano il “Christ Unlimited” di Herman Makkink, la famosa scultura dei gesucristi, scesi dalla croce, lucidi di ceramica ma sanguinanti e fatti danzare a suon di montaggio nel film “Arancia Meccanica”.
E scendono dal cielo cinque monitor mentre indossiamo gli occhialini 3D (consegnati all’ingresso). Vi scorgiamo colori che sfumano nella direzione del gesto; sciami di insetti che nel palco si riproducono, nelle movenze dei danzatori, e poi svaniscono lasciando lo spazio a vampate di fuoco e a immagini sfocate di paesaggi lontani. E arriva il gesto, cioè ritorna. Solo questo appare sforare da essi e protrarsi. La danza monotòna continua solo sugli schermi fino a dissolversi in un altro sciame, questa volta di numeri. Che ora cadono, ora strisciano in stringhe infinite di codice (Matrix). Allora i ballerini ritornano ma si fermano a declamarci qualcosa che sembra detta al contrario, un suono monovocalico. Le loro voci sono appena udibili. Infine appare in quinta un grande braccio meccanico, orizzontale, con un neon rosso che sale, come se fosse lo scanner che deve memorizzare ogni cosa che accade e fermarla. Quindi i ballerini si riuniscono tutti in cerchio in una spirale verso l’alto: un ingranaggio di carillon. Forse è proprio questo: il voler comunicare in qualche modo un pensiero, usare un linguaggio di immagini e di suoni; un intento creativo che parte dalla sua funzione emotiva, passa per quella fàtica e metalinguistica e arriva a quella conativa.
La nostra reazione, alla fine, è stata d’incanto. Per aver assistito a uno spettacolo ricco di significati, bello nell’armonia, giustamente drammatico nel suono: di quelli che ti fermano sulla sedia a luci accese a pensarci su e a parlarne con chi ti è stato seduto accanto.  Uno spettacolo che il Guardian ha definito: “simply extraordinary… McGregor’s choreographic curiosity hasn’t lost its power to thrill” e l’Observer: “thrilling flights of grandeur and lyricism”.Foto Ravi Deepres
Video ufficiale della performance