Philadelphia Opera, FringeART, Stagione Lirica 2013 /2014
“SVADBA-WEDDING”
Testo e musica di Ana Sokolović
Milica JACQUELINE WOODLEY
Danica SHANNON MERCER
Lena LAURA ALBINO
Zora VIRGINIA HATFIELD
Nada ANDREA LUDWIG
Ljubica KRISZTINA SZABÓ
Direttore Dáirine Ní Mheadhra
Regia Marie-Josée Chartier
Scene e costumi Michael Gianfrancesco
Luci Kimberly Purtell
Philadelphia, 3 novembre 2013
Dalle scene più “alternative” di Brooklyn, Toronto e Philadelphia, si assiste a un grande fermento creativo fra i giovani compositori americani su “..la più costosa e meno funzionale delle forme d’arte”: l’opera. Le maggiori istituzioni teatrali sostengono gli sforzi di dar nuova vita ad una “vecchia” forma d’arte e di affiancare un pubblico nuovo e giovane ai “soliti vecchi affezionati”. Teatri come il Met con la sua Two Boys offrono le produzioni di alto profilo, ma è dalle compagnie indipendenti che arrivano i più interessanti stimoli creativi che cercano di di creare quell’alchimia musicale che trasforma i suoni e le storie del presente in quell’eccitante sintesi conosciuta con il nome di opera.
Ma da dove viene quell’alchimia? La compositrice Ana Sokolović cerca di distillarla dalle sue origini serbe, utilizzando non solo lo stile vocale della sua cultura di provenienza, ma anche, in Svadba-Wedding, le sue tradizioni popolari. In questo caso, un rituale femminile, la festa prima delle nozze che per tradizione si svolge la notte che precede il matrimonio balcanico, quando le amiche della sposa la preparano per il rito imminente, lavandola, acconciandole i capelli, vestendola. Il tutto tra riflessioni, chiacchiere e giochi.
Il Philadelphia Opera, in cooperazione con FringeArt, ha riproposto con poche varianti questa produzione, commissionata e prodotta in Canada nel 2011, al Queen of Puddings Musical Theater di Toronto, nel ristrutturato piccolo spazio teatrale di FringeArt. Una location ideale per un ensamble “a cappella” di sei donne: tre voci acute e tre gravi, impegnate in una pièce in sette quadri di circa 90′. Diretta dal M° Dáirine Ní Mheadhra da un posto in platea, la musica si allena alla struttura e si sviluppa in brevi sezioni stilisticamente diverse. Complessa e ottimamente costruita, la composizione della Sukolovic alterna parti dialogiche ritmicamente decostruite, armonie modali a tema e dei motivi monodici incalzanti. L’opera si apre con il penetrante stile di canto “chiamato” che si rifà alla tradizione del Nord della Serbia di chiamare qualcuno dall’alto delle colline. Le soliste cantano le armonie modali con un’intonazione straordinaria, chiarezza rimarchevole e accentuazione ritmica e testuale. La Sokolović decostruisce il testo serbo usando scatti sillabici ripetuti ritmicamente e consonanti occlusive slave per rappresentare in maniera efficace l’energia e l’eccitazione talvolta comica delle ragazze. Almeno per chi non è di origine serba, il linguaggio è utilizzato ed eseguito ottimamente sia dalla compositrice, che dall’ensemble. Il canto armonizzato si alterna a quest’uso sapiente della parola in sezioni modali cariche di dissonanze seguendo una direzione precisa, anche se non propriamente risolutiva. Il terzo elemento compositivo è un canto che sembra volere rifarsi al gregoriano e quindi affrontare il lato religioso di quello che sarà il matrimonio. Non a caso la Sokolović sviluppa l’ultima scena su una toccante aria della Sposa che si sviluppa in un potente corale.
Lo stile vocale, come già accennato, ricorda anche le antiche tradizioni sia del nord che del sud della Serbia. Al penetrante richiamo del nord, si alternano trilli e i “gorgheggi orientali” (come ha affermato la compositrice durante un’intervista alla radio) di derivazione bizantina, del Sud del Paese. L’emissione vocale si presenta con un limitatissimo uso del vibrato, in uno stile musicale tipicamente “antico”. La compositrice nella stessa intervista associa questi trilli a quelli di Monteverdi, il quale secondo lei potrebbe averli presi dalla stessa fonte. E forse dovremmo guardare a questo grande operista, per comprendere l’essenza di questo lavoro moderno.
In Monteverdi l’essenza è la voce, ma non solo la voce narrante, ma una voce unica e identificabile di un personaggio ben distinto. Il dramma e le emozioni presenti in queste voci è ciò che distingue l’opera dalle altre forme artistiche che interessano il canto. Monteverdi diede inizio alla progressiva affermazione della individualità musicale rispetto alla collettività. La maggior parte degli elementi di Svadba-Wedding sembra puntare nella direzione opposta. I preparativi sono tutti finalizzati ad aiutare la Sposa a lasciare le sue amiche e la sua vita individuale per partecipare ad un rito. E che cos’è il matrimonio se non la celebrazione della sopravvivenza della “tribù” attraverso la procreazione? Come sembra suggerire l’unica aria finale della Sposa, questa festa matrimoniale è un’osservazione dell’aggregazione dell’individuale nel collettivo. E’ l’opposto del genere musicale nato nella Firenze del XVII° secolo in cui l’individuo emerge dalla massa. In contrasto con Orfeo, che vuole compiere l’impresa di riportare Euridice fuori dal regno dei morti, questa Sposa sembra lasciare il mondo dei vivi per un mondo ignoto. Superbamente eseguita dalle sei cantanti e realizzata in modo suggestivo dalla regista Marie-Josée Chartier, grazie anche ai costumi semplici, ma ben caratterizzati di Michael Gianfrancesco e all’efficace gioco di luci di Kimberly Putell, quest’opera è comunque qualcosa in più di una cantata laica (non un’Opera secondo il concetto tradizionale del termine): una apprezzata meditazione femminile su una delle istituzioni centrali della società umana.