Verona, Teatro Ristori, Società Amici della Musica. 104a Stagione Concertistica
Quartetto d’archi della Scala
Violini Francesco Manara, Duccio Beluffi
Viola Simonide Braconi
Violoncello Massimo Polidori
Giacomo Puccini: “Crisantemi”, elegia per quartetto d’archi
Giuseppe Verdi: Quartetto in Mi minore
Anton Webern: “Langsamer Satz”
Ludwig van Beethoven: Grande Fuga in Si bemolle maggiore Op. 133
Verona, 7 Novembre 2013
Il terzo appuntamento della rassegna concertistica degli Amici della Musica di Verona vede protagonista il quartetto d’archi composto dalle prima parti dell’orchestra del Teatro alla Scala di Milano. In programma, a voler sottolineare la “culla” teatrale e operistica della formazione, i lavori per quartetto di Puccini e Verdi. Poi il giovanile Langsamer Satz di Weber e la Grande Fuga Op. 133 di Beethoven. Fin dalle prime note di Crisantemi di Puccini, è evidente l’impronta “scaligera” nella precisione intonativa e di incastro ritmico dei quattro esecutori. Il brano, composto in memoria del Duca d’Aosta Amedeo di Savoia in una forma tripartita A-B-A presenta due spunti tematici mesti ma al contempo lirici e drammatici che saranno poi utilizzati da Puccini per l’atto finale della sua Manon Lescaut.
“Ho scritto proprio nei momenti d’ozio un quartetto. L’ho fatto eseguire una sera in casa mia senza dargli la minima importanza. Se il quartetto sia bello o brutto non so… so però che è un quartetto!”. Così Verdi scrive riguardo il suo quartetto d’archi in Mi minore, scritto durante il periodo di distacco dalla composizione operistica che ebbe luogo tra il 1881 e il 1887. Il carattere verdiano e caratterizzato tipicamente operistico è riscontrabile anche nel quartetto, cui però si aggiungono marcati spunti contrappuntistici quasi a voler rivendicare un’eredità risalente alla tradizione palestriniana. Nonostante le parole di Verdi, la stesura del quartetto è tutt’altro che disinteressata ma al contrario estremamente meditata e soppesata nelle scelte di scrittura, mirabilmente messe in luce dagli interpreti scaligeri, tecnicamente sempre inappuntabili. Dal punto di vista cameristico ci potrebbe essere forse più dialogo tra le parti, ed in questo si evince ancor maggiormente l’impronta orchestrale nell’attitudine dei musicisti: ciascun componente del quartetto si mostra più intento nella perfetta resa del proprio apporto individuale, forse a discapito della ricerca di un intento musicale comune. Al di là di tale considerazione il risultato musicale è di livello altissimo, ed è apprezzato dal folto pubblico presente al Teatro Ristori con molti applausi. Dopo l’intervallo è il momento del giovanile Langsamer Satz, “Movimento lento” per quartetto d’archi di Anton Webern, breve composizione di carattere tardo romantico assimilabile al poema sinfonico “Im Sommerwind” in cui è apprezzabile la bellezza di suono degli esecutori. In particolare suono di Manara è sempre elegante e mai forzato, straordinariamente ricco di sfumature che hanno raramente spazio nel repertorio orchestrale ma che risultano particolarmente apprezzabili in quello cameristico. Buona presenza anche per il “nuovo” secondo violino Duccio Beluffi, la cui generosità nelle sonorità non è tuttavia ancora totalmente amalgamata al suono della formazione rischiando talvolta di coprire il primo violino. Raffinati e precisi la viola e il violoncello di Braconi e Polidori, suoni caldi e ben amalgamati tra loro a creare la solidissima base dell’ensemble.
Conclude il programma la monumentale Große Fuge Op. 133 di Beethoven, apice del percorso di ricerca compositiva del genio di Bonn e composto quando egli era ormai totalmente sordo. La celebre estrema difficoltà della pagina è dovuta ai repentini cambi di tonalità che si susseguono per tutta la durata della contrappuntistica trama della fuga dando luogo a molte dissonanze, che rendono al loro volta impervio il brano dal punto di vista dell’intonazione delle parti. Tanto difficile risultò l’esecuzione di quanto scritto da Beethoven che, al momento della pubblicazione del quartetto in cui era contenuta, gli editori dovettero fare molte pressioni per ottenere dal maestro un finale alternativo.
Il quartetto d’archi della Scala si approccia alla composizione con grande sicurezza e dà il meglio di sé confezionandone un’esecuzione rifinita in ogni dettaglio, degna di particolare plauso è la sezione lirica centrale, e non tralasciando di evidenziare ogni spunto tematico nell’intricato gioco contrappuntistico, andando a rendere pienamente giustizia a ciò che Igor Stravinsky definì: “Il perfetto miracolo di tutta la musica. Senza essere datata, né storicamente connotata entro i confini stilistici dell’epoca in cui fu composta, anche soltanto nel ritmo, è una composizione più sapiente e più raffinata di qualsiasi musica ideata durante il mio secolo, […] musica contemporanea che rimarrà contemporanea per sempre”.
Calorosissimi applausi per Manara, Beluffi, Braconi e Polidori che regalano all’uditorio un arrangiamento per quartetto d’archi da Rigoletto come bis, riscuotendo ancora una volta consensi vivissimi. Foto Brenzoni