Pappano e Radu Lupu all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia

Roma, Auditorium “Parco della Musica”, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, stagione 2013-2014
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore Antonio Pappano
Pianoforte Radu Lupu
Benjamin Britten: Sinfonia da Requiem op. 20 per orchestra
Wolfgang Amadeus Mozart: Concerto in la maggiore per pianoforte e orchestra n. 23 K 488
Johannes Brahms: Sinfonia n. 1 in do minore op. 68
Roma, 14 dicembre 2013  
La prima parte della stagione sinfonica corrente all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia non poteva concludersi meglio: l’ultimo concerto del 2013 viene infatti affidato alla direzione di Sir Antonio Pappano e all’(in)sostenibile leggerezza pianistica – per dirla alla Kundera! – di Radu Lupu. Il programma, assai variegato, si apre con un pezzo alquanto raro di Benjamin Britten, la Sinfonia da Requiem op. 20, tal che Pappano sente l’esigenza – con la sua solita, divulgativa parlantina dal delizioso accento british – di raccontarne la genesi, la struttura e i messaggi fondamentali a tutto il pubblico in sala: parla, dunque, di un Britten fortemente pacifista e del pezzo (la cui prima esecuzione s’ebbe a New York, il 30-03-1941, sotto la bacchetta di Sir John Barbirolli), pura espressione poetica di una condanna indefessa degli orrori bellici. La piccola sinfonia, dal sapore mahleriano, è eseguita meravigliosamente: Pappano riesce a gestire un materiale orchestrale non semplice, fatto di giustapposizioni di piccoli gruppi di strumenti (si ascolti l’edenica evocazione della pace, con archi, arpa e flauti, nella sezione del Requiem aeternam) a una massa orchestrale potente e articolata (il fortissimo uso dei timpani; la sfrenata danse macabre, con quegli archi satanici, del Dies irae).
A seguite, l’entrata in scena di Radu Lupu. Un momento tra i più singolari cui mi sia mai capitato di assistere: Lupu è un pianista dal physic du rôle socratico e dal gusto dionisiaco. Un vero coup de théâtre la sua entrata dimessa, il suo sedersi su una sedia di velluto beige – al posto del più classico e composto sgabello –, come se stesse fra amici: raramente lancia un occhio al pubblico e schivo, ritroso, guarda di tanto in tanto Pappano e l’orchestra. Il Concerto K 488 Lupu l’aveva già eseguito all’Accademia nel 2009, sotto la direzione di Nagano: l’avevano preceduto, eseguendo questo concerto dal sapore insolitamente intimistico, melanconico, sublimemente delicato, celebri pianisti come Arthur Rubinstein, Arturo Benedetti Michelangeli e Maurizio Pollini. Lo stile di Radu Lupu non può lasciare indifferenti, che lo si ami o lo si odi: un’interpretazione personalissima pervade tutta l’esecuzione. Il suo Mozart è pacatissimo, graziosamente sofferto, tutto sul tocco, usando poco o nulla i pedali; pare leggere le frasi di prim’acchito, invece di mostrare come intende suonarle; un Mozart non, al solito, apollineo, ma insolitamente dionisiaco, appunto, non scevro da qualche sbaffo. Ma il pubblico romano, al termine della performance, gli tributa un applauso calorosissimo: in una sala gremita e tripudiante, mentre lui accoglie i ringraziamenti quasi di malavoglia, una ragazza bellissima si alza dalla platea, si avvicina al palco e gli regala una rosa rossa, strappandogli un raro sorriso sul volto. Dopo diversi minuti di applausi, concede in regalo il trasognato andante (II tempo) della Sonata (facile) 16 K 545. Altri applausi lo accompagnano, quasi indifferente, all’uscita laterale.
Dopo l’intervallo, ecco il turno del pezzo forte per Pappano, la Prima sinfonia di Brahms, quella che Hans von Bülow non esitò a appellare “La Decima”. «La sinfonia di Brahms ha una straordinaria ricchezza di materiale tematico, compie percorsi armonici complessi e tortuosi e la grande tensione drammatica del suo primo movimento e dell’ultimo s’interrompe in quelli centrali, che sono degli intermezzi lirici, più severo il primo, più aggraziato il secondo, ma entrambi rassegnati, elegiaci, autunnali» (Mauro Mariani, dal programma di sala). La direzione di Pappano, al solito attenta, tesa, drammatica, in questo panico affresco di notevoli proporzioni, è sembrata azzeccata, pertinente, anzi crescere d’intensità, in una climax emotiva, fino al termine. Difficilmente l’Accademia di Santa Cecilia avrebbe potuto sperare di chiudere meglio, in bellezza, quest’ulteriore anno, il 2013, in cui – non senza qualche defezione – ha regalato ottimi interpreti e ottima musica.