Gaetano Donizetti (1797-1848):”Belisario”

Tragedia Lirica in tre atti su libretto di Salvatore Cammarano. Alastair Miles (Giustiniano), Nicola Alaimo (Belisario), Joyce El-Khoury (Antonina), Camilla Roberts (Irene), Russell Thomas (Alamiro), Julia Sporsén (Eudora), Peter Hoare (Eutropio), Edward Price (Eusebio), Michael Bundy (Ottario), Darren Jeffrey (Un centurione). BBC Singers. Renato Belsadonna (M° del Coro), BBC Symphony Orchestra, Sir Mark Elder (direttore). Registrazione: Londra, BBC Maida Vale Studios, ottobre 2012.  2 CD Opera Rara ORC49
Parte prima “Il Trionfo” Parte seconda “L’Esilio”Parte terza “La Morte”

“Belisario” è opera fra le più sfuggenti di Donizetti ma al contempo fra le più stimolanti per l’inestricabile fusione di elementi eterogenei. Andata in scena nel 1836 a Venezia, pochi mesi dopo il trionfo napoletano di “Lucia di Lammermoor” quest’opera – su libretto di Salvatore Cammarano da un dramma di Eduard von Schenk – non potrebbe esserne più lontana per impostazione ed atmosfera. “Lucia di Lammermoor” è l’incarnazione più compiuta del gusto romantico che si andava affermando anche in Italia mentre “Belisario” se ne allontana coscientemente in una fusione insolita e affascinante di richiami al passato e aperture inattese verso il futuro ma quanto mai dissimile dal gusto dominante del tempo il che dopo il trionfale debutto e i successi iniziali una rapida scomparsa dai palcoscenici già evidente alla metà del secolo.
La cupa leggenda di Belisario ingiustamente accusato dalla moglie infedele, accecato e costretto a vivere di elemosine per quanto apocrifa – il primo accenno compare per altro in forma dubitativa nel XI secolo ad opera di Giovanni Tzetze – godeva al tempo di grande fortuna e soprattutto forniva una serie di elementi ideale per un’opera seria di impianto tragico secondo un gusto ancora neoclassico. La drammaturgia dell’opera donizettiana appare in questo senso pienamente ancora in quella tradizione di tragedia lirica all’antica che si era sviluppata dall’opera seria riformata di stampo gluckliano e che aveva raggiunto l’apice con Cherubini e Spontini. L’intera struttura dell’opera è intessuta di precisi richiami alla tragedia classica, specialmente ad Eschilo e al mito di Edipo cui rimandano molti degli snodi centrali della vicenda – la profezia sul figlio apportatore di sventure, la violazione dell’ordine di uccisione, l’incontro fatale con il padre – nella costruzione di alcuni personaggi, è fin troppo facile riconoscere in Irene una trasposizione di Antigone, ma soprattutto quel senso di ineluttabilità del destino, si vorrebbe dire della volontà degli Dei se non fosse la vicenda traslata in un contesto cristiano, che incombe implacabile su tutti i personaggi della vicenda.
Ma questo schema apparentemente datato si apre a soluzioni di inattesa modernità quasi profetiche di futuri sviluppi. L’elemento più evidente è il superamento delle costruzioni per pezzi chiusi rigidi e la loro sostituzione con quelle che Verdi chiamerà “scene”, blocchi teatrali in cui i singoli elementi si integrano in una costruzione più ampia. Il protagonista non ha un’aria solista ma propria per la sua centralità drammaturgica agisce sempre in relazione agli altri personaggi e nell’insieme i pezzi chiusi di forma tradizionale sono ben pochi – i duetti Belisario-Alamiro e Belisario-Irene, il finale del I atto e la grande scena di Alamiro all’inizio del II – tutti gli altri sono profondamente alterati in modo da fondersi in modo molto più organico con la struttura drammaturgica complessiva si vedano al riguardo la cavatina di Antonina che naturalmente scivola in un duetto con Eutropio perdendo la sua natura di momento solistico o quella di Irene di fatto fusa nella grande scena corale di apertura.
La figura del protagonista si presenta poi in modo atipico rispetto alla drammaturgia più in voga al tempo. La totale esclusione della componente sentimentale, la centralità del ruolo paterno, del tragico non detto che questo comporta – la presunta morte di Alessi – e del suo rapporto con la sfera pubblica fanno di Belisario forse il personaggio più verdiano di Donizetti. Anticipazioni verdiane che si possono ravvisare anche in alcune soluzioni musicali come attestano ad esempio le somiglianze fra il racconto della profezia dell’eremita fatto da Belisario e l’apparizione di Leone nell’”Attila”.
Merito quindi dell’Opera Rara di rendere finalmente disponibile un’edizione musicalmente attendibile di questo titolo eseguita integralmente e secondo la recente revisione critica. Alla guida della BBC Symphony Orchestra troviamo per l’occasione un direttore di grande esperienza come Mark Elder. Sfruttando le possibilità di un’orchestra di livello decisamente alto il direttore opta per sonorità luminose e brillanti di sapore spesso marziale ma capace anche di ritrovare la giusta emotività introspettiva nei momenti più lirico e sofferti. Buona anche la prova offerta dal coro dei BBC Singers diretti da Renato Balsadonna che fornisce un buon contributo alla riuscita complessiva della registrazione specie considerando la rilevanza che hanno in quest’opera gli interventi corali.
Autentico punto di forza della produzione si rivela Nicola Alaimo nei panni del protagonista. Parte composta in un momento di formazione e definizione della vocalità baritonale, ancora priva di quelle repentine salite in acuto che caratterizzeranno i ruoli verdiani, risulta ideale per tessitura e stile alla vocalità del baritono siciliano che negli anni si è spesso cimentato con le tessiture ancora ibride di molti ruoli rossiniani. Quella proposta è una lettura di grande intensità, in cui l’ottima tecnica e la grande proprietà stilistica sono sempre poste al servizio di un fraseggio di non comune ricchezza capace di scavare fino alle fibre più recondite di un personaggio con cui Alaimo ha trovato una piena sintonia. Dalla dolente umanità del duetto con Irene all’autorità quasi sacrale con cui il vecchio generale ormai cieco e decaduto si rivolge ancora alle truppe prima della battaglia fatale non vi è un aspetto del personaggio – pur così complesso – a non venir attentamente evidenziato dall’interprete.
Di fronte alla non comune prova d’artista offerta da Alaimo gli altri interpreti risultano meno ispirati pur assestandosi su un livello complessivo più che rimarchevole. Poco nota al pubblico italiano Joyce El-Khoury si impone nei panni di Antonina, la moglie doppiamente traditrice di Belisario. Il soprano canadese – ma di origini libanesi – dispone di mezzi vocali rilevanti, la voce è di autentico soprano drammatico dotato di una cavata ampia e sontuosa mentre il timbro ombreggiato da suggestive bruniture nel settore medio-grave è perfetto per un personaggio maturo e tormentato come Antonina. Pur non essendo un’autentica belcantista i passi di coloratura sono svolti con buona facilità mentre il settore acuto, raggiunto con buona facilità quando la linea sale progressivamente, mostra qualche durezza nei passaggi di forza; qualche difficoltà nell’impervio finale testimonia un limitato lavoro di post-produzione e una verità esecutiva che deve essere apprezzata anche a costo di qualche piccola imprecisione.
Sul piano espressivo la El-Khoury evita la tentazione di ridurre Antonina ad un’Erinni esaltata per costruire un personaggio più complesso ed umano e se nella scena del trionfo trova accenti di sprezzante ferocia di sapore quasi genceriano mentre nel III atto riesce ad evidenziarne il sincero, doloroso pentimento.
Altra piacevole rivelazione il tenore statunitense Russell Thomas nei panni di Alamiro, il guerriero goto che si rivelerà essere in realtà il figlio di Belisario creduto morto. Voce luminosa e squillante anche se di timbro a tratti metallico, buone proprietà stilistiche e di fraseggio affronta l’impervia parte con giovanile baldanza e giunto al cimento di “Trema Bisanzio” – una sorta di “Pira” donizettiana – lo supera con slancio e convinzione. Un giovane artista da seguire con grande interesse. La parte di Irene viene giustamente affidata ad un soprano la cui timbrica vocale è sicuramente più congeniale alla natura giovanile e patetica del personaggio. Camilla Roberts canta con proprietà e nei momenti più lirici trova accenti di autentica commozione in oltre il timbro chiaro e luminoso si addice perfettamente al ruolo, qualche difficoltà si riscontra invece nell’aria di sortita e più in generale nelle sortite in acuto dove la voce tende a risultare ingolata. La voce di Alastair Miles – l’imperatore Giustiniano – appare molto invecchiata e tende a diventare fibrosa nel settore medio-acuto ed il pur curato fraseggio non basta supplire l’assenza di quel naturale carisma vocale che ci si immagina per l’Imperatore. La parte è breve e la buona musicalità gli permette comunque di contribuire alla buona riuscita dei pezzi d’assieme. Di buona linea di canto ma dal timbro decisamente ingrato l’Eutropio di Peter Hoare e buone le numerose parti di fianco fra cui il centurione di Darren Jeffery cui nel finale dell’opera è affidato il ruolo del corifeo chiamato a narrare – come nella tragedia classica – la tragedia compiuta fuori scena.