Roma, Teatro dell’Opera di Roma, Stagione di Opere e Balletti 2013-2014
“IL LAGO DEI CIGNI”
Balletto in due atti
Musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij
Coreografia e messa in scena Patrice Bart
(da Marius Petipa e Lev Ivanov terza scena)
Odette/Odile ALESSANDRA AMATO
Principe Siegfried PAULO ARRAIS
Regina CRISTINA SASO
Rothbart GIUSEPPE SCHIAVONE
Benno ANDREA FORZA
Due amiche Sara Loro, Giovanna Pisani
Quattro fidanzate Erika Gaudenzi, Marianna Suriano, Micaela Grasso, Martina Sciotto
Odette (Visione) Micaela Grasso
Danza Napoletana Alessia Barberini, Anjella Kouznetsova, Annalisa Cianci, Giuseppe Schiavone, Michael Morrone, Damiano Mongelli
Danza Spagnola Manuela Maturi, Antonello Mastrangelo
Valzer Polonaise Paolo Mongelli
Dodici Ragazzi Antonello Mastrangelo, Damiano Mongelli, Alessandro Rende, Paolo Gentile, Michael Morrone, Emanuele Mulè, Fabio Longobardi, Manuel Zappacosta, Michele Satriano, Giacomo Luci, Claudio Cocino
Quattro servitori Axel Alvarez, Leonardo Mancuso, Yuri Mastrangeli, Massimiliano Risso
Quattro cigni piccoli Silvia Fanfani, Chiara Teodori, Rebecca Bianchi, Alessia Gay
Quattro cigni grandi Roberta Paparella, Daniela Lombardo, Cristina Mirigliano, Erika Gaudenzi
Orchestra e corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore d’orchestra Andriy Yurkevich
Scene e costumi Luisa Spinatelli
Luci Patrice Bart e Mario De Amicis
Roma, 16 gennaio 2014
Il re dei balletti, Il lago dei cigni, torna sulle scene del Teatro dell’Opera di Roma, aprendo la stagione di danza 2013-2014, per un totale di undici recite: mancava dal 2011 (Terme di Caracalla). Inoltre, viene presentato in una veste drammaturgica totalmente nuova: interrompendo l’impero della Samsova, che a Roma perdurava fin dal 2003, il coreografo Patrice Bart propone un’ennesima rivisitazione della trama, cui fa seguito una nuova veste coreografica. Nella visione de Il lago di Bart, grande rilievo assumono i personaggi della Regina madre e di Benno, ambedue follemente innamorati di Sigfried: l’amore edipicamente incestuoso, da una parte, e l’amore omosessuale, dall’altra. Un mix veramente interessante, e precipuamente čajkovskiano, che trova il suo culmine in due scene-simbolo: un accenno di un passo a due tra Benno e il principe, dove l’amico arde di gelosia per Odette – Benno gli riesce quasi a strappare un bacio! – e il finale (drammaticamente debole, a dire la verità), dov’è la Regina che rimane sola e distrutta sopra i cadaveri di Rothbart – in questa versione, suo primo ministro – e di Sigfried, esanime per la consunzione d’amore, dopo aver visto involarsi Odette con le sue compagne – la versione originale, su cui bene o male si giostrano le altre, era ben diversa: «raggiunta Odette, Sigfrido ne scongiura il perdono ma la fanciulla muore di crepacuore nelle sue braccia. Getta allora nel lago la corona che le adornava la fronte ed immantinente s’alza un’ondata che avvolge e trascina nei suoi gorghi i due innamorati» (Luigi Bellingardi, dal programma di sala). Non stupisce, peraltro, che un coreografo metta mani nel Lago, il balletto di cui forse si conoscono in assoluto più versioni e finali alternativi. La visione registico-coreografica di Bart ha come chiave di volta uno psicologismo, intriso di sensualità, eroticamente sfogato in direttive volutamente anti-tradizionali: il tutto risulta estremamente interessante, ma si smorza in alcuni punti e – a parere di chi scrive – talvolta a farne le spese è il personaggio di Odette (ma – si badi – non Odile!). La coreografia è programmaticamente ripresa da quella tradizionale di Marius Petipa e del suo assistente Lev Ivanov: mi riferisco alla messinscena postuma del 27-01-1895 (Teatro Marijinskij: è nota la paradossale fatalità per cui Čaikovskij non vide l’immensa fama che avrebbe avuto Il lago). Bart propone una innovatio cum traditione: sono facilmente, anzi felicemente riconoscibili i tableaux tradizionali (soprattutto nelle danze dei cigni), cui Bart – che articola il tutto nella versione in due atti, al posto dei tradizionali quattro – aggiunge sovente pennellate persino di danza contemporanea. Le scene e i costumi (Luisa Spinatelli) sono poveri, ma cromaticamente appaganti: lodi a chi ha permesso – è nota la gravissima crisi economica e di bilancio in cui versa l’istituzione –, forse anche con riutilizzi, una dignitosa produzione. Tutte le scene si basano su dei fondali in velino dipinti (un panorama lacustre e un lago) con delle esili colonne auree all’altezza delle quinte; arricchisce il tutto la presenza di qualche parapetto (con cigni a cariatide) e di una bella scalinata durante la festa per il fidanzamento di Sigfried; tra i costumi spicca quello della Regina nel II atto, quello di Odile (più curato del corrispettivo di Odette) e quello in tonalità di grigio-champagne del principe nel II atto; nel I atto, Sigrfied ha una blusa verde, mentre Benno blu; molto gradevoli i frac grigi degli amici di Sigfried alla sua festa di compleanno (I atto), tutta giocata su tonalità chiare, cui fa da contrappeso cromatico, in nero, la festa di fidanzamento (II); classicissimi i tutù delle cigne. Sul piano registico si trovano interessanti passaggi: nell’introduzione (n. 1), per rappresentare il passare degli anni della fanciullezza del principe, Siegfried e la Regina entrano dalle opposte quinte, a mo’ di promenade, interpretati da diversi attori; molto commovente l’artificio di far specchiare il principe in un lago creato con un faro sparato al centro del palco oscurato, proprio la prima volta in cui compare il tema della ‘morte del cigno’ (finale, n. 9); notevoli anche le apparizioni di Rothbart come cigno nero/civetta dietro il velatino della scenografia, cui fa da contrappeso l’apparizione di Odette morente durante la festa di fidanzamento (peccato solo si veda smaccatamente il palchetto che li sorregge); ma il tableau più riuscito risulta la Danses des petits cygnes, con le ballerine notevolissime nei vari schemi, col palco pieno di fumo e il sipario di velatino abbassato, a render l’atmosfera plumbea.
La neoeletta prima ballerina dell’Opera di Roma, Alessandra Amato, danza Odette/Odile, ruolo che ha in repertorio a Roma dal 2009. La Amato è aggraziata, benché lievemente monocorde nell’espressione, ma non nell’interpretazione: si fa positivamente notare nell’andante del Pas d’action (I atto), dove balla un toccante passo a due con il principe (peccato per una quasi caduta, a causa delle moleste grida di un bambino); nel Pas de deux del cigno nero (II atto), nella variazione di Odile – molto tecnica e interpretativa – balla bene, e nella coda dà sfoggio di bei fouettés rond de jambe en tournant, anche se si sposta dalla sua posizione. Una spanna sopra a lei è, comunque, la tecnicissima Anna Tsygankova (ero in sala il 12-01). Siegfried è Paulo Arrais, ballerino estremamente muscolare ma che pecca forse in interpretazione (ove il Kaniskin sembra danzare sull’acqua, tant’è la delicatezza): molto buono nel campionario dei salti, nelle arabesques, come fa vedere nella sua variazione del succitato Pas de deux (II atto), nella cui coda esegue delle perfette pirouettes à la seconde. Cristina Saso è una Regina decorosa, Giuseppe Schiavone un intenso Rothbart; il Benno di Andrea Forza, che pur si fa valere nel pas de trois (I atto), è inferiore a quello di Claudio Cocino: assai apprezzabili i suoi salti, in particolare i brisés. Bravissimo l’intero corpo di ballo (eccetto qualche fisiologico errore), che non manca mai di mostrare l’estrema professionalità, a cominciare dai ballerini (il valzer del I atto e la festa di compleanno del principe); ma soprattutto lode alle ballerine cigne, deliziose e strazianti, con le loro bellissime figurazioni e la leggiadria tale da farle sembrare veri candidi cigni – indimenticabile l’esecuzione tanto delle Danses de cygnes (I atto), quanto delle Danses de petits cygnes. Gradevoli i divertissements (festa del II atto), anche se notevolmente sotto tono la Danse napolitaine; brave anche le quattro fidanzate pretendenti di Siegfried, nelle loro parti soliste.
Sul piano musicale, questo Lago fa faville: Andriy Yurkevich (che lo ha già diretto nelle produzioni romane dal 2005 al 2007) è un eccellente direttore di balletto, che sa intelligentemente interpretare l’accompagnamento della danza, ma avendo sempre presente una visione esteticamente curatissima, dolce, straziante e energica, della partitura. Una produzione, dunque, apprezzabile, ma che mal cela turbolenze e problemi economici che sta attraversando il Teatro (ma sono poi così diversi da quelli in cui è impantanata l’Italia intera?). Foto Francesco Squeglia