Pappano e Yuja Wang a Santa Cecilia

Roma, Auditorium “Parco della Musica”, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, stagione 2013-2014
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore Antonio Pappano
Pianoforte Yuja Wang
Franz Joseph Haydn: Sinfonia n. 59 in la maggiore “Feuer” (del fuoco)
Sergej Prokof’ev: Concerto n. 2 in sol minore per pianoforte e orchestra op. 16
Johannes Brahms: Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73
Roma, 21 gennaio 2014

 Per il suo debutto nel 2014, il direttore dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Sir Antonio Pappano, sceglie un concerto dal programma singolarmente interessante: l’accostamento di epoche e gusti diversi, come la musica di Haydn, Prokof’ev e Brahms. Pappano dichiara di prediligere particolarmente la musica di Haydn, soprattutto per il suo carattere di palestra orchestrale, di pietra pomice che leviga, liscia, ingentilisce il suono orchestrale; e la “Feuer” (l’origine della denominazione resta oscura), per essere ben eseguita, necessita di una precisione ritmica, di un rigore agogico mai opprimente né allentato, che Pappano e l’orchestra non mancano di regalare – d’effetto quel movimento finale (allegro assai), con i ludici richiami dei corni con gli oboi. Un’esecuzione impreziosita anche dal fatto di essere una première assoluta nei concerti dell’ANSC. Incredibile il balzo che si compie, dopo questa introduzione classicamente convenzionale, fino al Concerto n. 2 in sol minore che Prokof’ev stesso eseguì a Pavlovsk (3-09-1913) suscitando l’ira della parte più retrograda del pubblico: un recensore dell’epoca ebbe a scrivere che gli spettatori gridarono «all’inferno questa musica futurista! Siamo venuti per divertirci. I nostri gatti, sui tetti, fanno musica migliore di questa». Al pianoforte la talentuosa cinese Yuja Wang, non certo neofita della musica di Prokof’ev: ha infatti eseguito proprio il Concerto n. 2 – a mia memoria – con Dudamel e Dutoit, oltre che sempre con Pappano il Concerto n. 3. Non stupisce, dunque, l’eccellente performance (la Wang predilige particolarmente il repertorio russo novecentesco, come si evince dalla sua frequentazione di Rachmaninov e Stravinskij), salutata da calorosi applausi del pubblico. Straordinario Pappano nel passare dalla regolarità classica haydniana a questa partitura eccentrica, irriverente, provocatoria, a tratti sofferta (si pensi alla tragicità del IV movimento), che necessita di una concentrazione maniacale. Nel suo amato tubino rosso, bella e elegante come sempre, la Wang esprime un’energia trascinante (si pensi alla mostruosa cadenza che si trova alla fine del I movimento), dimostrando un invidiabile senso del ritmo: ecco che, spettacolare e circense, alterna a tocchi pacati un forte percussionismo. La Wang, insomma, sembra proprio ben interpretare l’ironia swingata che entusiasticamente attraversa tutto il concerto, la cui prima all’ANSC fu nel 1915: al pianoforte sedeva lo stesso Prokof’ev, sotto la bacchetta di Bernardino Molinari. Alla fine, la Wang regala un suo cavallo di battaglia, una versione delle Carmen variations che il celebre pianista Vladimir Horowitz compose sul tema della canzone di Carmen (Les tringles des sistres tintaient) che apre il II atto dell’omonima opera di Bizet. La seconda parte è interamente dedicata a Brahms, di cui Pappano esegue la Sinfonia n. 2; un mesetto fa aveva eseguito la Sinfonia n. 1, che ha definito una sorella della precedente. Il Brahms di Pappano è sempre ricco di tensione drammatica, e in questo caso, oltre alla consueta energia e vitalità, Pappano sembra condensare l’invenzione musicale a tal punto da concretizzarla; rende, in tal modo, piena giustizia a quegli articolati affreschi che sono le sinfonie del tedesco: adeguata la sublimità con cui interpreta l’evocazione dei passi montani delle Dolomiti e dei panorami lacustri della Carinzia, di cui la composizione è impregnata (si pensi al I movimento; Brahms la scrisse mentre era in vacanza in Carinzia, vicino alle rive del lago Wörth). Un concerto bello, che sorge dall’armonia dei contrari, offrendo due portate principali, Prokof’ev e Brahms, di tutto rispetto e assoluto valore artistico, ma così differenti, stridenti tra loro, precedute da un aperitivo che ci riporta alle atmosfere lontane della corte viennese degli Esterházy.