Intervista a Susan Graham

Uno dei mezzosoprani più apprezzati per più di due decenni, Susan Graham continua ad esplorare le nuove possibilità offerte dal ritornare a interpretare alcuni ruoli (Didone in Les Troyens, Serse di Handel) e dall’affrontarne di nuovi — comprese alcune sorprendenti incursioni nell’operetta e nella commedia musicale, sfruttando la sua presenza scenica e il suo umorismo sagace. Acclamata in particolar modo per i suoi cimenti nella musica americana contemporanea e nelle chansons francesi, rimane comunque un’artista continuamente impegnata in concerti e recital. Per chi scrive, suo fervente ammiratore, Susan Graham canta con tutta l’abilità, il calore e la ricca sensualità che ha sempre dimostrato. Ma a 53 anni, sa che i cambiamenti sono all’orizzonte.   Oltre ai concerti in previsione per i prossimi mesi, Susan Graham ritorna al Metropolitan Opera a Febbraio e Marzo, debuttando nel ruolo di Sycorax, la maga, nella riproposizione del “pasticcio” barocco The Enchanted Island, un adattamento de La Tempesta di Shakespeare. (Il ruolo fu creato da Joyce DiDonato al Met nel 2011.)
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Mentre hai sempre incorporato canzoni comiche nei tuoi recital, i tuoi ruoli teatrali sono stati per lo più seri — fino a poco tempo fa. Hai cantato la Gran Duchessa di Offenbach a Santa Fe quest’estate, e Orlofsky a Houston quest’autunno; Sycorax in The Enchanted Island, che canterai al Met in questa stagione, ha anche degli elementi fortemente comici. Come ti approcci alla commedia?
È ciò che faccio ogni giorno della mia vita. È proprio come vivere.
Come mai?
Nella mia vita di tutti i giorni, amo considerare il lato divertente delle cose e mi diverto molto facilmente. Trovo sempre il lato comico di qualcosa, è la prima cosa che faccio. Poi, quando hai un copione, è facile individuare doppi sensi e sarcasmo, specialmente il sarcasmo.
Tu non forzi mai una battuta. Lo fai coscientemente?
È una questione di consapevolezza di sé. È che temo di essere percepita — e questa è una cosa che si può applicare alla vita nella sua interezza, in generale — come una persona accanita che tende a strafare. Credo che sia una forma perversa di modestia. Ma qualsiasi tipo di humor palesemente forzato mi intimidisce e l’ultima cosa che vorrei mai fare è intimidire qualcuno. Ma nella commedia non bisognerebbe strafare, spingere o forzare. Penso che nel mio caso il divertimento stia nel lasciare che il pubblico entri nella battuta. Lasciar loro sentire che l’hanno proprio capita, piuttosto che farli sentire come se avessi gettato loro una torta in faccia. Mi piace presentare le situazione e trascinarci dentro il pubblico per far sì che loro trovino divertente ciò che è divertente per me.
Offenbach è divertente, francese e sexy — tre cose in cui eccelli. 
Quelli sono i tre elementi che mi hanno convinto a parteciparvi. Ma nonostante ciò, la cantante e la musicista che sono in me volevano un ruolo più polposo da cantare. Ecco il perché di Sycorax. E mi sento sempre “fregata” quando non ho molto da cantare — o almeno qualcosa di buono da cantare.
E infatti nella tua carriera hai cantato molti ruoli da protagonista.
È arrivato un momento, forse quando stavo per compiere 40 anni, in cui abbiamo iniziato a cercare ruoli da donna matura. Ho iniziato a cercare ruoli da protagonista e per fortuna il mio agente era d’accordo e fortunatamente anche i management operistici sono stati d’accordo. [ride] Se non proprio ruoli da protagonista, comunque ruoli femminili di rilievo. E c’è molto del repertorio francese che fa al caso.
In questa stagione ti sei esibita in numeri sinfonici con alcune grandi orchestre: Lied der Waldtaube di Schönberg e Lieder eines Fahrenden Gesellen di Mahler con l’Ensemble Contemporain in Europa a gennaio, e Shéhérazade di Ravel con la Boston Symphony in America poche settimane dopo. Quali sono le sfide rappresentate da queste apparizioni?
Beh, l’esibizione di gennaio è stata complicata, anche se cantare Mahler è un gran divertimento. L’ho già cantato in passato e Mahler ed io siamo vecchi amici. Schönberg invece è nuovo per me ed è davvero difficile! È proprio difficile! La sua è una musica difficile da imparare. Ci sono alcune frasi complicate da cantare, ma piano piano me ne sono innamorata, il che è una buona cosa. La sfida insita in qualcosa come la “Shéhérazade” di Ravel consiste nel lasciar perdere l’atmosfera, nella speranza che io riesca a creare il tipo di mondo, dal punto di vista tonale, del colore e dell’espressione, di cui la composizione necessita e che io riesca a farlo mio. Tecnicamente parlando, dev’essere ben cantato, ma il colore testuale deve accompagnare il colore orchestrale — cosa a cui hanno provveduto Ravel e Haitink e la BSO, ma anche io ho dovuto fare la mia parte.
Quando ti ho sentita cantare in concerto con un’orchestra sinfonica, generalmente non hai interpretato un personaggio. Sembra quasi che ti astrai, che diventi uno strumento dell’ensemble.
È divertente che tu lo dica perché una delle cose che faccio, il primo giorno di prove e fino alla prova generale, è sedermi di fronte all’orchestra. Sono una di loro. Se devo cantare qualcosa che il clarinetto deve echeggiare o suonare all’unisono, mi fisso su di esso e ci lavoriamo assieme. A volte bypasso proprio il direttore d’orchestra e lo strumentista ed io ci mettiamo a lavorare durante una pausa. Quando lavoro con orchestre meno scafate, sono conosciuta per andare in mezzo all’orchestra e stare vicino allo strumentista, in modo da provare insieme, e loro sanno cosa sto facendo.
Per il pubblico americano, i musical di Broadway sono un buon modo per prepararsi all’ascolto dell’opera. Le canzoni sono in inglese e quindi ascoltandole siamo indotti a capire che le canzoni servono a comunicare sentimenti, personaggi e storie. Nell’opera, c’è più canto e la lingua può essere l’italiano o il tedesco, ma lo scopo fondamentale è lo stesso.
Ci sono due elementi che contribuiscono a far sì che il pubblico mi capisca. Uno è quel che hai appena detto. E l’altro è che mi esibisco su di un palco e comunico come se dovessi rivolgermi a persone che non hanno familiarità con l’opera. Perché da dove vengo io pochissimi sono quelli che si intendono di opera, per cui mi immagino che se riuscissi a farmi comprendere da mia madre o dalla mia famiglia, che non sono intenditori d’opera, riuscirei a farmi capire da chiunque. Inclusa me stessa. Perché voglio liberarmi dei fronzoli, delle aspettative e della tradizione per andare al cuore dell’essenza del significato di una parola, di un gesto o di una frase — e per “movimento” intendo quello musicale. Perché all’opera ci sono arrivata senza aver sempre respirato opera e penso che tutti si chiedano sempre:  “Come fa una grande star dell’opera a venire dal New Mexico o dal Texas o dal Kansas o dal Wyoming, quando questi posti non hanno una tradizione operistica?” E invece penso che questo sia effettivamente un vantaggio, perché quelli come me ci arrivano puri e ingenui, con la capacità di estrapolare le parole e le note dalla pagina e dar loro un senso, senza dover passare una vita ad ascoltare 16 artisti che hanno cantato lo stesso ruolo al Metropolitan Opera anch’essi per una vita. Ciò suonerà imprevedibile e forse sacrilego e io di certo non dico che bisogna star ben lontani dal Met, ma se sei cresciuta in un certo modo, la cosa migliore che puoi fare è trarne vantaggio. Mi tocca essere molto politicamente corretta. La gente ti dice: “Non ascoltare le incisioni di questa o quella”. Ma questo è il modo in cui sono cresciuta e ci devo fare i conti. Non so se Joyce [DiDonato] possa dire lo stesso, ma lei ha fatto sua molta musica, senza copiare nessuno. Anche io ho provato a fare lo stesso. E, certo, ho anche colleghi che, prima di cantare una sola nota del loro ruolo, ascoltano ogni singola incisione disponibile e prendere un po’ da questo e un po’ da quello — e per me questa non è un’esibizione, ma un collage. È un quilt. Non è un artista autentico, ma si limita a prendere pezzi di altre persone.
Parliamo per un momento del tuo futuro e di cosa ti aspetta.
Tutti vogliono parlare della condizione — non dirò “dilemma” o “difficoltà” — ma la condizione dell’artista che si trova di fronte ad una svolta. Certamente non interpreto più ragazzi che saltano fuori da una finestra. Infatti, non interpreto quasi più ragazzi diciassettenni. Ora ciò che si profila all’orizzonte per me è — interpreto ancora ruoli da protagonista, ma ci sono opere in cui non non devo sobbarcarmi tutto lo spettacolo. Il Fledermaus è un esempio perfetto; hanno dovuto convincermi a farlo. Non volevo farlo, perché questa operetta non mi è mai piaciuta, ma questa produzione era magnifica. Mi sono divertita. C’era una certa gioia nel non avere la responsabilità dello spettacolo. Non che abbia intenzione di non portare più avanti uno spettacolo in quanto protagonista – anche se alla fine dovrò farlo. Ma mi ha fatto una strana sensazione, è stato difficile farci l’abitudine. Ma ci sono opere come Capriccio, in cui canto Clairon, e Lulu, in cui canterò la contessa Geschwitz. Ecco, questi sono due esempi.
Sono due ruoli buoni per te.
Si. E in nell’ Incoronazione di Poppea, la prossima volta, probabilmente canterò Ottavia, e non Poppea. Credo che l’ultima volta che ho cantato in Italia fu per un recital, ma Poppea la cantai al Maggio Musicale.
Quando hai cantato Poppea a Houston, Frederica von Stade cantò Ottavia. Lei mi fece capire che Ottavia davvero non crede di aver fatto nulla di sbagliato. È un gran ruolo; non l’avevo pienamente apprezzato prima di allora.
Si! Lo è. Ma è anche merito di Flicka. La grazia che lei conferisce a Ottavia: “Non ho fatto nulla di male. Sono semplicemente la moglie abbandonata Il suo “Addio, Roma” è una pagina meravigliosa.
Sei pronta per la fase di transizione della tua carriera?
Mi spaventa un po’. Il cambiamento e l’abbandonare il consueto mi spaventano un po’. Ma sono certa che saprò adattarmi. Voglio dire, in tutta onestà, nel mio caso quando la vita professionale  è a una svolta, lo stesso vale per la vita privata e al momento la mia vita privata va bene. Quindi ci sono i presupposti perché tutto il resto vada bene. [ndr: la Graham ha ritrovato un po’ di anni fa il suo fidanzato dei tempi del college.] L’altra cosa interessante che ho iniziato a notare adesso è che in questa fase della mia vita comincio a essere chiamata per partecipare a eventi non legati al canto o all’opera. Mi viene chiesto di condurre interviste [durante trasmissioni e dirette in HD], di presentare eventi e di fare cose in quanto personalità. Il che mi piace. Quando presento o sono sul palco in generale, la gente sa che ci sono stata abbastanza a lungo, che mi sono guadagnata la possibilità di starne un po’ lontana e anche di prendermene gioco un po’ se ne sento il bisogno — con affetto, naturalmente! E anche in quel caso si manifesta la mia attitudine alla commedia. E così il cerchio si chiude!