Tribute to Gualberto Magli. Composizioni di Claudio Monteverdi (1567-1643), Johann Nauwach (1595-1630), Francesca Caccini (1587-c. 1645), Giulio Caccini (1550-1618), Sigismondo D’India (c. 1582-1629), Francesco Lombardi (1587-1642), Giovanni Trabaci (c. 1575-1647), Girolamo Montesardo (1580-1620), Alessandro Ciccolini, Giovanni Camillo Di Primi. Raffaele Pé (controtenore), Chiara Granata (arpa doppia)t, David Miller (tiorba). Registrazione:St James’s Church, Keelings Road, Dengie, Essex, 30 giugno, 2-4 luglio 2013 T. Time 56:59. 1 CD Resonus 2013, RES10124.
È un tributo all’arte vocale post-rinascimentale e primo-barocca questa rara impresa editoriale dell’etichetta Resonus: Raffaele Pé presta la sua voce a una serie assai variegata di composizioni, tutte scritte per il celebre castrato Gualberto Magli o (quasi) certamente da lui interpretate. Magli incarna una figura fondamentale nella tradizione del canto dell’epoca, bocciolo che darà successivamente origine all’opera lirica, come noi la conosciamo. Dai brani qui raccolti e antologizzati, si comprende lo snodo artistico internazionale del castrato forse più celebre della sua epoca: conteso tra Firenze, Napoli e l’elettorato tedesco di Brandeburgo, Magli fu il primo interprete di due o più probabilmente tre ruoli dello storico Orfeo (1607) di Monteverdi.
Proprio con i tre ruoli monteverdiani s’apre l’antologia. La voce di Raffaele Pé, sopranista emergente fra la sua generazione di controtenori italiani, dal timbro terso, vellutato, ambrato, è capace di un’infinita serie di delicatezza, come pure ─ all’uopo ─ di espansioni volumetriche. La sperimentazione monodica dei primi anni del XVII secolo è alla base della successiva strutturazione dell’aria d’opera, per come la conosciamo: qui possiamo apprezzare, dall’Orfeo, gli accenti tragici e mossi del Prologo della Musica, la monodia di Speranza (III atto), dove il Pé cesella uno splendido fraseggio (vero «recitar cantando») e di Proserpina (IV), dove eccelle nel finale. Magli era potuto andare a Mantova, per cantare nell’Orfeo, grazie alla cessione delle sue prestazioni da parte del suo mecenate, il cardinale Ferdinando Gonzaga Gran Duca di Toscana, al di lui fratello, il principe Francesco Gonzaga. Del periodo fiorentino vengono qui proposte «Dispiegate guancie amate» di Francesca Caccini, figlia del celeberrimo Giulio Caccini (membro della Camerata Fiorentina dei Bardi) di cui Pé canta «Sfogava con le stelle»: Magli era stato allievo del Caccini, quindi queste due cantate rappresentano quanto di più confortevole per le corde dell’antico castrato, che non proverà rossore per l’intensa interpretazione del giovane controtenore. Incredibile il patetico trasporto di Pé nell’interpretare il complesso lamento di Giasone, «Ancidetemi pur, dogliosi affanni», un monologo che richiede doti da eccelso fraseggiatore, a differenza della più rilassata «Piangono al pianger mio», ambedue di Sigismondo D’India, che chiude il CD. Ferdinando Gonzaga mandò il Magli a Napoli a studiare la tecnica dell’arpa: soprattutto dopo la première dell’Orfeo si apprezzava maggiormente un cantante che potesse accompagnarsi da solo nel canto. A Napoli il Magli entra in contatto con la gloriosa tradizione locale: «Hor che la nott’ ombrosa» (Girolamo Montesardo) permette a Pé di sciorinare una serie di trilli, fioriture e agilità, con i gradevoli, soffusi echi che riesce a creare con la voce, così tipici del tripudiante stile partenopeo (si senta la cerulea interpretazione di «O felice quel giorno» di Francesco Lombardi). Del periodo della permanenza presso l’elettore di Brandeburgo, Pé interpreta due canzoni di Johann Nauwach (tiorbista formatosi nel bel paese), dove la voce si sposa appassionatamente all’accompagnamento. In prima mondiale, inoltre, Pé canta la versione musicale di Alessandro Ciccolini del famoso sonetto petrarchesco «Solo et pensoso i più deserti campi»: Ciccolini, con imitazione perfetta dello stile dell’epoca e un gusto intenso, sanguigno, crea una convincente composizione.
Bravissimi gli accompagnatori, autentici virtuosi: Chiara Granata (arpa doppia) e David Miller (tiorba). L’idea editoriale è ammirevole e risponde perfettamente a una tendenza di riscoperta filologico-interpretativa del Barocco musicale, oggi più che mai attuale: molto interessante (ma non certo innovativa) l’idea di concentrare lo sforzo del cantante sul repertorio di un unico divo castrato del passato. Particolare e insolita, invece, la scelta di un tale repertorio, certamente meno virtuosistico delle grandi arie per castrato tradizionalmente deputate alle incisioni: questo stile monodico, madrigalistico, più arcaico, sarà anche meno spettacolare, ma di certo è filologicamente più interessante. Un CD da veri intenditori, dunque, cultori dell’antica arte del canto, che mette in degno risalto le doti di Pé e dei suoi accompagnatori: un eccellente biglietto da visita per la loro futura carriera.