Napoli, Tearo di San Carlo, stagione di balletto 2013-2014
“LE CORSAIRE”
Balletto in tre atti tratto da un poema di Lord Byron
Coreografia Aleksei Fadeeĉev
Musica Adolphe Adam, Léo Delibes, Riccardo Drigo, Cesare Pugni
Conrad, il corsaro ALEKSANDR VOLĈOV
Medora MARIA ALEKSANDROVA
Ali EDMONDO TUCCI
Lagrange ALESSANDRO MACARIO
Pas d’Esclave CANDIDA SORRENTINO, CARLO DE MARTINO
Il Pasha GIANLUCA NUNZIATA
Tre odalische LUANA DAMIANO, ANNA CHIARA AMIRANTE, MARGHERITA PROVENZANO
Orchestra del Teatro di San Carlo
Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo
Allievi della Scuola di Ballo del Teatro di San Carlo diretta da Anna Razzi
Direttore Alexeij Bogorad
Direttore del Corpo di Ballo Alessandra Panzavolta
Scene e Costumi Francesco Zito
Napoli, 22 marzo 2014
«O’er the glad waters of the dark blue sea, /” Our thoughts as boundless, and our souls as free, / ” Far as the breeze can bear, the billows foam, /” Survey our empire and behold our home ! / These are our realms, no limits to their sway — / ‘ Our flag the sceptre all who meet obey. /” Ours the wild life in tumult still to range / ” From toil to rest, and joy in every change». L’impeto e il tumulto di un irrefrenabile desiderio di libertà aprono The Corsair, la novella in versi firmata da Lord Byron (1788-1824) nel 1814, il cui successo diede vita all’adattamento del racconto come scenario per un balletto allestito da Ferdinand Albert Decombé, su musica di Nicolas Bochsa (1789-1866) per il Teatro Reale Drury Lane nel 1837. In questa prima versione del balletto il ruolo del Corsaro non era una parte danzata, ma fu affidata a un famoso mimo italiano, Domenico Segarelli.
Il successo di novella e balletto fu, già in origine, da attribuire a fattori esterni rispetto allo spettacolo stesso. Il crescente interesse del pubblico britannico ed europeo nel confronti delle altre culture, specie verso il mondo ottomano persiano e indiano, fu un fertile terreno per la fortuna del Corsaro. L’imperialismo e il colonialismo franco-britannico, congiuntamente ai movimenti insurrezionalisti del popolo greco contro l’invasore ottomano e la passione per l’esotico furono tutti elementi che ne agevolarono il successo. Fantastico e pittoresco, uniti all’ambientazione esotica e a costumi caratterizzati da un insieme di elementi tipici dell’Europa Orientale della Grecia e della Turchia, contribuirono a dare un’immagine realistica e al contempo sognante di un mondo molto vicino, benché così diverso.
Riallestito più volte e con esiti alterni, il balletto “padre” degli allestimenti moderni fu rappresentato per la prima volta il 23 gennaio 1856 al Théâtre Impérial de l’Opéra di Parigi, con titolo francesizzato in Le Corsaire, su scrittura drammaturgica del più famoso librettista dell’epoca, Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges, e Joseph Mazilier, che ne produsse anche la coreografia. Alleggerito l’argomento originario, le musiche furono affidate ad Adoplhe Adam, già noto al mondo della danza per Giselle. Successivamente la partitura – come la coreografia – subì notevoli integrazioni e rimaneggiamenti. La musica accolse brani di Cesare Pugni, Léo Delibes (Jardin animée), Riccardo Drigo e del Principe Oldenbourg (Pas d’Esclave). In Russia venne modificato il Pas de fleurs e trasformato nel celebre Jardin animée; fu poi ricostruito il famoso Pas de deux (su musica di Drigo) e il Pas de Trois des odaliques. Ultima revisione coreografica fu quella di Marius Petipa, nel 1899. Nel 1962 Vakhtang Chabukiani creò una nuova versione della coreografia di Petipa, incrementando la danza maschile. Il Pas de trois di Drigo fu modificato in un Passo a due, reso poi celebre dall’interpretazione di Margot Fonteyn e Rudolf Nureyev (prima esecuzione al Covent Garden di Londra). In Italia la versione più nota, grazie al DVD in commercio, è quella di Oleg Vinogradov per il Teatro Marinskj di San Pietroburgo, sulla falsariga di quella realizzata nel 1955 al Malyj Teatr di Leningrado da Jurij Slonimskij, con la bellissima Altynai Alylmuratova e Farouk Rouzimatov, versione splendida non tanto per scene e costumi, quanto per la semplificazione della narrativa eccessivamente complessa e l’orchestrazione “eroica” dei brani musicali (non dimentichiamo il frangente politico).
Per la prima volta il Teatro di San Carlo di Napoli porta in scena l’impegnativo allestimento che ha reso Le Corsaire uno dei banchi di prova delle più prestigiose compagnie e dei più importanti Teatri, vista ma macchinosità degli elementi scenici (si pensi al naufragio) e all’impegno richiesto ai solisti. Un balletto legato a un momento storico particolarmente propizio per la danza, in cui l’interesse per l’esotico trovò largo successo per la mise en scene abilmente curata da scenografi e costimisti di grande ingegno. La novella semi-autobiografica di Lord Byron (a epilogo tragico perché Conrad viene condannato a morte, ma riesce a liberarsi grazie all’aiuto di Gulnare, mentre Medora muore di dolore credendolo finito) viene stemperata e semplificata, mescolando in un variegato mondo di colori e danze virtuosistiche la drammaturgia elementare e per nulla accattivante di una storia d’amore dai clichés scontati.
In un momento così difficile per il Massimo napoletano, la scelta di un allestimento nuovo e impegnativo, una “prima assoluta” non può che guadagnare il plauso generale. Penalizzato nelle vendite dal doppio cambio di cast, il risultato generale è comunque meritevole di apprezzamento. Come da tradizione, anche per Il Corsaro partenopeo hanno brillato, sopra tutto e tutti, le splendide scene e i meravigliosi costumi di Francesco Zito.
È inusuale partire da questi elementi nel commento a uno spettacolo, ma, trattandosi di Le Corsaire, la cosa si giustifica da sé. Se questi elementi non fossero stati di così grande pregio, l’allestimento avrebbe avuto più problemi, in quanto la versione di Aleksej Fadeeĉev, Primo Ballerino al Teatro Bol’ŝoj di Mosca e fondatore della compagnia Aleksej Fadeeĉev Dance Theatre, si è posta lungo la linea della tradizione, con la ripresa di molte danze di carattere e l’inserimento di tutti i numeri virtuosistici più noti, mentre l’iconografia visiva di riferimento è ispirata al serial cinematografico dei Pirati dei caraibi con Jonny Deep, con esiti non entusiasmanti.
Il risultato è apparso un tantino pesante e drammaturgicamente debole. Ma il problema principale è legato all’utilizzo di brani musicali più scadenti del solito, orchestrati talvolta in maniera bizzarra, quasi in chiave “comica partenopea”. E non solo: momenti di forte importanza scenica, tra cui ad esempio il Jardin animée, collocato molto presto nell’economia dell’azione, sono stati eseguiti con orchestrazione molto ridotta e, laddove la musica avrebbe dovuto segnare l’apoteosi della protagonista, i pochi elementi impegnati nella danza, l’utilizzo di ghirlande troppo pesanti che talvolta stentavano a stare dritte e una fretta eccessiva nell’esecuzione dei movimenti da parte del Corpo di Ballo hanno notevolmente ridotto l’effetto della scena. Osservando l’orchestra è emersa una certa mancanza di feeling tra Direttore, il moscovita Aleksej Bogorad, e Corpo di Ballo. A partire dai ringraziamenti alla fine del Pas d’Esclave, in cui i protagonisti si sono visti troncare appena il secondo port de bras con l’attacco immediato della musica o, ancora, nel Pas de trois delle odalische, in cui sembrava una rincorsa reciproca fra musica e danza.
Il fattore musicale e un allestimento piuttosto polveroso hanno reso l’azione danzata e mimata poco attraente e l’apprezzamento generale si è concentrato, come già detto, su scene e costumi. L’unico elemento scenico meno convincente forse è stata proprio la nave che ha aperto e chiuso il balletto: collocata molto (o troppo) in avanti, più che un naufragio iniziale la gestualità semi-comica dei marinai a bordo (probabilmente perché troppo illuminati e troppo vicini al pubblico) non ha convinto come avrebbe dovuto.
I protagonisti, importati direttamente dalla Russia, e precisamente dal Teatro Bol’ŝoj di Mosca, non hanno certo lasciato il segno. Maria Aleksandrova (nota in Italia per aver interpretato magistralmente il ruolo di Ramzé nel famoso DVD de La figlia del faraone, con Svetlana Zakharova), nata a Mosca e formatasi all’Istituto coreografico della città con Sophia Golovkina, è entrata a far parte del balletto del Bol’ŝoj divenendone presto solista e, nel 2004, Prima Ballerina. Forte e sicura di una tecnica indiscutibilmente superiore, benché non giovanissima, è apparsa tuttavia poco convincente non solo da un punto di vista estetico (altissima in un contesto di altezze molto “misurate” e dotata di spalle e torace leggermente androgini), ma anche gestuale. Lo stile tradizionale moscovita, la durezza del gesto sempre energico e spavaldo e la mimica stereotipata non hanno convinto, artisticamente parlando. Stessa riflessione può essere fatta per l’altro ospite, Aleksandr Volĉkov. Nato a Mosca e terminati gli studi all’Istituto coreografico della città, entra subito a far parte del balletto del Teatro Bol’ŝoj. Visivamente Volĉkov è molto nella parte, la tecnica è sicura e forte. Non è possibile non notare la differenza tra chi mastica polvere di palcoscenico tutti i giorni e i nostri ragazzi, che con i pochissimi allestimenti annui non riescono a nascondere una certa tensione in scena. Tuttavia anche lui è apparso un po’ “polveroso” e poco comunicativo.
Alessandro Macario, Primo ballerino Ospite del Massimo napoletano, è stato un Lagrange pulito e preciso nella tecnica (niente da invidiare ai russi in questo), ma dovrebbe aspirare al “salto di qualità dell’interprete”, da punto di vista espressivo. Certo, non è che il Lagrange disegnato da Fadeeĉev lo permettesse molto; il personaggio è stato disegnato dal coreografo come rivale in amore di Conrad e come simbolo dell’Occidente che si contrappone all’Oriente, un Occidente che sembra spento e privo di quelle passioni che trasudano dal bel Corsaro che fa innamorare Medora. Il famosissimo Passo a due è qui trasformato, appunto, in Passo a tre, nel quale Conrad e Lagrange si contendono la mano della fanciulla greca. Elegante e sicuro, Alessandro Macario è stato qui il più convincente.
Bella anche la prestazione di Edmondo Tucci, Primo ballerino del San Carlo, che ha interpretato un Ali inconsueto e interessante.
La bella Candida Sorrentino ha portato in scena, insieme a Carlo De Martino, il difficile Pas d’Esclave. Sempre aggraziata e molto comunicativa, ancora con qualche imprecisione nelle chiusure e dei salti e delle pose, ha sostenuto un bel ruolo. Carlo De Martino, penalizzato da una figura troppo brevilinea, ha tuttavia eseguito molto bene la propria variazione, dimostrando sicurezza e precisione tecnica (la coppia si alternerà, nelle prossime recite, ai nuovi e valenti giovani entrati da poco nel Corpo di Ballo).
Il momento lirico più alto è da ascrivere alla scena della grotta (la più bella in assoluto da punto di vista scenografico), in cui le rocce lasciavano intravedere in scorcio il mare illuminato dalla luna. Qui il Passo a due dei protagonisti ha toccato i momenti migliori. Non i virtuosismi noti e scontati, non il “pezzo chiuso” da applauso, ma un vero duetto d’amore sostenuto da una musica che ha avvolto il pubblico nell’intimità degli amanti. Purtroppo questi brevi momenti lirici in Corsaire sono presto stemperati da attacchi musicali “di maniera” e la magia scompare. Pazienza. Anche questo fa parte della storia.
Le Tre odalische hanno danzato il famoso Pas che richiama alla mente il Pas delle Ombre de La Bayadère (e come non pensare alla La bella addormentata guardando le ghirlande del Jardin animée?) nella linea della grazia e dell’espressione poetica disegnate da Marius Petipa. Fra queste, la sola Anna Chiara Amirante è apparsa la più sicura in scena, la più musicale e tecnicamente pulita.
Un “bravo” per la divertente e originale interpretazione del Pasha va a Gianluca Nunziata, che ha fatto sorridere più volte il pubblico con la sua spontanea e naturale verve comica.
Con tutte le interpolazioni e i rimaneggiamenti Le Corsaire ha aggiunto e guadagnato esperienza su esperienza. Il gusto del momento è fondamentale per il successo di una messa in scena e le ricostruzioni filologiche, necessarie ed estremamente importanti, vanno tuttavia calibrate in un certo modo secondo il gusto moderno.
Il debutto del balletto al Teatro di San Carlo di Napoli è un passo importante in un momento così buio. Ci auguriamo che le nostre leve – che in grazia e senso artistico spesso non hanno nulla da invidiare ai blasonati ospiti – possano essere seguite e coltivate sempre meglio, vista l’ormai inevitabile svecchiamento di un Corpo di Ballo al quale auguriamo di rinascere al più presto, come sta già facendo, dalle proprie ceneri.